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L’albanese, lingua madre ospite del SalTo 2023  

Il 21 febbraio è la giornata internazionale della lingua madre, proclamata dall’Unesco per promuovere il multilinguismo e la diversità linguistica e culturale, fortemente minacciate nel corso dei tempi. Tale celebrazione nasce da un triste evento avvenuto il 21 febbraio del 1952 a Dacca, in Bangladesh, per commemorare gli studenti uccisi dalle forze di polizia mentre manifestavano per il loro diritto al riconoscimento del bangla, nome nativo del bengalese, una delle lingue nazionali del Pakistan, come lingua ufficiale accanto all’urdu. Irina Bokova, Direttrice Generale dell’Unesco descrive le finalità di tale ricorrenza: “La Giornata Internazionale della Lingua Madre è l’occasione per riconoscere l’importanza delle lingue e per mobilitarsi a favore del multilinguismo e della diversità linguistica. Il multilinguismo apre fantastiche opportunità di dialogo, necessario per la comprensione e la cooperazione. L’utilizzo della lingua madre coesiste armoniosamente con l’acquisizione di altre lingue”.

Il tema centrale dell’edizione 2023 della Giornata Internazionale della Lingua Madre è stato “L’educazione multilingue”. Per l’Unesco, “la scuola che insegna ai bambini con la lingua parlata a casa rispetta i diritti umani e aiuta a eliminare le disuguaglianze”, secondo La Voce di New York. Più in dettaglio, tra i temi affrontati in questa edizione si annoverano:

– il potenziamento dell’educazione multilingue come fattore capace di incrementare l’istruzione in contesti plurilinguistici, scolastici e non, dalla scuola dell’infanzia in su;

– il sostegno all’apprendimento attraverso l’educazione multilingue e il multilinguismo in contesti globali e plurali, anche in riferimento alle situazioni di crisi e di emergenza;

– la rivitalizzazione delle lingue che stanno scomparendo o sono minacciate di estinzione.

La lingua, in quanto prodotto umano, è uno strumento con cui l’uomo comunica coi suoi simili e un mezzo per interpretare e conoscere il mondo. Da piccoli s’apprende la lingua parlata dai genitori, la madrelingua, appunto, ascoltata prima ancora della nascita nell’utero materno e nei primi anni della propria esistenza dentro la famiglia, prima del debutto in società. La lingua madre, invece, è la lingua che dà origine ad altre lingue. Si possono avere anche più lingue madre, una materna e una paterna, nel caso di genitori provenienti da paesi diversi, oppure si può perdere una certa fluidità nella propria lingua madre a favore della lingua del paese ospitante. La lingua madre è la nostra carta di identità, racconta e custodisce le tradizioni, le visioni, il passato dei genitori, permette di mantenere un contatto con la propria terra e con gli antenati che l’hanno abitata. La globalizzazione, inoltre, induce sempre più spesso a ragionare sul valore sociale di un individuo e della ricchezza della diversità linguistica.

Siamo parlanti che interagiscono tra loro scambiandoci concetti, idee, sogni e speranze, ognuno con la propria storia linguistica, la sua lingua madre, o le sue lingue madre. È la diversità a contraddistinguerci e a tenerci uniti come abitanti dell’Europa: siamo tutti tenuti a difendere e garantire la diversità linguistica di una società multilingue. Diversità che è sinonimo di arricchimento personale e sociale, sia da un punto di vista culturale che economico. Intesa come specchio della propria anima, la lingua risulta un meccanismo di proiezione dell’essere umano per investigare su se stesso, sul mondo che lo circonda e sulla realtà nascosta all’evidenza ma anche sulle relazioni che si instaurano tra sé e l’alterità.

“Attraverso lo specchio” è il tema della XXXV edizione del Salone del Libro al Lingotto Fiere di Torino dal 18 al 22 maggio 2023.

