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Giorgia Karvunaki intervista Antonis Fostieris

Chi è Antonis Fostieris e cosa vorrebbe che sapessero di lui i lettori italiani?

Anche se è imbarazzante parlare di sé, fornisco alcune informazioni biografiche. Sono nato ad Atene nel 1953. La mia famiglia è originaria dell’isola di Amorgos. Ho studiato Giurisprudenza ad Atene e Storia del Diritto a Parigi. Dal 1971 ho pubblicato dieci raccolte di poesie, l’opera omnia Άπαντα Τα Ποιήματα 1970-2020 (Tutte le poesie 1970-2020) e due Selezioni di poesie con illustrazioni originali di Alekos Fasianòs e Yiannis Psychopedis. Ventisei traduzioni di miei libri sono state pubblicate da autorevoli case editrici all’estero (Inghilterra, Francia, Germania, Danimarca, Spagna, Italia, Albania, Croazia, Serbia, Romania, USA, Argentina). Delle mie poesie sono state incluse nei Testi di Letteratura Greca Moderna per il Liceo (in Grecia e a Cipro) e in molte antologie. Ho tradotto in greco il libro di Max Jacob Art poétique. Conseils à un jeune poète.

Sulla mia opera poetica è stata pubblicata una raccolta di 250 testi critici e quattro monografie analitiche. Sono stato editore e direttore della rivista Η Νέα Ποίηση (1974-1976), condirettore dell’edizione annuale della rivista Ποίηση (1975-1981), condirettore e direttore della rivista letteraria Η Λέξη (1981-2010). I miei libri hanno ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio Internazionale Cavafy [Kavafis], il Premio di Poesia del Comune di Atene, il Premio Statale di Poesia e il Premio di Poesia dell’Accademia di Atene (Fondazione Ourani).

La sua prima raccolta di poesie, intitolata Στροφές και μεταλλάξεις (che in seguito ha ritirato), è stata pubblicata quando aveva sedici anni. Quale occasione l’ha avvicinata così presto ai ‘binari’ poetici?

La verità è che su questi “binari” mi ero posto molto prima: ho iniziato a scrivere a undici anni e ho pubblicato le mie prime poesie a dodici. L’intervallo di tempo fino ai sedici anni sembra piccolo, ma a quell’età gli anni contano il doppio e il triplo, i cambiamenti esterni e interni sono rapidi, la percezione del mondo e delle cose cambia con progressione geometrica. Le poesie che ho pubblicato nella raccolta quando avevo sedici anni non erano paragonabili a quelle che avevo scritto a dodici, ma dopo un po’ mi sono sembrate ancora immature, cosi ho preso la decisione di ritirarle, di farle scomparire dalla faccia della terra. Certo, ora che ci ripenso, a distanza di anni, potrei essere stato troppo severo nei loro confronti. Non voglio dire che rimpiango il ritiro, ma vedo che, nonostante le imperfezioni tecniche, i luoghi comuni e l’ingenuità tematica della maggior parte di esse, non erano del tutto insignificanti: posso intravedervi molti elementi precursori, sviluppati in seguito in altro modo, e direi addirittura che alcuni nella loro essenza più profonda sono rimasti intatti fino ad oggi. Sento col senno del poi che in quel clima di entusiasmo adolescenziale e di sforzi goffi ma appassionati che ‘si formavano intenti di poesia, / si profilava l’ambito dell’arte’, se posso usare due ben noti versi della poesia Νόησις (Comprensione) di Kavafis, aggiungendo anche un verso precedente: ‘Ma il senso mi sfuggiva, allora.’ Il più grande vantaggio del mio avvicinamento alla poesia fin dalla più tenera età è che l’ho conosciuta passo dopo passo, partendo dalle vecchie forme tradizionali e proseguendo a tentoni verso quelle più nuove, non solo nella lettura ma anche nella scrittura. La raccolta Στροφές και μεταλλάξεις così come Το μεγάλο ταξίδι, pubblicata due anni dopo, quando avevo diciotto anni, contengono diverse poesie in forma tradizionale, con metro e rima rigorosi. L’esperienza di quella tecnica che è tornata di moda ai nostri giorni travestita da ‘postmoderna’, si è rivelata preziosa nel mio caso, quando in seguito ho abbandonato la forma tradizionale e sono passato al verso libero. Il senso del ritmo che avevo assimilato attraverso il metro, e l’esigenza dell’unione sonora delle parole che avevo imparato dalla rima, mi hanno aiutato nei miei nuovi passi. Picasso nelle sue opere giovanili è stato un eccellente artigiano della pittura classica, molto prima di spezzare le forme per ricostruirle liberamente con il cubismo. Ha fatto lo stesso Braque. Bisogna ricordarsi che nelle botteghe del passato gli apprendisti pittori cominciavano spazzando per terra, lavando i pennelli e mescolando le polveri di pittura, per apprendere l’Arte ab ovo, fin dalle sue fasi iniziali. Ma anche il mio apprendistato estemporaneo non si è limitato alla lettura e alla scrittura. Da studente, ho iniziato a frequentare serate e conferenze di poesia, ho partecipato a concorsi letterari, ho scambiato lettere con poeti affermati (Giorgos Themelis, G.X. Stogiannidis e Takis Varvitsiotis), collaborato con riviste, frequentato ogni settimana l’ ‘Agenzia di Cooperazione Spirituale’ di Marios Vaianos, dove si riunivano scrittori o sedicenti letterati, e partecipato a cene con molte persone, dove si pagava alla romana, con recitazioni e discussioni teoriche apparentemente serie, nei vicini ristoranti o trattorie. A ventuno anni, studente di giurisprudenza ad Atene e ‘veterano’ già con due (più una) raccolte pubblicate, ho iniziato a pubblicare, fino alla mia partenza per gli studi post-laurea a Parigi, la rivista Η Νέα Ποίηση (La Nuova Poesia), rivista che ha ospitato molti poeti noti, giovani e meno giovani. Infine, per rispondere direttamente alla sua domanda, ritengo una fortuna essere entrato così presto in questo campo, che mi ha regalato tante emozioni – estetiche oltre che esistenziali, dandomi la possibilità di incontrare e socializzare con importanti intellettuali, di qualità, profonda cultura e di raro carisma.

