In primo piano · L’Italiano fuori d’Italia

Paolo Silvestri intervista Antonia Rubino

Antonia Rubino insegna lingua e linguistica italiana presso il Dipartimento di Studi Italiani della University of Sydney. Si occupa di multilinguismo in contesto migratorio, con particolare attenzione all’italiano e al dialetto in Australia, e di questioni linguistico-pedagogiche. È autrice di numerose pubblicazioni, tra cui il volume Trilingual talk in Sicilian-Australian families: playing out identities through language alternation (Palgrave, 2014), “Performing identities in intergenerational conflict talk: A study of a Sicilian-Australian family” (in Language and identity across modes of communication, Mouton de Gruyter, 2015), “Language dynamics among Italians in Australia” (in Italian communities abroad. Multilingualism and migration, Cambridge Scholars, 2017), “Multilingualism in the Sydney landscape: The Italian impact” (in Multilingual Sydney, Routledge 2019), e “Constructing pseudo-intimacy in an Italo-Australian phone-in radio program” (Journal of Pragmatics, 103, 33-34, 2016). È co-autrice (con Marisa Minelle Katis) di un corso di Italiano come L2 per le scuole secondarie (Pronti, via!, Thomson Nelson, 2000-2004). 

Per studiare la storia della diffusione dell’italiano nel mondo l’Australia è senza dubbio un osservatorio privilegiato, per via della massiccia immigrazione italiana che si è prodotta nel passato.

Senz’altro. Com’è noto, a partire dal secondo dopoguerra l’Australia è stata meta di grandi migrazioni e le persone di origine italiana rappresentano una larga parte della popolazione australiana: secondo l’ultimo censimento del 2016, si tratta infatti 916.000 persone, cioè il 4,6% della popolazione; e costituiscono il secondo gruppo etnico di lingua non inglese più numeroso dopo i cinesi. 

La tua linea principale di ricerca è orientata sugli effetti sociolinguistici determinati da questo importante flusso di italiani trapiantati in Australia. Ci spieghi esattamente in che senso?

Mi sono occupata, tra le altre cose, del mantenimento della lingua italiana e dei dialetti nel passaggio dalla prima alla seconda generazione di italo-australiani, dunque del cosiddetto shift verso l’inglese. In Australia questi studi hanno avuto un grande sviluppo grazie al linguista Michael Clyne (ora scomparso) dell’Università di Melbourne, il quale ha periodicamente analizzato i dati del censimento australiano, che include una questione sull’uso della lingua in ambito domestico. Sappiamo così che tra gli italiani (come per altri gruppi etnici), alcune variabili che incidono sullo shift a livello individuale sono la generazione, il genere, l’età e il tipo di unione coniugale. Infatti, dichiarano di parlare più italiano in casa la prima generazione, le donne più degli uomini,  i parlanti più anziani della prima generazione e i più giovani della seconda; e chi ha un partner che è italiano. Tra chi dichiara di parlare italiano in casa, i nati in Australia sono all’incirca il 45%. Dunque, si può dire che in Australia l’italiano si perde a un ritmo che è stato definito da Clyne ‘intermedio’: in altre parole, gli italiani mantengono la propria lingua più di altri gruppi etnici (per esempio, i nati in Germania e i loro figli); ma sicuramente meno di altri, come i greci o i turchi, tra i quali i tassi di mantenimento linguistico sono ben più alti.

Che metodo di indagine hai seguito?

