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Christina Linares intervista José Carlos Rosales

José Carlos Rosales (Granada, 1952) ha appena pubblicato con la casa editrice Renacimiento l’antologia poetica Un paisaje che riunisce poesie degli ultimi 30 anni. José Carlos è uno dei più solidi e personali ma probabilmente anche uno dei più sconosciuti autori di quella che viene chiamata “generación novísima” , malgrado la sua comparsa come poeta sia singolarmente tardiva dato che il suo primo libro è del 1988. L’aver pubblicato così tardi può aver reso difficile il riconoscimento della sua poesia e spiega il suo figurare tra gli elenchi abituali dei poeti degli anni 70 e 80. Ciò nonostante, una tale maturità conferisce alla sua poesia carattere, unisce allo stesso tempo modernità e conoscenza della tradizione, è narrativa e minimalista. La sua opera si caratterizza per essere concisa, le sue poesie non sono molto estese, tendono all’ellissi, dove l’assenza è molto presente. Non è una poesia facile, che si concede al lettore alla prima lettura, ma è una poesia vera, di mondo, affatto intercambiabile con nessuna delle altre scritte dalla sua generazione. Per tutti questi motivi e per la sua opera José Carlos Rosales è un poeta necessario, imprescindibile nella poesia spagnola contemporanea.

Come pensi che si sia evoluta (se pensi che lo ha fatto) la tua poesia in questi 30 anni? Come è avanzata nel tempo?

Bene, penso che più che evolversi nel senso di avanzare linearmente, le mie poesie sono man mano andate più a fondo, hanno approfondito i meccanismi o i temi iniziali. Credo anche che come scrittore ho cominciato a sviluppare certe abilità che si imparano solo con gli anni, forse ora sono più chiaro o più preciso, forse anche più audace, penso che con il tempo uno possa diventare più audace e immagino che questo è quello che è successo a me.

Che influenza ha avuto su di te tuo zio Luis?

Luis Rosales è uno dei poeti spagnoli più importanti del secolo XX e, come poeta e filologo, mi sento abbastanza a mio agio con la sua poesia e con le sue opere, ma i miei temi e il mio modo di scrivere sono molto diversi, credo che non abbiano molta attinenza con i suoi; diverso sarebbe parlare della sua presenza umana o familiare, anche sentimentale, in questo senso l’esempio della sua pazienza o del suo scetticismo hanno avuto una certa importanza nella configurazione del mio modo di essere o di sentire; ma non più rilevante di quella degli altri adulti della propria famiglia o di quelle altrui, si sa che ci facciamo influenzare anche dagli adulti delle famiglie degli amici.

È una mera coincidenza che ti dedichi alla poesia come lui?

Non saprei cosa dirti, immagino che c’entrerà qualcosa, non lo so, anche se bisogna ricordare che nella mia famiglia ci sono stati (e ci sono) altri artisti e poeti, mia nonna era una pittrice non male e Antonio Corona Camacho, lo “zio Corona”, fratello della mia bisnonna, era poeta anche se è morto senza aver mai pubblicato un libro, ha pubblicato solo su riviste e giornali dell’epoca e fu incluso in una Antologia di poeti andalusi del 1914, quella di Bruno Portillo ed Enrique Vázquez de Aldana, la prima antologia in cui è stata usata l’espressione “poeti andalusi”; quest’antologia comprendeva, tra gli altri, Juan Ramón Jiménez. Inoltre c’è mio zio Gerardo Rosales, fratello di mio padre, pittore e poeta, pittore astratto e autore di Poema de Yavé pubblicato nel 1964, un piccolo libro di poesie molto interessante e sfacciato. Insomma, ora che ci penso, nella mia famiglia c’è sempre stata un’inclinazione artistica o letteraria e, anche se quelle tendenze non furono mai nucleari, erano sempre lì, credo che abbiano funzionato in qualche modo come stimolo…

Credi che ha influito sulla tua poesia?

Credo di no, come ti ho già detto prima non vedo nessi formali o tematici tra Luis Rosales e il mio modo di scrivere…

Chi sono i tuoi modelli, chi ammiri?

Dovrei citare molti nomi e non solo di poeti, mi sento guidato anche da romanzieri o narratori come Camus, Kafka, Herman Hesse, Philip Roth o Margaret Atwood, persino da pittori o musicisti como Paul Klee o Eric Satie, come Veemer o Bach, come Artemisia Gentileschi o Tracy Chapman. Ma tra i poeti che non abbandonano mai la mia anima potrei citarti Joan Vinyoli, Philip Larkin, Cernuda o Vallejo; e tra gli spagnoli più contemporanei ci sarebbero José Hierro, Francisco Brines o Caballero Bonald.

Per quanto riguarda il titolo delle tue opere, parlaci del ciclo formato da “El buzo incorregible”, “El precio de los días”, “La nieve blanca”, “El horizonte”, “El desierto, la arena”, o “Y el aire de los mapas”.

