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Albert e Maria: un amore epistolare e altro ancora

Albert Camus a Maria Casarès, 19 giugno 1956: «Il buon René è in gran forma e con me ha sparato a zero sulla giovane generazione intellettuale dicendomi che sembrano tutti delle supposte e che quindi non c’è da stupirsi che facciano quel che fanno le supposte, cioè liquefarsi».
René Char, poeta, e Albert Camus, scrittore, si conobbero nel 1946 in occasione della pubblicazione nella collana “Espoir” di Gallimard diretta da Albert Camus dei Fogli d’Ipnos. Sorse tra loro una grande amicizia. E fu proprio René Char a restituire a Maria Casarès le lettere che lei aveva scritto all’amante Albert Camus, al momento della sua scomparsa. Un atto dovuto, forse per la delicatezza della situazione, a seguito della morte dello scrittore premio Nobel deceduto in un incidente stradale (evento sul quale albergò per anni il sospetto che fosse stato un delitto commissionato dal KGB).
Dal luglio 1956 Camus si era trasferito a Parigi al numero 4 di rue Chanaleilles, nello stesso edificio dell’amico René Char, ed è dunque probabile che questi, alla morte dello scrittore, abbia fortunosamente recuperato le lettere intime di Maria per riconsegnarle all’amica spagnola, figlia di Santiago Casarès Quiroga, più volte ministro e capo del governo della Seconda Repubblica spagnola, costretto all’esilio alla presa del potere da parte di Franco.

Epistolario che, all’inizio degli anni Novanta, Maria vendette alla figlia di Camus, Catherine, per poter riparare il tetto della sua casa di campagna nella Charente. È la stessa Catherine a raccontare come agli inizi degli anni Ottanta, alla morte della madre, abbia sentito l’esigenza di conoscere la famosa amante del padre attendendola dietro le quinte di un teatro di Nizza dove l’attrice era in tournée: alla fine passarono la giornata assieme, sdraiate nel letto della sua camera d’albergo mangiando cioccolato come fossero amiche da sempre. Effettivamente Maria conosceva la vita di Catherine, perché Camus era solito aggiornarla dei successi scolastici della figlia e degli altri avvenimenti che accadevano tra le mura domestiche. Così come la madre di Catherine, Francine Fauré, seconda moglie di Camus, era al corrente della relazione clandestina che il marito aveva con la bella attrice spagnola, tanto da tentare il suicidio e costringere il marito a non lasciarla e a preoccuparsi in continuazione della sua salute mentale, come emerge da una lettera inviata a Maria il 30 dicembre del 1953:

La situazione è a tal punto peggiorata che è stato necessario sorvegliare F[rancine] costantemente. Ieri, lasciata sola un secondo, si è precipitata verso il balcone e l’ho afferrata proprio quando stava per scavalcare. Senza la mia rapidità, era fatta. Naturalmente, questo è avvenuto in piena crisi. Fosse stata lucida, non sarebbe mai successo. Lo specialista venuto stamattina mi ha assicurato che questo periodo di crisi finirà presto e poi si tratterà di cure più semplici. Nel frattempo, è necessario sorvegliarla.

Ciò nonostante lo scrittore continuò a frequentare l’amata, a cui era legato da un sentimento intimo e travolgente: la considerava come una cura alle privazioni di una vita di responsabilità a cui non poteva sottrarsi.
Nei primi anni Novanta, Maria telefonò a Catherine per chiederle il permesso di vendere le sue lettere e quelle di Camus al fine di poter riparare, col guadagno conseguito, la casa a La Vergne dove viveva col marito. Inizialmente la figlia diede il consenso pensando che anche il padre avrebbe acconsentito poi, ripensandoci, la ricontattò il giorno dopo chiedendo di far valutare le lettere perché lei stessa era interessata all’acquisto.
Le lettere restarono in una borsa da viaggio per ventidue anni senza essere lette da nessuno, finché nel 2017 la figlia di Camus decise di pubblicare l’intero carteggio presso Gallimard, editore del padre: Maria era morta da vent’anni.
Nel complesso, 865 lettere che i due si sono scambiati dal 1944 al 1959 (l’epistolario s’interrompe quattro giorni prima della morte di lui), con una lacuna di quattro anni, dalla fine del 1944 al 1948, quando Casarès decise di chiudere la relazione con Camus per il rientro della moglie a Parigi. Dall’ottobre del 1942 il giovane scrittore di Algeri viveva infatti da solo in rue Vaneau, in un appartamentino affittatogli da André Gide; la moglie Francine era rimasta a Orano non potendolo raggiungere a causa dell’occupazione tedesca.
Albert Camus e Maria Casarès si erano incontrati a casa di Michel e Zette Leiris il 19 marzo 1944, durante una rappresentazione-lettura domestica del Desiderio preso per la coda di Pablo Picasso: all’epoca erano incontri privati assai in voga. Lo scrittore – ammaliato dalla bellezza della giovane attrice più giovane di lui di nove anni, ex allieva del Conservatoire d’art dramatique e sotto contratto al Théâtre des Mathurins – le propose la parte di Martha ne Il malinteso. La notte del 6 giugno 1944, giorno dello sbarco delle truppe alleate in Normandia, dopo una serata a casa del regista Charles Dullin, i due passarono la notte assieme. Dopo due anni di separazione forzata, alla fine del 1944 la moglie Francine lasciò Orano per raggiungere il marito a Parigi, e questo rientro determinò la fine della relazione con Maria, interruzione fortemente voluta da quest’ultima.