Mi sono servita di metodologie sia quantitative sia qualitative: per esempio, insieme alla collega Camilla Bettoni abbiamo utilizzato un questionario per chiedere a italiani di origine veneta e siciliana (che sono tra i gruppi regionali più numerosi a Sydney) quale lingua scegliessero tra italiano, dialetto e inglese in vari domini (famiglia, con gli amici, nei negozi italiani ecc). Questo ci ha permesso di verificare per esempio che la distinzione tra italiano e dialetto persiste nel contesto migratorio anche tra la seconda generazione. E che alcune variabili, come il genere, sono significative in queste scelte linguistiche perché le donne per esempio dichiarano di utilizzare l’italiano più del dialetto nei luoghi pubblici. Per quanto riguarda gli studi qualitativi, mi sono occupata del mixing di dialetto, italiano e inglese che gli italiani di prima generazione (specialmente i più anziani) utilizzano in contesti informali. Ho analizzato in particolare le conversazioni bilingui e trilingui di alcune famiglie di immigrati siciliani, e ho cercato di dimostrare che il bilinguismo o il trilinguismo può essere usato in modo strategico, come avviene in altri contesti di emigrazione: cioè, l’alternanza tra dialetto e inglese o tra italiano e inglese spesso non è casuale, ma costituisce una risorsa per realizzare particolari effetti discorsivi, o per manipolare i ruoli conversazionali e evidenziare i ruoli sociali.

Esistono ancora, come per esempio in Argentina, “isole italofone”? Mi riferisco a zone o contesti o situazioni particolari in cui si continuano ad usare, anche se “artificialmente”, l’italiano o i dialetti da parte di discendenti di italiani ormai naturalizzati australiani?

Non parlerei di vere e proprie isole linguistiche, ma abbiamo certamente delle alte concentrazioni di italiani e di figli di italiani sia in alcune città, sia in alcuni quartieri. Bisogna ricordare che la maggior parte degli italiani si sono stabiliti a Melbourne e a Sydney, ed è ancora qui che risiede gran parte dei nati in Italia. Pertanto si possono ancora identificare in diverse capitali australiane delle zone specifiche ad alta densità di italiani, sebbene sicuramente meno rispetto agli anni settanta e anche ottanta. In alcuni quartieri esistono ancora raggruppamenti regionali: per esempio, a Sydney, nel quartiere di Five Dock, vivono diverse famiglie provenienti dalla Basilicata; e nei quartieri ovest di Sydney risiedono invece numerose famiglie calabresi. Ovviamente queste concentrazioni sono un fattore importante ai fini del mantenimento sia dell’italiano sia del dialetto.

E sono presenti fenomeni di mantenimento di tratti antichi nei dialetti o nella lingua, ormai non più ravvisabili in Italia?

Non conosco studi specifici sull’arcaicità o meno del dialetto, ma è pur vero che quando ho intervistato italiani arrivati in Australia negli anni novanta ho riscontrato numerosi commenti a proposito dei vocaboli dialettali ormai in disuso in Italia che sono ancora in circolazione qui in Australia. La stessa cosa è stata osservata da parte di italiani di seconda generazione i quali, andando a visitare i parenti nella regione d’origine dei loro genitori, si sono trovati a parlare un dialetto ormai poco usato in Italia.

L’origine italiana è comunque ancora sentita come un segno di identità?

In generale, tra gli italo-australiani l’italiano e/o il dialetto tendono a indebolirsi fortemente e anche a sparire del tutto nell’arco di tre generazioni, secondo il ben noto modello di Fishman; anche se non mancano le eccezioni. Tuttavia rimane forte e diffuso il senso di identità italiana. In particolare a partire dagli anni novanta si è assistito a una riscoperta dell’‘italianità’ e dell’Italia da parte dei giovani, per i quali l’essere ‘italiani’ o ‘italo-australiani’ è una delle identità da negoziare nel contatto con gli anglo-australiani o gli australiani di altro ceppo etnico. A questo revival hanno contribuito vari fattori: per esempio, la nuova immagine internazionale dell’Italia con il Made in Italy, l’accresciuta italofilia da parte degli australiani (per es. in fatto di cibo, di moda o di architettura), e i maggiori scambi tra Italia e Australia a tutti i livelli, facilitati anche dai minori costi. Sono aumentati per esempio i viaggi in Italia sia della prima generazione sia della seconda, e ora anche della terza, che non si limita a soggiornare nel paesino dei genitori, ma scopre il resto dell’Italia. Per un paese così distante dall’Italia come l’Australia, ovviamente la tecnologia e i social media in particolare sono di grande importanza perché permettono di mantenere i contatti con l’Italia molto più facilmente che in passato. Non ci sono ancora studi specifici in proposito, ma sicuramente l’utilizzo dei social media può facilitare il mantenimento o l’apprendimento dell’italiano.

