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Io lo so: quest’estate andrete al Balla Coi Cinghiali Festival

Balla Coi Cinghiali è il nome di un’Associazione e di un festival musicale. È il nome di una cosa che piace a tante persone, giovani e meno giovani, e che nella sua storia più che decennale ha lasciato un segno nella cultura musicale e di spettacolo del nostro paese.

Tutto nasce all’inizio degli anni 2000, da un gruppo di amici legati in un modo o nell’altro al mondo della musica: chi suona, chi ama frequentare i grandi festival europei, chi scrive per riviste musicali. Da questo piccolo nucleo nasce una festa o, meglio, una sagra con musica dal vivo e possibilità di campeggiare, com’era nell’intenzione degli organizzatori, tutti poco più che ventenni all’epoca. La location è il Comune ligure di Bardineto, nell’entroterra della provincia di Savona. Ci sono 100 Euro di budget per la prima edizione, si riesce a ricavarne qualche centinaio in più grazie a un fusto di birra e a una griglia su cui cucinare un po’ di carne. I gruppi invitati a suonare, tutti reclutati fra amici e conoscenti, tornano a casa soddisfatti dopo aver suonato per ore.

L’anno dopo – siamo nel 2003 – la festa inizia ad avere maggiori ambizioni. Si cresce piano piano, il nome inizia a spargersi per la provincia, e si stuzzica l’attenzione dei media, attirati da un evento con un nome così particolare. Si cresce così costantemente, nel 2004, e via nelle edizioni successive, con un festival sempre più strutturato, con ospiti che iniziano ad essere di rilevanza nazionale, e con un pubblico che per la prima volta, nel 2005, supera le migliaia. Quel gruppo di amici, nel frattempo, è cresciuto ed ha arruolato altre persone, accomunate dall’amore per la musica. O, meglio, per una certa idea di musica. Si decide così di creare un’Associazione musico-culturale per avere una struttura organizzativa più precisa e articolata.

L’idea originale che stava alla base di Balla Coi Cinghiali era dare la possibilità a chi suona di esprimersi in un territorio avaro di opportunità. La riviera ligure, che già di per sé non brilla per iniziative rivolte ai più giovani, possiede infatti pochi spazi per ascoltare musica dal vivo, e quei pochi che esistono ingaggiano unicamente cover band, cioè gruppi che eseguono canzoni di altri. Ai cinghiali interessava invece la musica originale, che certo non mancava nella Provincia di Savona e, più in generale, in Liguria. La strategia, quindi, era quella di spostarsi dalla Riviera – ormai divenuta poco più che un gerontocomio – e sfruttare gli spazi dell’entroterra savonese, e in particolare della Valle Bormida. Una valle dichiarata “zona depressa” dall’Unione Europea e che, per questo motivo, viene subito ribattezzata “Wild Bormida”. Accade così che un comune di 600 abitanti assiste ogni estate a una pacifica invasione di giovani, sempre più numerosi, per tre giorni della settimana centrale di agosto.

Siccome il modello è quello dei grandi festival europei, diventa centrale la zona del campeggio, popolata da un numero di tende direttamente proporzionale alla crescita del festival: dalle 10 della prima edizione, si passa a 100, 500, fino alle oltre 5000 dell’edizione 2011. Gli anni dal 2006 al 2011 sono semplicemente pazzeschi: ogni anno il pubblico raddoppia, i volontari reclutati dall’Associazione crescono sempre di più fino a diventare un vero e proprio esercito di persone che arrivano da tutta Italia a condividere ciò che non è più solo un festival, ma una vera e propria esperienza. In cosa consiste questa esperienza? Con la crescita del festival non solo migliora costantemente il livello dei musicisti ospitati sul palco principale – ormai di richiamo anche internazionale – ma aumenta anche l’offerta artistica, che va oltre la semplice proposta musicale. Si creano spazi dedicati al teatro e alle arti, alla poesia, all’illustrazione. Il programma del festival, che dal 2009 diventa di quattro giorni, copre tutte le 24 ore. Si può stare a Balla Coi Cinghiali potendo fare qualcosa di diverso ogni due ore senza mai andare a dormire: facile capire come questo sfoci in qualcosa di più di un semplice festival e che venga vissuto come un happening, come un mondo parallelo.

 

Negli anni di maggiore crescita, corrispondenti al 2010 e 2011, si toccano le 80.000 presenze in quattro giorni, 4 palchi musicali e diverse aree per attività artistiche di vario genere, fra cui un tendone da circo.