L’illustrazione è stata creata dall’artista Elisa Talentino, grafica, pittrice e illustratrice nel settore editoriale. Nel mese di aprile sarà ufficializzato il programma completo ma alcuni ospiti di questa edizione sono già stati annunciati. La manifestazione sarà inaugurata dalla scrittrice bielorussa premio Nobel Svetlana Aleksievič. Tra gli ospiti, il Premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka con il nuovo romanzo Cronache dalla terra dei felici (La nave di Teseo); Peter Cameron presenterà la sua raccolta Aria (Adelphi), Mark Z. Danielewski con il suo ultimo libro Caro stronzo (Fandango), Barry Gifford con il libro Camera d’albergo (Jimenez Edizioni), Paco Roca con la nuova edizione de I solchi del destino (Tunué), Tony Wheeler, fondatore della Lonely Planet, e la scrittrice Virginie Despentes. Tra gli italiani presenti al Salone Alessandro Barbero, Amanda Lear, Melania G. Mazzucco e la campionessa di nuoto Federica Pellegrini.

L’Albania è il Paese ospite dell’edizione 2023, la regione ospite la Sardegna. Gli albanesi sono un popolo gioviale e altero, particolarmente conservativo nei confronti delle tradizioni, della patria e della loro lingua materna. Preservare la madrelingua consente di affermare la propria identità all’interno di contesti comunitari in cui plurilinguismo e multilinguismo sono in aumento; anzi, il multilinguismo è reso possibile dal mantenimento e dalla solida competenza della lingua madre.

La maggioranza degli albanesi sono parlanti multilingue che riescono a masticare molto bene le parole straniere, sanno usare più lingue in diverse circostanze. Il glottologo Leonard Bloomfield (1887-1949) definiva nel 1933 un multilingue come un parlante con competenze da madrelingua su tutte le lingue che conosceva e parlava, come se fosse la somma di più parlanti monolingue. Oggi, invece, con multilinguismo ci si riferisce più all’uso e alla capacità di un parlante di utilizzare due o più lingue che al grado di competenza raggiunto. Esposti a più lingue fin dalla nascita, il popolo albanese è da considerarsi multilingue da secoli. Per molti, imparare una seconda o una terza lingua da adulti risulta estremamente facile. Anche gli anziani taciturni che girovagano pacifici con il loro bastone e il qelesh in testa, copricapo del costume nazionale, sono parlanti multilingue, in quanto comprendono l’italiano, una lingua diversa dalla propria, anche senza parlarla. La stragrande maggioranza degli albanesi ha una perfetta conoscenza dell’italiano. Per molti parlanti e scrittori, la lingua del “paese di fronte” è diventata lingua dominante, affiancata al greco moderno, all’inglese, al francese o al tedesco, parlate con la stessa fluidità dei nativi. Semplicemente, il merito va all’alfabeto shqiptar, tra i più antichi d’Europa, e a un’articolazione particolarmente complicata persino ad esperti linguisti poliglotti.

La vetusta lingua balcanica sopravvive con tenacia e devozione nelle pieghe della memoria e vari autori albanesi che scrivono in italiano propongono i loro libri anche nella XXXV edizione del Salone del Libro di Torino 2023.

Tra gli ospiti è già stato confermato il nome di Tom Kuka, alias Enkel Demi, autore già noto al pubblico italiano per aver pubblicato L’Ora del male, storia d’amore e di famiglia che parla di radici e di vendetta attraverso una canzone epica. I canti, entità epiche erranti che raccontano fatti e fato delle comunità albanesi, sono sempre stati un mezzo di comunicazione, e i cantori delle figure anonime, strumenti di comunicazione tra il mondo dei vivi e dei morti, tra quello dei sopravvissuti e degli scomparsi.

A song will lift / as the mainsail shifts / and the boat drifts on to the shoreline. / And the sun will respect / every face on the deck, / the hour that the ship comes in. [Una canzone si innalzerà / mentre la vela maestra scenderà / e la barca scivolerà verso la spiaggia. / E il sole rispetterà / ogni faccia sul ponte, / l’ora in cui la nave arriverà in porto].