Qual è il valore della parola – delle parole, nell’era della iperinformazione?

Come nell’economia l’inflazione riduce il valore di scambio del denaro, così l’uso sconsiderato del linguaggio ne riduce naturalmente il prestigio e il peso. Ciò vale soprattutto per la sovrapproduzione e l’iperconsumo della parola nel campo dell’informazione, soprattutto ora che le reti di proiezione e comunicazione si sono moltiplicate a un livello sproporzionato. Ma la poesia, almeno nelle sue forme più serie, non viene influenzata o messa in pericolo da una cosa del genere, poiché per sua natura è l’arte dell’austerità, parente stretta del silenzio. Le chiacchiere la infastidiscono, la prolissità la fa deragliare, la prosa analitica la distrugge. Difende il valore della parola con fanatismo, come la pupilla dei suoi occhi, perché questa è la base della sua stessa esistenza. In ogni caso, la poesia non trasmette sapere, non ti informa, non ti educa. Fa qualcosa di molto più sostanziale: ti plasma. Convincendoti delle sue verità senza coercizione, educandoti, indirettamente e profondamente, senza pedanteria.

Qual è l’importanza, la necessità e la ricezione della poesia nel periodo particolare che stiamo attraversando?

La risposta non può che essere quella prevedibile: l’importanza della poesia è grande, il bisogno di essa è ancora maggiore, la sua ricezione invece è molto scarsa. E questa è una realtà che non riguarda solo i nostri giorni, ma è sempre esistita, una verità diatopica, mi permetterei di dire con sicurezza. Non credo che il periodo che stiamo attraversando abbia bisogno di poesia più di ogni altro, né che viviamo in ‘tempi pusillanimi’, come se una volta ci fossero stati tempi magnanimi, dove poesia e poeti erano specie necessarie. Immagino che sarebbe auspicabile, e nessuno si opporrebbe se la portata del discorso poetico arrivasse molto più lontano, raggiungesse un pubblico più vasto, avesse un impatto più forte sulla vita attuale. È meglio però non essere massimalisti, né vivere nella Nubicuculia della nostra immaginazione, e scrivere poesia. Il modo più efficace per espandere, almeno a lungo termine, la sfera di influenza dell’Arte che amiamo, può essere il nostro impegno totale per la sua coltivazione coscienziosa e l’innalzamento del suo livello qualitativo, in modo che la sua importanza venga percepita da un più ampio numero di persone. Il meglio può essere spesso nemico del bene, ma può anche diventare il suo migliore amico.

Qual è il ruolo attuale della poesia nella definizione delle identità collettive? Identifica una comunità linguistica nazionale, o si sta piuttosto muovendo verso una dinamica globale?

Poiché la poesia è un’arte per eccellenza individuale e non obbedisce – fortunatamente – ad alcuna pianificazione o politica centrale, la sua immagine generale emerge da un ampio insieme di sforzi personali, che possono non muoversi tutti nella stessa direzione. Quindi, qualsiasi ‘ruolo’ possa svolgere nel campo culturale, non si esplica sulla base di un piano prescritto, né con l’adempimento di una missione, sia pur alta. Ciò premesso, e giudicando dal risultato, credo che la nostra poesia definisca ancora l’identità nazional-linguistica, ma venga anche definita da questa, dalla psiche, dal modo di pensare e di vivere, dai meccanismi espressivi, dalla tradizione e dall’atmosfera di ogni luogo specifico. Anche le influenze o le occasionali importazioni di prodotti intellettuali e le innovazioni straniere vengono assimilate, metabolizzate, fatte proprie. Per quanto ne so e per quanto riesco a capire, una simile tendenza prevale nella maggior parte dei paesi stranieri. La poesia, come genere di espressione, è strettamente intessuta con la lingua in cui è scritta, è la lingua stessa, che porta nelle sue viscere la tradizione che l’ha partorita. Ciò non significa, in alcun modo, che la poesia, nonostante le sue caratteristiche locali, non possa esprimere pensieri, sentimenti ed esperienze comuni a tutti, coincidenti o relativi a opere allogene, né che attraverso la traduzione non possa dialogare con lettori stranieri. Infine, non dimentichiamo che più un’opera è autenticamente personale o locale, più è probabile che diventi globale.

