In primo piano · Interventi

L’uomo tecnoliquido: una sfida per la cultura dell’incontro

L’uomo rinuncia ad un’identità stabile per vivere al passo con una società permeata di tecnologia che induce l’uomo stesso a concepirsi non più come persona ma come un individuo. Si rende necessario pertanto il recupero dell’identità dell’uomo solo partendo da un’attenta riflessione sul termine persona. La persona ha due dimensioni costitutive fondamentali: l’individualità, intesa come autopossesso, e comunicabilità, apertura all’altro, ritrovabile nella relazione reciproca  io-tu, in cui si fa largo l’aspetto antropologico della creaturalità. L’uomo in quanto creatura è chiamato a custodire il creato, responsabile del mondo e della storia e ciò permette di rileggere positivamente il senso della tecnologia, un nuovo modo di custodire il creato.

Rhaner propone il concetto di «esperienza trascendentale»: nella conoscenza il soggetto coglie oltre a quello che conosce, anche sé stesso. In questo senso i mezzi tecnologici sono da intendersi dei contenitori dell’esperienza umana, con cui l’uomo può conoscere il mondo, ma allo stesso tempo riconoscersi orientato verso Dio. La trascendenza rahneriana dunque, svela e affida l’uomo a sé stesso; il suo essere persona è indice di autopossesso e si realizza in piena libertà emersa dalla natura stessa dell’uomo. Essendo una creatura, l’uomo vive nel tempo e nel mondo, dunque, è storicamente condizionato e contemporaneamente è affidato a sé stesso consapevole di non poter disporre della realtà.

Questa verità sull’uomo è esplicitata anche dal mondo tecnologico, dove attraverso tale mediazione esso si ritrova a fare i conti con i condizionamenti: «[…] il tempo segna la tecnica e il mondo modificandone la possibilità e i limiti: viviamo costantemente nella dialettica tra il mondo dei nostri desideri e il mondo delle possibilità definito qui ed ora dalle nostre capacità e possibilità tecniche» (Benanti, 2018).

Riconoscersi creatura significa dare un nuovo valore a sé stesso e a ciò che lo circonda. Ai primordi l’uomo ha ricevuto il compito di custodire il creato, compito ancora attuale, realizzabile nell’oggi con i nuovi strumenti tecnologici, frutto dell’intelligenza stessa dell’uomo. Questi devono permettere all’uomo di poter fare quell’esperienza che risponde alla domanda di senso: “chi è l’uomo?”.

Inoltre, la definizione di persona più nota applicabile sia a Dio che all’uomo è quella di Boezio. Egli afferma che la persona è una «rationalis naturae individua substantia»: una sostanza individuale di natura razionale. Anche Tommaso d’Aquino propone una definizione simile in Summa Theologiae: «omne individuum rationalis naturae dicitur persona» (ogni individuo di natura razionale è chiamato persona) e in Summa contra Gentiles afferma «omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona», cioè «ogni essere sussistente dalla natura razionale o intellettuale, è persona», aggiungendo alla definizione boeziana anche intellettuale per ricomprendere tutte le capacità della ragione umana e divina.

Un completamento essenziale alla metafisica della persona come sostanza è dato dalla riflessione sulla persona come essere essenzialmente relazionale. Si deve al pensiero contemporaneo il riconoscimento alla relazione di una forma ugualmente originaria dell’essere non inferiore a quella di sostanza: «tutta la realtà può essere letta alla luce delle due categorie di ciò che esiste per sé (le sostanze) e di ciò che è in rapporto ad altro da sé (le relazioni)» (Paola Premoli De Marchi, 2022).

La relazionalità, quindi, deve essere considerata una caratteristica essenziale della persona. La rete dunque come deve essere vissuta? La rete va vissuta come una rappresentazione di colui che l’ha prodotta, anche nell’aspetto relazionale. L’uomo strutturalmente è un essere aperto all’altro, dunque, se la persona è il centro per una giusta lettura del mondo digitale, anche la dimensione relazionale deve ritornare al suo centro. Questa presenza è l’esserci, cioè «un significante rappresentativo dell’io spirituale della persona che ha nella sua essenza un essere chiamato a essere con» (Benanti, 2018).

