In primo piano · Interventi

Calasso e la dittatura digitale

Ha pensato bene di andarsene, a ottant’anni appena compiuti, nel luglio del 2021: giusto in tempo per non assistere alla fase più furibonda della campagna vaccinale e delle polemiche sulla pandemia. Prolifico fino all’ultimo, ha ancora pubblicato nel 2019 il suo «racconto» della Bibbia (Il libro di tutti i libri, omaggio tardivo alle sue origini), e sempre aggirandosi tra gli arcani medio-orientali, La tavoletta dei destini, sulla sapienza babilonese (2020). Ma a parte molte cose minori, ora in uscita anche postume, non vi è dubbio che il «testamento spirituale» di Roberto Calasso sia L’Innominabile attuale, uscito nel 2017, alla vigilia dei Grandi Eventi più recenti. Nella saggistica di livello dedicata alla lettura dei «segni dei tempi» è difficile trovare qualcosa di più intelligente di questo dittico, un vero «messaggio nella bottiglia». Rapsodico – è un mosaico di riflessioni-aforismi – riesce a toccare tutti i punti nevralgici del presente con una profondità di sguardo che è quasi inutile cercare altrove, e li tocca raccogliendoli intorno a un primo tema o leitmotiv: l’Uomo Secolare, «amputato» della dimensione trascendente (o metafisico-simbolica), campione della tarda modernità e avviato al suo esito «transumano», definito «un immane sconvolgimento psichico».

Figura-tipo dell’Uomo Secolare è il Turista, lanciato alla scoperta della varietà – delle forme, dei paesaggi, dei luoghi – ma a condizione di osservarla dietro la vetrina distanziante del suo occhio moderno, che lo rende «ontologicamente» altro, diverso dal nativo, radicato nel suo villaggio polinesiano o nella sua campagna irlandese. E se l’Uomo Secolare è, in fondo, l’Uomo Estetico, è come dire, commentando, che il Turismo è la variante spaziale del Museo, perché il turista viaggia anzitutto nello spazio mentre il secondo è un viaggio anzitutto nel tempo; il turista è nomade, il visitatore è stanziale,  salvo convergere nella fruizione di una varietà illimitata e cangiante di oggetti fuori contesto (il museo li decontestualizza materialmente, il turista li visita in apparenza nel loro contesto, ma di fatto astraendo da quel contesto nella forma del museo en plein air).

Anticipato genialmente dalla coppia flaubertiana di Bouvard et Pécuchet, e portato a perfezione dal Web e dalla sua illimitata multifunzionalità, l’Uomo Secolare si taglia fuori dalla dimensione del Rito, che diventa tutt’al più un rito laico, abolendo ogni riferimento a un Elemento invisibile, esterno e tuttavia reale e presente. Alla dimensione dei significati subentra quella illusoria e onnipervasiva dei programmi di simulazione su base digitale. Al paradigma digitale Calasso contrappone il vecchio paradigma analogico, e al Turista contrappone l’Analogista, che non è il semplice globe-trotter a caccia di varietà ma lo studioso che rintraccia analogie tra le forme più lontane (e qui Calasso fornisce un ritratto diagonale di se stesso). Se mai, ciò che accomuna l’Analogista al Turista è il fatto di non appartenere ad alcuna confessione religiosa: l’Analogista-Calasso è un libero cercatore dello spirito, magneticamente attratto dalle affinità, dalle convergenze. Calasso allo specchio denuncia così il proprio limite di fondo, il rifiuto di uscire da quella prigione moderna che si annuncia come la rottura di tutti i vincoli, a cominciare dai vincoli religiosi e confessionali. (Di questo limite, che non vuole varcare, sembra essere però ironicamente consapevole, al punto da dedicare un ritratto pungente allo «spiritual but not religious» [l’SBNR], categoria in espansione, che raccoglie l’eredità nella vecchia New Age e da cui Calasso prende aristocraticamente le distanze sentendosene, però, in qualche modo contagiato).

