Stimola contraddizioni la lettura del nuovo e rilevante contributo che Gëzim Hajdari ha da poco offerto alle nostre lettere, a quelle europee e non solo, con la raccolta bilingue Cresce dentro di me un uomo straniero / Ritet brenda meje një njeri i huaj
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Erinda Islami intervista Gëzim Hajdari
Ho scritto in mezzo ai rovi e sugli alberi nudi, fra i monti sparuti della mia terra matrigna; ho scritto sui dirupi e lungo i torrenti. Fare il contadino della poesia vuol dire rispecchiarsi negli occhi della mucca, vuol dire guadagnare il piatto quotidiano col sudore della propria fronte, ricostruire il tempio della parola distrutta dagli eunuchi del minimalismo sterile. Vuol dire scrivere sul proprio corpo e con il proprio corpo, scegliere l’esilio invece di servire il potere. Se in Albania ho svolto vari mestieri lavorando come operaio, in Italia ho lavorato come pulitore di stalle, zappatore, manovale, aiuto tipografo. Chi è nato contadino, nasce già poeta.