L’oggi, è caratterizzato da un forte individualismo, che segnale azioni dell’uomo nel contesto comunitario e familiare. Per scardinare tale fenomeno, è importante orientare il pensiero verso una cultura dell’incontro, che ha le sue radici in un dato antropologico originario, la nostra essenziale struttura relazionale.

L’incontro è un momento di vita, per sua struttura egli è orientato verso una relazione, dove scopre l’importanza dell’altro, diverso da sé, e l’importanza dell’instaurare un dialogo con il proprio simile. I nativi digitali instaurano relazioni attraverso i social network, relazioni chiamate amicizie in senso improprio perché non sono fondate su un’esperienza quotidiana, dove vi è un eccessivo interagire senza alcuna azione. Il desiderio di essere “connessi” degli uomini digitalizzati è la manifestazione del mondo moderno della propensione che l’uomo ha di andare oltre sé stesso e entrare in relazione con gli altri. Nella lettura del mondo contemporaneo si possono riconoscere riconosce due culture opposte: la cultura dell’incontro e la cultura dell’esclusione. Nel mondo tecnoliquido vige la cultura dello scarto dove tutto è valutato secondo il criterio dell’utilità, secondo la mentalità consumistica, in cui il bambino o l’anziano non hanno un posto nel mondo perché non sono efficienti e pragmatici. L’invito quindi, per cambiare rotta, è rendere sempre più umana la civiltà di oggi. Una caratteristica propria della società contemporanea è la nascita delle comunità virtuali, o social community, ma queste non sono sinonimo di comunità. La community è l’insieme di individui che instaurano legami deboli perché uniti da un comune interesse, dove la relazione è la via privilegiata per soddisfare un desiderio. Nella struttura dell’uomo postmoderno è debole quell’idea per cui si concepisce se stessi come un dono per l’altro. È l’“essere per” che porta l’uomo a considerarsi come dono per l’altro, che implica un prendersi cura senza alcun tornaconto, ritrovabile nella relazione tra genitore e figlio.

La società contemporanea può essere descritta metaforicamente dal format televisivo chiamato Grande Fratello, un vero e proprio esperimento in cui l’uomo sceglie di vivere in una casa sotto l’occhio vigile della telecamera la quale cattura ogni movimento o contatto. È il fenomeno che dimostra come l’uomo ami guardare ed essere guardato placando quella voglia continua di controllo che la tecnomediazione ha innescato. La società tecnoliquida ritornerà ad essere consistente nelle sue dinamiche solo quando l’uomo avrà il coraggio di spegnere il proprio smartphone e vivere veramente la relazione con chi gli sta accanto, per riscoprire la bellezza che l’incontro con l’altro apporta nella propria vita.

La sfida dell’uomo di “oggi”? Educare ed educarsi ad un uso corretto della tecnologia, per non lasciarsi dominare da essa. I mezzi tecnologici hanno permesso all’uomo, per esempio, di ridurre tempistiche di attesa; non è più necessario “fare la fila” per consegnare un documento, attraverso un semplice click è già consegnato. Questa conquista di tempo dovrebbe permettere all’uomo di intessere relazioni sempre più autentiche, si dovrebbe avere il tempo di guardare negli occhi il proprio simile ed iniziare ad amarlo così come.

larocca_michele@tiscali.it

Riferimenti bibliografici

2012 AGOSTINO D’IPPONA, Opera Omnia, Roma.
2018 BENANTI, La condizione tecno-umana, domande di senso nell’era della tecnologia, Bologna.
2007. BOSIO, L’urgenza di una nuova antropologia filosofica. Uomo e storia, in «Scienze del pensiero e del comportamento», 1, 1-3.
1999. KOWALCZYK, La personalità in Dio: dal metodo trascendentale di Karl Rahner verso un orientamento dialogico in Heinrich Ott, Città del Vaticano.
2011. PREMOLI DE MARCHI, La persona tra metafisica, fenomenologia ed etica, Verona.
2022. PREMOLI DE MARCHI, Capolavoro e mistero. Esperienza e verità dell’essere umano, Milano.
2012. SANNA, L’antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Brescia

 

L'autore

Michele La Rocca
Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.