Nel frattempo Camus scrisse La peste, romanzo pubblicato da Gallimard e che gli valse il premio Nobel. Ma non aveva dimenticato l’amante, tanto che le scrisse una lettera dolce e affettuosa alla morte della madre di lei: «Immagino che non mi concederesti di condividere i tuoi momenti di felicità, ma credo di poter ancora condividere, seppur da lontano, i tuoi dolori e le tue sofferenze. So bene quanto devono essere grandi e inconsolabili quelli di oggi». Dall’altra parte il silenzio più totale, finché il 6 giugno 1948, dopo un casuale incontro in boulevard Saint-Germain, i due tornarono a frequentarsi. E non si lasciarono più.
Il loro carteggio è un fiume in piena di parole d’amore, consolazione, affetto e reciproca fiducia, nonostante fossero separati dal tempo, dallo spazio e da due vite totalmente diverse. Gli unici momenti di gioia erano queste missive – che permisero loro di fortificare il rapporto – e gli incontri, rari e sporadici; il resto era scrittura dell’attesa, quella di potersi rivedere e amare.
Se la raccolta – tradotta nel 2021 in italiano da Bompiani, a quattro anni di distanza dall’edizione francese – attesta un rapporto struggente e a tratti malinconico, permette anche di ricostruire aspetti della vita sociale e culturale dell’epoca. La dovizia di particolari con cui i due amanti si scambiano informazioni e pettegolezzi sui protagonisti della scena culturale consente di riannodare aspetti della storia editoriale delle opere di Camus, delle rappresentazioni teatrali delle sue pièces per le quali adattò i personaggi femminili principali all’amata attrice, di conoscere un mondo sotterraneo popolato di personaggi noti e meno noti (attori, poeti, scrittori, sceneggiatori, editori, pittori, registi). Le lettere permettono anche di svelare aspetti meno noti della vicenda letteraria di Camus, come il tentativo di mandare in porto un adattamento del romanzo La peste per la televisione.
La cosa emerge da una lettera di Albert a Maria del 12 febbraio 1950: «[Marcel] Cartier, il produttore di cui ti ho parlato e sul quale non mi hai detto niente (ma rispondi sempre meno alle mie domande, svampitella!) mi ha scritto a lungo sui suoi progetti. È piuttosto simpatico e spesso intelligente. Non so perché, ma mi ispira fiducia. Può essere, allora, che vedremo La peste sugli schermi». Lei rispose due giorni dopo in maniera ironica e maliziosa: «Ho fatto un’indagine in piena regola sul tuo signor Cartier, ma non te ne ho parlato perché non lo conosce nessuno. Non è mica colpa mia se vai a pescare i tuoi produttori cinematografici tra i fiorai! Svampitello sarai tu! Come pensi che le “specie di entità” che conosco nel campo possano essere legate a esseri “simpatici e spesso intelligenti”?».
I nomi che i due citano sono innumerevoli; basta scorrere gli indici a corredo del volume per rendersi conto di quanto sia ampia la platea dei personaggi evocati, sui quali i due amanti non risparmiano frecciatine e allusioni. Così scrive Maria ad Albert il 25 giugno del 1959: «Senza preavviso, il signor Vilar annuncia a tutti, in bacheca, che la nuova stagione comincerà il 4 giugno e, che ha mandato alla stampa un comunicato in cui dice che ha comprato i diritti dei Giganti della montagna, che verrà messo su allo Chaillot nella prossima stagione sotto la direzione del signor Strehler (il peggior regista di Pirandello, com’è noto) e che tutti gli attori e le attrici della troupe formeranno il cast».
E ancora, per il film Donne e briganti di Mario Soldati che esce nelle sale cinematografiche nel 1951 e il cui ruolo di Laura viene inizialmente affidato a Maria, ella scrive il 7 marzo 1950: «Soldati è un uomo giovane – direi sui trentacinque anni – magro, moro, con dei baffi fitti, esagitato, spaccone e… italiano. Durante l’intera conversazione, svoltasi in un appartamento in cui lavorava dalla mattina, non ha mai mollato il bastone che teneva in mano, e mentre lo sceneggiatore mi spiegava la storia del film e mi presentava il personaggio di Laura, Soldati mi girava attorno, mi contemplava, mi squadrava, mi osservava, mi analizzava da tutte le possibili angolazioni. Alla fine, innervosita, l’ho pregato di sedersi con la scusa che mi faceva venire il capogiro».
Il comportamento insofferente e indeciso di Maria per una permanenza in Italia, lontana da Camus, la gelosia di quest’ultimo per le attenzioni invadenti del regista italiano, porteranno Soldati ad affidare la parte a Jacqueline Pierreux: «Amore mio adorato, il problema non è sapere se il film di Soldati mi piace o non mi piace, ma se è necessario che tu lo faccia. Se non hai altro, accetta e non preoccuparti per me. Combinerò in qualche modo per non starti lontano. D’altra parte, meglio l’Italia del Messico in questo momento. Se quell’imbecille ti dà noia, prendilo a schiaffi. In società funziona così».
Il 14 dicembre 1959 Albert scrive a proposito dell’attrice amante di Gaston Gallimard: «Valentine Tessier mi tempesta di lettere per incontrarmi – non so cosa vuole, ma temo che sia ancora per coinvolgermi nelle sue beghe con Gaston Gallimard. Gli esseri umani non dovrebbero invecchiare, se non come i saggi indù, sotto un albero, nel profondo delle foreste». E ancora in una lettera del 21 marzo del 1951 Camus avvisa che Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Pierre Bost sono a Auron, nel Mercantour, in quanto lui ha necessità di pace per terminare la sua pièce il Diavolo e il buon Dio: «Sartre è in una località montana poco distante da qui. S[imone] de B[eauvoir] scia. Lui chiude le finestre, si ficca in bocca la pipa e lavora alla pièce, con le parti già assegnate».