Tu appartieni a una famiglia italiana trapiantata in Australia oppure ci sei arrivata percorrendo un’altra strada?

Io mi sono trasferita in Australia agli inizi degli anni ottanta, dopo essermi laureata in Italia. Sono arrivata un po’ per caso, ma ho avuto la fortuna di approdare in questo continente in un periodo molto stimolante, cioè nel momento in cui in Australia si abbracciava una politica di multiculturalismo che valorizzava le lingue e le culture degli immigrati come capitale culturale, sociale e economico di grande importanza per tutto il paese. Mi sono inserita abbastanza velocemente nell’ambito dell’insegnamento dell’italiano, che in quegli anni ha avuto una grande espansione in tutto il sistema educativo australiano; ho conseguito un Master e poi un dottorato e questo mi ha permesso di intraprendere la carriera accademica.

L’immagine dell’Italia è abbastanza vicina alla realtà o si basa, come in altri paesi, su elementi più stilizzati e oleografici?

Credo che in Australia coesistano entrambe: immagini ancora un po’ stereotipate e immagini più vicine alla realtà. Troviamo le prime per esempio tra gli italiani più anziani, che non hanno avuto la possibilità di contatti frequenti e regolari con il paese d’origine, e che si muovono in reti sociali piuttosto ristrette di familiari e di amici spesso provenienti dalla stessa regione o persino dallo stesso paese. Ma dagli anni novanta, come dicevo sopra, l’immagine dell’Italia in Australia è cambiata, e l’Italia non è più vista come un paese arretrato i cui abitanti sono costretti a emigrare, ma come un paese europeo avanzato e raffinato. Inoltre molti anglo-australiani sono fortemente italofili: per esempio, i corsi di italiano per adulti sono molto diffusi; la cucina italiana al momento va per la maggiore; molti australiani vanno regolarmente in Italia e spesso vi trascorrono lunghi periodi, e non sono rari quelli che possiedono una casetta in Italia. Nel complesso tutto ciò contribuisce a trasmettere un’immagine dell’Italia abbastanza realistica.

Che presenza ha l’italiano nel sistema scolastico e universitario australiano?

L’italiano in Australia viene insegnato a tutti e tre i livelli del sistema scolastico, e cioè, nelle scuole elementari e secondarie, nelle università e negli istituti professionali parauniversitari. Le lingue però hanno una posizione debole nelle scuole australiane in quanto sono materia facoltativa, e sono pochissimi gli studenti che portano una lingua all’esame di maturità (meno del 14%). In generale, l’italiano è visto come una lingua ‘facile’ da imparare, specialmente per chi apprende una seconda lingua per la prima volta, ed è una lingua che piace; tuttavia, è anche una lingua percepita come poco utile. L’italiano è diffuso soprattutto nella scuola elementare, dove troviamo il 70% degli studenti. E’ una delle lingue più studiate anche nella scuola secondaria (al terzo posto dopo il giapponese e il francese) e a livello universitario (al quarto o quinto posto, dopo il giapponese, il cinese, il francese e lo spagnolo). Qui si registra la percentuale di gran lunga più bassa di studenti di italiano (intorno all’1-2%); questo anche perché solo il 10% circa degli studenti universitari australiani studia una lingua.

E nel tuo ateneo?

Anche nella nostra università l’italiano è una delle lingue maggiormente studiate. I motivi per cui si sceglie l’italiano a livello universitario sono molteplici: familiari, personali, accademici, o più ampiamente culturali. E questa ampia gamma ovviamente rappresenta un punto di forza della nostra lingua. In generale l’italiano mantiene una posizione più forte nelle università dove sono più consolidati gli studi umanistici, come la nostra. È più vulnerabile invece nelle istituzioni con un orientamento maggiormente professionale, poiché in generale anche all’università l’italiano non è una materia che viene associata a una carriera o una professione specifica. Una debolezza dell’italiano (come di tutte le altre lingue in Australia) è che il numero di studenti è molto maggiore ai livelli di principianti mentre diminuisce ai livelli più avanzati. Tuttavia nel nostro dipartimento abbiamo un buon numero di dottorandi, il che fa ben sperare.

