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Capobianco artista tra “Natura naturans” e “Natura naturata”

Il contributo è un omaggio alla persona e all’artista Sebastiano Antonio De Laurentiis detto Capobianco (Roccascalegna, 1938-2018; la foto risale agli anni ’80, per gentile concessione dei familiari; riproduzione riservata). Ho avuto la fortuna di conoscere Capobianco in tempi diversi delle nostre vite. Il titolo richiama la relazione tra le due formule latine note dalla filosofia medievale del XIII secolo, risalenti ai Dottori della Chiesa Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio, e ancora prima alla trasmissione delle opere di Aristotele (physis = natura) nelle traduzioni e nei commenti di Averroè. Nella filosofia della Scolastica l’accezione è teologica con riferimento al creatore e al creato. Qui il nesso viene ripreso però nella ricezione leggermente mutata che ne fece il filosofo olandese Baruch de Spinoza nella sua opera sull’Etica, dove natura naturans indica la sostanza indifferenziata del creato, mentre natura naturata corrisponde a quella sostanza in quanto espressa negli attributi e nei modi. Ancora prima lo stesso rapporto era stato utilizzato da Francesco Bacone e da Giordano Bruno. Come ha sottolineato lo storico della filosofia Remo Bodei: «nessun ente per Spinoza è isolato dal resto della natura, nessun uomo è ‘un impero in un impero’: tutti partecipiamo delle vicende del mondo, subendone le forze che vi agiscono e reagendo a esse più o meno adeguatamente».

In termini di interventi artistici – che è quello che qui interessa – si può pensare a un’idea della natura come ciclo continuo di crescita e trasformazione (anche di corruzione); se l’uomo s’innesta in questo movimento infinito, cercando di replicarne le dinamiche o creandone di alternative, origina arte.

Una dialettica, o si dovrebbe dire polarità, colta molto bene dallo storico di etno-botanica Aurelio Manzi in riferimento al territorio dell’Aventino-medio Sangro, ai luoghi del versante orientale del massiccio della Maiella che insistono sui due fiumi confluenti e che hanno costituito il fondale paesaggistico per l’attività artistica di Sebastiano A. De Laurentiis e della Biennale di campagne d’artista avente per titolo “Comunicazione fra Arte e Natura” da lui ideata e coordinata a partire dal 1996. Manzi, infatti, parla di una “armonia del caos” sui tempi delle formazioni geologiche, ma la rapporta ad un’analoga tensione sulla scala della riflessione artistica condotta da Capobianco. «Dall’ambiente emergono in luce le opere di Sebastiano Antonio De Laurentiis, in tutta la loro poetica fragilità fatta di semi, di spighe, di terra, degli elementi stagionali più delicati ed effimeri che si possono raccogliere in natura».

Un altro amico di tutta una vita si esprime così a proposito dell’artista e della persona: «Per Antonio l’arte è nella natura stessa, nei luoghi da lui conosciuti, che sono gli stessi della mia adolescenza, nelle pietre, nella terra, nelle piante, negli alberi morti e trascinati dalle piene sui greti dei fiumi, nei fiori, nei covoni di grano, nelle immagini suggestive della Maiella». De Laurentiis, chiamato dagli amici in dialetto paesano Cocciabianca, è stato unanimemente percepito come un “artista-contro”, forse anche eccentrico. Si obietterà: tutti gli artisti sono persone speciali; ma in Capobianco quel luogo comune ha trovato una declinazione diversa, un’eccezione che conferma la regola perché egli ha preferito essere una persona normale, a volte anche al prezzo di rimetterci in fama e guadagni; innanzitutto nella riluttanza profonda verso i circuiti del successo commerciale. Ciò spiega perché lo si trova poco citato e studiato, almeno fino all’attenzione e riscoperta degli ultimi anni, rispetto all’oggettivo valore tecnico ed estetico della sua produzione. Non ha voluto intrupparsi in scuole o piegarsi alle sirene dei galleristi e dei mercanti d’arte, pur di rimanere coerente con le proprie idee. È rimasto un artista di nicchia, apprezzato dagli happy few: critici, colleghi e amici che hanno avuto la fortuna di incrociarlo e di apprezzarne le qualità umane e artistiche.

Alberto Asor Rosa negli anni ’60 divenne affezionato compratore di alcune delle sue opere. Maurizio Calvesi seppe assecondarlo nello sperimentare soluzioni nuove nella calcografia. Fabio Sargentini lo volle nella sua scuderia che faceva riferimento alla galleria L’Attico, quando era in Piazza di Spagna nel 1957 ancora diretta dal padre Bruno. Lucia Arbace, volitiva soprintendente dei Beni storici artistici ed etnoantropologici della Regione Abruzzo, ha saputo stanarlo dal nido di pigrizia, diffidenza e disillusione in cui l’artista si crogiolava negli ultimi anni, prima facendo acquistare nel 2012 una scelta di pezzi rappresentativi dell’intera carriera, i quali ora sono tra le raccolte del Museo nazionale d’Abruzzo (MuNDA, a L’Aquila); e in seguito lo ha portato in una mostra personale riassuntiva al Maschio Angioino di Napoli nel 2015.

Capobianco artista tra Natura naturans e Natura naturata

 

L'autore

Rossano De Laurentiis
Lavora presso la Biblioteca Umanistica dell'Università degli studi di Firenze. Svolge attività di ricercatore indipendente, dopo aver conseguito la laurea in Lettere moderne, con una tesi di laurea di Storia dell'editoria. Dottore di ricerca in Scienze bibliografiche alla Università di Udine (XVII ciclo), con un progetto sulla figura di Guido Biagi e la biblioteconomia in Italia tra XIX e XX secolo, volume uscito per l'Associazione Italiana Biblioteche, Roma 2017. Dottore di ricerca in Filologia e Critica delle letterature antiche e moderne alla Università di Siena 1240 (XXVIII ciclo) con l'edizione del carteggio tra Ernesto G. Parodi e Pio Rajna (in corso di pubblicazione). La sua produzione scientifica è disponibile su https://unifi.academia.edu/RossanoDeLaurentiis .