Ma, in perfetto stile Rock’n’roll, all’apice della fama decidiamo di fermarci, per due anni. I motivi sono tanti e, con un po’ di sorpresa da parte nostra, occupano le pagine di cronaca e spettacolo dei giornali in quei mesi; fra questi rientrano la difficoltà di dialogare con un’amministrazione comunale in scarsa sintonia con gli organizzatori e l’oggettiva difficoltà di rendere logisticamente fattibile un afflusso di 80.000 persone in un territorio attrezzato per non più di 1000. L’Associazione si ristruttura, arruola nuove leve e non interrompe il bellissimo rapporto con i quasi 200 volontari che prestano gratuitamente la loro preziosissima opera al festival.

Nel 2014 ci viene offerta l’opportunità di trasferirci in un altro territorio, nella provincia di Cuneo, all’interno di una location bellissima che si chiama Forte Albertino di Vinadio. Il nuovo spazio, un forte ottocentesco incastonato fra le Alpi Marittime sul quale si affaccia un laghetto di montagna, è più che allettante. Certo, è necessario un ridimensionamento negli spazi e cessare di essere un festival gratuito. Per agevolare la transizione, nelle prime due edizioni piemontesi si decide di adottare un nome nuovo, “Fortissimo”, ma il pubblico più affezionato capisce che si tratta sempre dei cinghiali. Non è quindi difficile tornare con il nome storico di Balla Coi Cinghiali nel 2016, fino ad oggi. Il pubblico ha capito che siamo cresciuti con il festival, e sono cresciuti anche loro, ventenni nelle edizioni bardinetesi che ora tornano a Vinadio con la famiglia. Il rapper Izi, che si è esibito all’ultima edizione, ci ha svelato che da ragazzino non si perdeva un’edizione del “Balla” e si è emozionato, lui che riempie i palazzetti, a salire su un palco che da giovanissimo sognava di calcare, un giorno. In qualche modo, abbiamo percepito che un cerchio si era chiuso, con l’orgoglio di qualche capello bianco che pur inizia a spuntare, noi ventenni di allora che oggi portiamo al festival i nostri bambini e le nostre famiglie, e tuttavia non cessiamo di dare tutto per arrivare stremati ma felici al giorno di chiusura.

Cosa ho imparato da Balla Coi Cinghiali? Potrei elencare molte cose, ma sono queste tre le più importanti:

1) quando la cultura nasce dal basso si possono fare grandi cose. Non tutti riusciranno a passare da 100 a 80.000 persone, ma senza dubbio partire da “piccoli” e seguire le proprie ambizioni porta sempre a risultati importanti. Certo, bisogna essere pazzi, lasciare da parte i ragionamenti legati al profitto e al lucro, e settarsi sulla modalità sognatore. Se fosse un lavoro, probabilmente sarebbe molto diverso. Essendo un’attività totalmente volontaria, si ha la possibilità di esprimersi al massimo, osando, a volte, l’impensabile.

2) In questi anni ho imparato a fare l’elettricista, il facchino, il cuoco, il barista, il promoter, il roadie, il contabile, il problem solver. Ho sviluppato abilità che non pensavo minimamente di avere. E ho continuato meravigliosamente a fare clamorosi errori, imparando a correggerli assieme ai miei amici, che poi è il modo migliore per crescere, umanamente e professionalmente.

3) Inseguire i propri sogni con i propri amici conduce a un livello più elevato di rapporti personali. I cinghiali sono ormai la mia famiglia, e non in senso lato: si sono davvero create, negli anni, le dinamiche di una famiglia, con tutti i pregi e i difetti che ciò comporta. Ma il legame va ben oltre l’amicizia ed è questo il carattere che colpisce chiunque si avvicini per la prima volta al festival. Chiedetelo ai volontari più giovani, chiedetelo al pubblico storico che non ha mai smesso di seguirci. Di festival ce ne sono tanti, ma di Balla Coi Cinghiali ce n’è uno solo.

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L'autore

Simone Marcenaro
Simone Marcenaro
Simone Marcenaro, di Pietra Ligure, nella gloriosa West Coast, si divide fra la vita accademica – insegna filologia romanza – e quella di organizzatore di festival. Sposato, ormai alle soglie dei 40 anni, vive a Genova, possiede diverse chitarre e, soprattutto due gatti, Casimiro e Baciccia. Sogna di diventare un allenatore NBA, ma dubita che succederà.