La crisi europea degli ultimi anni ha provocato una neo-immigrazione italiana in Australia, come è successo in altri paesi?

Certamente, anche qui in Australia sono aumentati negli ultimi anni gli arrivi dall’Italia, sia da parte di cittadini italiani con un visto di residenza temporaneo sia di giovani che vengono o con un visto di studio o – ben più numerosi – con il visto ‘vacanza/lavoro’. Molti di questi, a causa della difficile situazione economica in Italia, cercano di ottenere la residenza permanente, un’impresa peraltro estremamente ardua in Australia. La portata del fenomeno è tale che si sono costituite associazioni per fornire aiuto e assistenza a questi giovani, e sono stati già pubblicati diversi studi sull’argomento.  Non siamo certo ai livelli dell’esodo post-bellico; inoltre, si tratta di un fenomeno di natura temporanea. Tuttavia, non c’è dubbio che la presenza di questi arrivi comincia a farsi sentire, per cui sarebbe interessante analizzarne eventuali risvolti linguistici.

Non so che cosa ne pensi tu, ma per me parlare dell’emigrazione italiana è doveroso, soprattutto alle nuove generazioni. Molti paesi, come l’Australia, hanno infatti offerto in passato ai nostri concittadini la possibilità di costruirsi un futuro migliore. Credo che questo dovrebbe aiutarci a essere più indulgenti con le persone meno fortunate che adesso stanno cercando proprio in Italia una possibilità di riscatto.

Sono perfettamente d’accordo. Credo che in Italia si sappia ancora troppo poco della nostra storia di ‘emigranti’. Bisognerebbe parlarne di più, per esempio a scuola, dove dovrebbe far parte dei programmi di storia. È un capitolo molto importante della storia italiana, che non si è mai concluso. Inoltre è importante mettere in evidenza che i contatti tra gli italiani in Italia e quelli fuori dell’Italia sono stati continui, anche se più difficili e forse meno regolari in passato e molto più agevoli e frequenti oggi. Ma è importante capire che il legame tra l’Italia dentro e fuori i confini nazionali non si è mai interrotto, anche se ha avuto alti e bassi anche a seconda delle vicende politiche in Italia. Mentre oggi molti politici tendono a enfatizzare in modo eccessivo i confini nazionali, c’è un’altra Italia che è sempre esistita al di fuori di tali confini di cui bisogna tenere maggiormente conto. E sicuramente saperne di più dell’emigrazione italiana aiuterebbe a guardare diversamente chi arriva in Italia da contesti travagliati per dare un futuro migliore soprattutto ai propri figli, così come hanno fatto gli italiani in Australia.

 

Antonia Rubino

Department of Italian Studies

Faculty of Arts and Social Sciences

The University of Sydney NSW 2004

https://sydney.edu.au/arts/staff/profiles/antonia.rubino.php

 

antonia.rubino@sydney.edu.au

 

L'autore

Paolo Silvestri
Paolo Silvestri
Paolo Silvestri, laureato in Storia della Lingua Italiana presso l’università di Torino, dal 1990 svolge la sua attività docente e di ricerca presso il Dipartimento di Italiano dell’Università di Siviglia, dove ha anche ottenuto il Dottorato Europeo. La sua linea principale di ricerca riguarda la storia degli strumenti per lo studio dell’italiano in Spagna, cui ha dedicato numerosi contributi, oltre al volume Le grammatiche italiane per ispanofoni. Secoli XVI-XIX (Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001). È coautore, insieme a Manuel Carrera Díaz, di Entre palabras (Torino, Loescher, 2010) grammatica spagnola per le scuole secondarie italiane, e ha curato il volume monografico della rivista “Philologia Hispalensis” dal titolo Italiano y español. Nuevos estudios lingüísticos (2014). Ha collaborato come recensore con varie riviste italiane (Italiano & oltre; L’Indice dei libri del mese; Lingua e stile) ed internazionali (Romanische Forschungen; Romance Philology; Cuadernos de Filología Italiana; Revista Internacional de Lingüística Iberoamericana).