Il rifiuto brillante, caustico, del Paradigma Digitale e dei suoi orizzonti di simulazione illusionistica, basterebbe a motivare il libro e a funzionare come «messaggio nella bottiglia». Ma il libro è uno strano dittico, dove al pamphlet anti-digitale viene accostata una incalzante rievocazione del Terzo Reich: una serie di aforismi, testimonianze, riflessioni acuminate sull’ascesa e la luciferina apoteosi e caduta del Reich hitleriano. Anche questa seconda parte, grondante di atrocità novecentesca, basterebbe da sé a motivare il libro, e forse anche il messaggio: come monito contro il pericolo delle tirannidi future, a cui la cosiddetta democrazia potrebbe aprire la strada «per vie legali» (come a Hitler nel 1933).  Ma a rendere straordinario il dittico è proprio l’accostamento, che pare incongruo, tra le due parti. Perché Calasso conclude la sua opera saggistica (a parte i grandi «racconti») con una abbagliante riflessione sull’enigma hitleriano? O meglio: perché abbinare l’enigma hitleriano come il cuore di tenebra del ’900 alla rivoluzione digitale come evento capitale del secolo XXI? Tra le due parti scocca un arco voltaico che si potrebbe definire «esoterico», nel senso che non è «nominato», non è messo in forma di parole: è, appunto l’«innominabile» nella sua lancinante «attualità». Raccogliendo il messaggio nella bottiglia, spetta al lettore dare un nome all’Innominabile: e così lo Sterminio e la Razza Pura – i due baricentri satanici del nazionasocialismo – diventano, a una lettura «stereoscopica» del dittico, quanto di più attuale sia possibile immaginare: lo Sterminio è quello del «continuo» (analogico) da parte del «discreto» (digitale), e la Razza Pura è quella chiamata a costruire l’Intelligenza Artificiale sulla base del «discreto», il codice binario e i suoi sofisticatissimi sviluppi nanotecnologici.  Quella che uno scrittore visionario di fine ‘800 (non citato da Calasso), Bulwer-Lytton, chiamava «la razza futura» (The Coming Race), e che uno scrittore contemporaneo, ugualmente non citato da Calasso, Yuval Noah Harari, definisce «l’uomo-dio», integralmente tecnologico.

Che il nazismo possa «ritornare» nelle vecchie forme – Capo Carismatico e adunate oceaniche, parate militari e sventolio di stendardi sanguigni – è un’ingenuità che il libro non si permette nemmeno di sfiorare. È l’egemonia tecnologica a tenere in scacco e a riplasmare oggi le coordinate base della vita associata. Gli anni successivi all’89 sono gli anni del graduale imporsi della Rete, e poi via via di tutte le innovazioni connesse alla Rete, in una progressione micidiale resa possibile dalla miniaturizzazione incalzante dei circuiti: dal PC allo smartphone multifunzionale, alle prossime tappe della Simulazione Digitale. È questo l’ambiente, lo «spazio» in cui si installa il nuovo regime autoritario. Non contando più sulla centralità di un Partito, ma su una costellazione di mega-aziende, ormai in grado di «cannibalizzare» il potere politico e di controllare, via marketing, sterminate masse di consumatori. Per non parlare della formidabile funzione di «ammortizzatore» sociale assegnata ai social network, come arena di una «discussione pubblica» virtualizzata e di fatto neutralizzata.

Tutto questo il libro non lo dice apertamente (resta appunto «innominabile»), ed è perciò, in questa forma, una semplice chiosa, un tentativo di commento.  Calasso si limita a mettere i due fenomeni (il digitale e il nazismo) in cortocircuito, a farli reagire l’uno sull’altro con un gesto stilisticamente perentorio. E con un un gesto, ancora, di estrema eleganza (Calasso resta alla fine un dandy baudelairiano impenitente), i due quadri giustapposti che formano il dittico sono raccordati nell’ultima pagina dalla visione onirica – ripresa da Baudelaire – di una Torre enorme sul punto di crollare. Le Torri, come sappiamo, in realtà sono due, e sono «gemelle» (non a caso è l’ultima parola del libro). L’enigmatico disastro che apre il XXI secolo, evocato di sponda, attraverso un sogno di Baudelaire, funge così da raccordo temporale tra le due parti del libro, suggerendo che le due parti vanno sovrapposte e fuse. Non potendo essere fino in fondo uomo della Tradizione (da cui si sa modernamente escluso), Calasso ha voluto però suggerire i contorni di quella Contro-Tradizione, come parodia politica e parodia spirituale, di cui aveva compreso acutamente i meccanismi sottili. Nessuno, finora, ha saputo fare di meglio.

flavio.cuniberto@tiscali.it

 

 

L'autore

Flavio Cuniberto
Flavio Piero Cuniberto insegna Estetica all’Università di Perugia. Ha studiato a Torino, a Monaco di Baviera e a Berlino. Il filo rosso della sua ricerca, dalle molte facce (la cultura tedesca tra l’età barocca e il ‘900, il platonismo classico e post-classico, la storia dell’arte occidentale come repertorio di stili e di temi simbolici, le ideologie politiche) è lo studio della modernità come civiltà «anomala», definita da un programmatico allontanamento dal mondo tradizionale. E quindi, rovesciando la prospettiva, lo studio delle «tracce», delle persistenze di un orizzonte tradizionale - dove non c’è esperienza profana che non rimandi a un archetipo sacro, metastorico – nella stessa modernità. Tra le sue pubblicazioni più recenti: La foresta incantata. Patologia della Germania moderna (Quodlibet 2010); Il Vortice Estetico. Elementi per un’estetica generale (Morlacchi 2015), I paesaggi del Regno (Neri Pozza 2017), Strategie imperiali. America, Germania, Europa (Quodlibet 2019),  Viaggio in Italia (Neri Pozza 2020), L’onda anomala. Cronaca filosofica della pandemia (Medusa 2021).

One thought on “Calasso e la dittatura digitale

Comments are closed.