Sono i versi della canzone di Bob Dylan, When The Ship Comes In (1963) e la nave è la Katër i Radës, le prime parole cantate in Naufragio, Morte nel Mediterraneo di Alessandro Leogrande. Amava l’Albania Leogrande, e nonostante la bassa voce con cui dialogava, si faceva capire. Dopo vent’anni dalla tragedia, il romanzo – inchiesta diventa l’opera da camera “Katër i Radës”, polifonico viaggio verso l’oscurità di un centinaio di uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra civile del compositore albanese Admir Shkurtaj. Un’opera contemporanea che accoglie elementi del jazz e della musica albanese per la Biennale di Venezia 2014, con libretto di Alessandro Leogrande, messa in scena dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce con la regia di Salvatore Tramacere. Il canto polifonico ricorda il sogno di una terra promessa, modula discorsi innocenti in un albanese misto all’ italiano nel buio della notte, evoca grida soffocate, pianti, lamenti. Alla musica viene affidato il compito di raccontare l’indicibile: il naufragio della motovedetta albanese che cola a picco nel canale d’Otranto nel 1997.

L’immagine della nave in porto è paradigmatica e commovente: ricorda che le radici del popolo albanese sono sempre state lambite dalle acque adriatiche. Non sono strappate dalla terra, non rotolano rinsecchite come cespugli aridi senza peso portati dal vento del destino come anime erranti che abitano il deserto. Anche la lingua madre degli albanesi racconta le radici che affondano nelle profondità degli abissi e si nutre di lacrime di gioia e sofferenza; persino l’idea di libertà ha un sapore tragico. Una lingua isolata e indipendente, seppur indolente, continua a vivere da secoli in forma orale e scritta dai vari parlanti e da vecchi e nuovi cantori. Col suo tratto ruvido ma non secco, caccia sempre nuovi germogli e si fortifica nelle profondità saline del mare che sorveglia i suoi figli sepolti.

Altri hanno attraversato l’Adriatico e hanno intrapreso viaggi lunghi, tortuosi prima di scrivere i ricordi di un tempo familiare in varie lingue: raccontano l’infanzia e gli amori contrastati, gli anni del regime con sguardo crudo e limpido, narrano di fiumi di lotte sanguigne e vapori soporiferi per dimenticare le efferatezze della vita continuando ad andare avanti, di montagne innevate che si sciolgono e scorrono nei letti dei fiumi e di seni gonfi di madri che allattano, bagnati dalle copiose lacrime, le stesse che scavano le guance in silenzio. E mentre le donne cantano i lamenti, i pargoli vengono dondolati e coccolati con dolci melodie di ninne nanne. Chissà quanti degli scrittori che saranno presenti al SalTo addormentano ancora i propri figli nella lingua materna. Quanti di loro pronunciano “Gjumë të ëmbel, natën e mirë” [Dolce nanna, notte serena], le ultime, dolci parole prima di dormire. Sarebbe interessante rivolgere questa domanda durante le interviste. Più che una ninna nanna, un canto di forza e resistenza che fa sperare in un futuro più roseo.

ermira81@virgilio.it

 

L'autore

Ermira Shurdha
Ermira Shurdha
Ermira Shurdha è nata in Albania nel 1981. Si è trasferita nel 1993 in Italia appena adolescente. Oggi vive con la sua famiglia in Abruzzo, regione eletta per crescere le sue due figlie. Dopo una formazione scientifica si è dedicata alla sua vera passione, le lingue straniere, laureandosi all’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti - Pescara con una tesi sull’opera teatrale di Antonio Buero Vallejo. Nel 2017 ha conseguito una laurea magistrale con una tesi dal titolo “Últimas tardes con Teresa, més que una història”, romanzo eversivo ambientato nella Barcellona degli anni cinquanta di Juan Marsé, Premio Cervantes nel 2008 e prolifico scrittore di testi in castigliano. Ha analizzato l’opera data alle stampe nel 1965, all’interno del contesto storico - culturale catalano, con particolare attenzione al linguaggio musicale e cinematografico, associazioni con la poetica neorealista felliniana, accordando la critica in lingua spagnola, catalana e inglese alla cronaca degli amanti in sottofondo. Sempre attratta dalle tendenze creative del mondo della moda, attualmente gestisce una boutique di abbigliamento fondata nel 1991 a Giulianova.