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Se la pubblicazione dello scambio epistolare tra i due ha da una parte riscattato la figura di Maria, relegata per anni all’ombra di amante di un grande scrittore, dall’altra emerge la figura di un Camus fragile, insicuro, ombroso che necessita di essere sempre rassicurato sulla costanza sentimentale dell’amante: «Scrivimi tanto. Che cosa fai? Mi pensi? Morirei all’idea di perderti, sappilo. Devo dare questa lettera al postino se voglio che parta domani. Ma non senza dirti ancora che ti amo e che conto le ore che mi separano dal tuo bel viso. Riposati, mi raccomando, riposati nel mio amore. Vivo di te, solo e sempre, Maria adorata».
«Sei un adorabile imbecille» lo definisce lei, perdonando chissà quale fraintendimento e insicurezza. Nella raccolta di lettere Maria predomina in termini di allegria, intelligenza, leggerezza. Nel proprio sacrificio (lui le chiese apertamente di accettare la sua condizione di coniugato mettendo fine a ogni aspettativa di vita insieme, e lei accettò perché non voleva essere la causa della distruzione di una famiglia) scrive all’amato lettere con raffinato gusto letterario, dimostrando uno stile narrativo di inattesa bellezza:

Ti parlo con tutta l’anima sulla punta delle labbra, dopo aver riflettuto molto. Ho sognato una vita insieme a te, e ti giuro che mi costa rinunciarci, ma devi credermi proprio perché per me è così doloroso. Se pensi alla mia felicità, sappi che c’è qualcosa di più orribile delle sofferenze che ho provato o provo ancora nella situazione in cui siamo: l’atroce strazio che vivrei sapendoti in contrasto con la tua coscienza, mezzo distrutto e incline a un amore conquistato solo in parte in cui mi sentirei estranea e criminale.

Come ha affermato Catherine Camus – che da anni si occupa di pubblicare gli inediti del padre – si tratta a ben vedere di pura creatività: a parte la curiosità morbosa che l’epistolario può alimentare, ci si trova di fronte a un bell’esempio di letteratura contemporanea, dove la realtà vissuta è abitata da desideri, mistificazioni, ambizioni, delusioni e un fuoco di passione.
Se l’epistolario in questione rappresenta una testimonianza tangibile di un amore profondo, un’amicizia tenera, e un rapporto che guarda oltre le convenzioni, deve anche essere riguardato come fonte documentaria che permette di esplorare la scena culturale post-bellica, francese ed europea. Centinaia di lettere salvate dalla furia del tempo e dall’incuria della memoria. Con la pubblicazione, Catherine si è posta al livello dei due teneri amanti, avendo cura di non ferire il cuore della madre e attendendo perciò la sua scomparsa per varare l’edizione; auspicando anche una redenzione per l’ammirata figura di Maria Casarès. Nel complesso, un carteggio di raro incanto, conseguito pezzo a pezzo al crepuscolo dell’epoca in cui sono state scritte lettere con carta e penna. Un documento che fa capire come la messaggistica moderna sia qualcosa di sterile, che si perderà fatalmente nel nulla.

francesca.nepori@cultura.gov.it

 

 

 

 

L'autore

Francesca Nepori
Archivista di Stato e attuale Direttore dell’Archivio di Stato di Massa. Studiosa di bibliografia, biblioteconomia, storia dell’editoria e bibliofilia da anni collabora con riviste accademiche e specialistiche. Ha concentrato la propria attenzione sulla storia delle biblioteche ecclesiastiche e religiose.