scrivere nelle varie lingue d'Italia

Eugenio Barzagli intervista Vincenzo Mastropirro

Vincenzo Mastropirro è di Ruvo di Puglia (Ba). È flautista, compositore e poeta in lingua e in dialetto pugliese. In musica ha pubblicato una ventina di CD. In poesia ha pubblicato: Nudosceno, LietoColle Faloppio 2007; Tretippe
e Martidde, per le edizioni Perronelab Roma 2009, ripubblicato con SECOP edizioni Corato 2015; Poesia sparse e sparpagghiote, CFR Piateda 2013; Timbe-condra-Timbe, puntoacapo editore Novi Ligure 2016. Compare in numerose Antologie e Blog letterari. Ha collaborato con Alda Merini, Vittorino Curci ed Anna Maria Farabbi musicando i loro versi. Tra i numerosi premi letterari, gli è stato conferito il Premio Lerici Pea 2015 – Sezione poesia in dialetto «Paolo Bertolani».


Prima di dedicarsi alla poesia in dialetto, ha scritto poesia in lingua, la raccolta in questione si chiama “Nudosceno”. Quali sono le circostanze nelle quali sono nati questi testi?

Scrivere è un’esigenza contingente all’emozione, non esiste una motivazione di soglia, ovvero un momento oltre il quale si decide di scrivere o non scrivere. Posso dire che quando lo si fa è solo perché è giunto il momento, una serie di convinzioni più o meno forti che portano il pensiero a diventare concreto, quindi ad essere pronto, insomma per essere “cotto e mangiato”. Pensiero che inizia a prendere corpo con le parole in italiano ma si irrobustisce con la mia lingua “il dialetto di Ruvo di Puglia”: la lingua di mia madre.

Così come c’è della musica nella sua poesia in dialetto, c’è della poesia in dialetto nella sua musica? Quale è il  rapporto tra la sua musica e la sua poesia?

Bhè, questa domanda mi è stata posta diverse volte, ed alla quale rispondo sempre molto volentieri perché coincide  al mio orgoglio, ovvero “entrambe sono MIE”: la mia musica è la mia poesia, così come l’inverso! Oggi  essere originali è molto difficile ed essere riuscito a caratterizzarmi per un “mio prodotto”, sinceramente mi fa molto piacere. Poi, se sia il ritmo poetico oppure la rima musicale che invade e pervade l’una nell’altra non me lo sono mai chiesto, penso che quando il risultato finale è buono, significa che anche gli ingredienti utilizzati lo sono.

La sua poesia in dialetto spesso si condensa intorno a ricette culinarie, oggetti e pratiche del quotidiano della vita rurale di Ruvo di Puglia. Questi sono appigli per andare oltre, metafore, ma sembra anche che nei suoi testi ci sia l’intento di conservare e salvaguardare. Oltre che musicista e poeta è anche un po’ antropologo? In che misura la sua poesia è anche etnografia?

Direi di sì! Anzi sì, così è senza ombra di dubbio, la mia poesia nasce dalla voglia di conservare talvolta riscoprire le origini, siano esse terra o tradizione popolare. Nella ruota del tempo si perde il confine con il corpo, la pelle, la densità dell’anima e le parole si tramandano come il più bello dei segreti. Sono molto ancorato alla mia terra che è
nascita, nutrimento e decadimento. Sul suolo che tutto dà e tutto toglie, ci sono anch’io dove ho appoggiato i miei piedi, le mie note e le mie parole. Riesce ad immaginare un futuro senza terra?

“Canto a due voci autimbe de fèssbbùk” è un testo che fa parte della sezione finale della sua ultima raccolta di versi, “Timbe-contra-Timbe”. Che rapporto c’è tra il resto della raccolta e questo testo? Può esso aiutarci a tracciare le coordinate principali della relazione tra poesia e social network?

Fèssbbuk, come lo chiamo io, è uno dei tanti modi per “comunicare”, oggi un verbo sempre più depauperato del suo valore, l’ossimoro che ci vuole tutti connessi e tutti assenti nello stesso momento! Così, come faccio in questo testo, declino tanti modi di fare della nostra quotidianità. Modi che ci accomunano fino all’ossessione di “esserci” a tutti i costi. Al tempo dei latini esistevano gli anfiteatri, nelle chiese i pulpiti, ai tempi nostri…ci sono i social, bhè, molto poco architettonici, molto poco empatici, ma dobbiamo adeguarci alla modernità, anche se i palchi dei teatri e delle sale da concerto li frequento costantemente con molto piacere. Però mi piace vivere anche il tempo “social” come fèssbbuk, una realtà condivisa dove c’è spazio per tutti e dove si possono gettare migliaia di reti. Sul pescato del giorno poi… tra le infinite possibilità più o meno positive, si cerca di districare anche la Poesia o quello che di lei resta.

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L'autore

Eugenio Barzagli
Studente di Lettere moderne presso l'Università degli Studi di Perugia.