Quando ho pensato di pubblicare quello che sarebbe stato il mio primo libro di poesie, mi riferisco a “El buzo incorregible” mi ero proposto di iniziare una specie di ciclo poetico che, in quel momento, calcolai avrebbe compreso 3 o 4 libri. E sono già cinque. Il sesto sarà la chiusura, la fine di questo ciclo che si è aperto con “El buzo incorregible” , da qui il nome “Y el aire de los mapas” con questa congiunzione copulativa che annuncia la fine di una enumerazione. E ora, quando rivedo quei libri, credo di essermi mantenuto fedele al progetto iniziale; non posso valutare il risultato: non sono la persona più indicata per farlo, uno non sa mai se ha fatto bene il suo lavoro, ma quello che sì percepisco nelle pagine di “Un paisaje” è, secondo me, di essermi mantenuto all’interno di quelle coordinate che mi ero fissato più di 25 anni fa. Coordinate che si muovono intorno a due figure, quella del viaggiatore o fuggitivo e quella del malato o recluso o prigioniero, entrambi si guardano intorno, non si stancano mai di analizzare il mondo e, anche se si sentono esclusi da esso, non rinunciano a capirlo o a capirsi con lui, il mondo è causa di disgusto, ma anche di stimolo, di prossimità o di empatia; e quei due personaggi sono come dei sommozzatori, si immergono e guardano, sono in un mondo diverso ed estraneo.

Capisco l’importanza della neve, che a Granada è molto presente, ma cosa succede con il mondo sottomarino o il deserto, occupano anche loro un posto importante nella tua vita?

Immagino che non ci sia tanta differenza tra il fondo del mare, un deserto enorme e un paesaggio innevato. I tre ambiti implicano vastità, ma anche desolazione o abbandono e soprattutto estraniamento. Sono tre spazi attraenti che, tuttavia, non offrono troppo calore, forse ci attraggono per questa sensazione di vastità e lontananza, sono luoghi dove sembrano sanarsi le radici delle cose, ciò su cui nessuno fa domande.

Potresti spiegare la scelta dei titoli “El buzo incorregible” (Il palombaro incorregibile) e “El desierto, la arena” (Il deserto, la sabbia)?

Con il primo pretendevo esprimere due idee: l’appello a penetrare in ciò che c’è di più freddo e pungente e il proposito irrinunciabile di mantenersi in quella indagine o ricerca, da cio “incorregibile”, atteggiamento che non è volontario (altrimenti diremmo “irrinunciabile”) nemmeno cosciente, piuttosto sarebbe inevitabile. E con El desierto, la arena volevo svelare che il contenuto del libro si sarebbe mosso tra due piani, da quello generale e più ampio – “il deserto”- a quello più piccolo e particolareggiato, vale a dire “la sabbia”; il titolo equivale al movimento di una macchina da presa che va dal campo lungo al dettaglio, prima vedremmo il deserto in tutta la sua vastità per concentrarci successivamente sulle dune, sulla sabbia, sui granelli di sabbia.

Parlaci del tuo prossimo libro “Si quisieras podrías levantarte y volar”, perché questo titolo, “Se volessi potresti alzarti e volare”?

Con questo libro inizierò un nuovo ciclo, saranno poesie più estese, con un maggiore sviluppo delle idee e degli spazi, farò in modo che si intreccino nello svolgimento di una storia, un racconto che giustifichi le ragioni o le conclusioni poetiche, perciò il titolo è più lungo, un’intera frase, un’idea già stabilita o elaborata ma il cui senso non conosceremo del tutto se non dopo aver letto le poesie, sembra esagerato o presuntuoso, ma spero di no, insomma vedremo come sarà quando lo considererò finito.

Per favore parlaci del parallelismo tra Kafka-Milena/Rosales-Milena

Ci sono nomi che portano con sé potenti vibrazioni letterarie: Beatriz, Laura, Orlando, Sancho e molti altri. Milena è uno di questi nomi, quindi una volta che ho deciso e accettato la pubblicazione di Poemas a Milena, non mi sono preoccupato di riconoscere le implicazioni autobiografiche di quelle poesie; nemmeno risulta utile prendere alla lettera la definizione di autobiografia, ci sono molte altre cose: numerosi collegamenti letterari, un lavoro di costruzione drammatica più o meno sottile e soprattutto una certa dose limitata d’immaginazione; questo libro potrebbe portare una fascetta con su scritto “basato su fatti reali”, vale a dire un’indicazione che la realtà è una cosa e la letteratura un’altra, nemmeno nella letteratura chiamata realista troviamo la realta o tutta la realtà; per la realtà non solo non c’è posto nella letteratura, ma è da tutt’altra parte. E se tra la Milena di Kafka e quella di Poemas a Milena la relazione testuale è obbligata o spontanea, quella di Kafka con me è una conseguenza, conseguenza felice, poiché per me Kafka è stato sempre uno degli autori più preziosi e a me più vicini.
(Traduzione di Maria Valeria Salinas Soria)

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L'autore

Christina Linares
Christina Linares
Christina Linares (Villajoyosa 1989) ha studiato Filologia Francese nell’Università di Siviglia e attualmente svolge il suo lavoro di traduttrice e direttore commerciale del gruppo editoriale Renacimiento a Madrid. Nel 2019 ha vinto il premio Meridiana per il suo lavoro di recupero delle opere di scrittrici della generazione del '27.