Qual è il rapporto tra poesia e soggettività? Esiste un puro ‘io’ poetico?

L’‘io’ non è mai chiaro nella nostra coscienza, e non so se l’intera vita sia sufficiente per avvicinarvisi con precisione. Ancor di più l’io poetico, in quanto si trasforma costantemente, impersonando altre forme o prestando la propria esistenza ad altre forme. La narrazione in prima persona non riguarda necessariamente sempre chi scrive, mentre la terza persona spesso lo riguarda di più. Il sé che appare nella poesia, o dietro di essa, direi che è un ‘sé surrogato’ (qualcosa di simile alla madre surrogata), una persona ventriloqua che parla per conto nostro, ma anche per conto di tanti altri, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Persino la soggettività, su cui la poesia dovrebbe essere interamente basata, non so fino a che punto sia autentica e fino a che punto si siano inseriti nella sua composizione ed espressione molti elementi estranei, accoglimenti interiorizzati di dati ambientali, idee e ideologie dominanti, percezioni consolidate, opinioni preconcette, gusti in voga, depositi materiali della realtà circostante lentamente sedimentati in noi che, ignari, li consideriamo scelte della nostra libera volontà.

Le sue poesie sono state tradotte in molte lingue. Collabora con i traduttori che le traducono?

Come ho detto all’inizio, sono state pubblicate ventisei traduzioni di mie raccolte, in dodici paesi, in Europa e in America, in dieci lingue diverse in totale, escluse le traduzioni di singole poesie fatte in altre lingue, pubblicate sporadicamente in riviste letterarie o antologie all’estero. Per la maggior parte delle traduzioni ho lavorato con i traduttori, sempre in seguito a una loro richiesta. Nelle lingue che conosco (principalmente il francese, meno l’inglese, ancor meno il tedesco) ogni tanto ho suggerito io delle frasi. Nelle lingue di origine latina (italiano, spagnolo, rumeno) capivo più o meno il significato, e spesso ho segnalato alcuni fraintendimenti. Per il resto (danese, albanese, serbo, croato) mi sono arreso, rispondendo solo a domande specifiche. Alcuni dei traduttori dei miei libri non mi è mai capitato di incontrarli personalmente, ma con tutti ho avuto una calorosa e molto proficua collaborazione, almeno per corrispondenza, e negli ultimi anni per via telematica: con Kimon Friar, Nicola Crocetti, Michel Volkovitch, Hans & Niki Eideneier, Elena Lazar, Willy Pedersen, Yannis Goumas, Clio Mavroeidakos-Muller, Niko Kacalidha, Moma Radić, Nina Anghelidis, Carlos Spinedi, Irene Loulakaki-Moore, Christopher Robinson, Dionysia Zervanou, Thom Nairn, Vangjel Zafirati, Antonio Moreno Jurado, George Fragopoulos, Maurizio De Rosa, Kostas Nassikas, Hervé Bauer, Natalia Moreleon. Colgo l’occasione per ringraziarli ancora una volta per l’onore che mi hanno fatto, per la loro fatica, per la loro cura nel trovare un editore nel loro Paese. E tutto questo senza alcun compenso, senza alcun aiuto da parte del cosiddetto Ministero della Cultura, che non ha mai dato una sola dracma, nemmeno un euro, né per il lavoro di traduzione, né per la pubblicazione delle traduzioni di queste persone, che hanno voluto promuovere una voce poetica greca fuori dai nostri confini.

Fostieris tradotto da Crocetti Fostieris tradotto da Karvunaki

L'autore

Giorgia Karvunaki
Giorgia Karvunaki è nata in Grecia, a Creta, a Canea. Ha studiato in Italia Lingua e cultura italiana per stranieri, Scienze Politiche - Indirizzo Internazionale, Insegnamento dell'italiano come LS, Sceneggiatura e in Grecia Traduzione  - Traduttologia. È membro associato e National Convener per la Grecia dal 2007 della Commissione internazionale per la storia delle istituzioni rappresentative e parlamentari (ICHRPI), Rappresentante accreditata del Nosside, Premio Internazionale di Poesia (Unesco) e Membro dell'International Theatre Institute (ITI). Vive ad Atene dove lavora come insegnate, traduttrice, promotrice culturale e ricercatrice storica. Le sue traduzioni, le sue interviste e i suoi articoli, sono stati pubblicati in riviste cartacee ed elettroniche in Grecia, in Italia e in Romania. Le sue traduzioni di opere teatrali sono state messe in scena in Grecia e in Italia. Nel 2018 è stata premiata dall'Istituto Italiano di cultura di Atene con il ‘Premio Luigi Pirandello’.