Interventi

“Cultura: un lusso insostenibile?”

Il Sole 24 Ore ha presentato il 19 febbraio scorso il manifesto “Niente cultura, niente sviluppo”, che ha riscosso molti consensi. A che punto siamo? Prendiamo in esame alcuni fatti:

  • In questi mesi è nata una “cabina di regia per la cultura”, finora convocata tre volte (www.anci.it), composta da Conferenza delle Regioni, Anci, Upi, Mibac, e associazioni professionali del settore.
  • Unioncamere e Fondazione Symbola hanno presentato a luglio “L’Italia che verrà: Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia”; nel rapporto si afferma che il settore cultura vale il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a quasi 76 miliardi di euro, e impiega un milione e quattrocentomila persone, ovvero il 5,6% del totale degli occupati del Paese.
  • È stata rilanciata l’Agenda digitale, che dovrebbe finalmente attuarsi entro l’anno, ed è stata presentata la “spending review”, che più o meno consapevolmente colpisce le biblioteche scolastiche (e i bibliotecari), oltre a sopprimere l’”Istituto centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi.
  • La raccolta libraria dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli rischia di essere depositata in un magazzino a tempo indeterminato.
  • Il terremoto che ha colpito l’Emilia ha colpito anche il patrimonio culturale. Per rispondere all’emergenza i coordinamenti regionali dell’Emilia-Romagna di ICOM (International Council of Museums) AIB (Associazione Italiana Biblioteche) e ANAI (Associazione Nazionale Archivisti Italiani) hanno deciso “di attivarsi congiuntamente per favorire e facilitare in ogni modo l’enorme lavoro che sarà necessario per mettere in sicurezza il patrimonio e riportare l’attività degli istituti a condizioni di relativa funzionalità”.
  • La biblioteca Universitaria di Pisa è chiusa per problemi di stabilità dell”edificio aggravatisi a seguito delle recenti scosse di terremoto.
  • Per effetto del terremoto anche la biblioteca umanistica di Palazzo Maldura dell’Università di Padova – una delle più importanti d’Italia – è stata chiusa e in parte sgomberata. I tempi per la riapertura non sono noti.
  • Da aprile a giugno la prestigiosa biblioteca dei Girolamini a Napoli (aperta nel 1586) tiene banco sulle pagine di cronaca nera: oltre 2200 volumi sottratti e rivenduti, il direttore e tre collaboratori arrestati, con accuse di associazione a delinquere, ricettazione, peculato. Congregazione dei Girolamini e Mibac non si sono assunti alcuna responsabilità per l’accaduto.
  • La riduzione delle province italiane ha tra i suoi effetti la riallocazione delle responsabilità di strutture culturali (soprattutto biblioteche) a tutt’oggi non definita (con conseguenze facilmente immaginabili).
  • A luglio è stato emanato un decreto MIUR dedicato alle “smart cities”, e fra gli ambiti di progetto c’è anche il “cultural heritage”, per “promuovere lo sviluppo di nuove soluzioni tecnologiche per la diagnostica, il restauro, la conservazione, la digitalizzazione, la fruizione dei beni culturali materiali e/o immateriali, al fine di valorizzarne l’impatto in termini ambientali, turistici e culturali, e di favorire l’integrazione di servizi pubblici e privati innovativi, anche con riferimento alla capacità attrattiva dei territori”.
  • Sembra dunque che – attraverso questa sintetica e parziale rassegna – il panorama di questi mesi offra situazioni contrastanti, e che manchi una risposta coerente, efficace e diffusa a quanto viene espresso nell’appello summenzionato. Restano i problemi già più volte denunciati e quindi ben conosciuti: carenze di spazi adeguati e di risorse; riduzione di personale qualificato e accesso bloccato ai giovani laureati; precarizzazione del lavoro; ricorso a esternalizzazioni spesso indiscriminate e al ribasso; difficoltà nell’elaborazione di politiche e progetti comuni dovuti alla differente appartenenza amministrativa di musei, archivi e biblioteche; mancanza di progettualità nell’apertura di strutture museali e bibliotecarie; insufficienza quantitativa dei sistemi bibliotecari e delle politiche di cooperazione e amministrazione associata; uso disinvolto del volontariato per la gestione delle strutture culturali (prassi peraltro non applicata in altri ambiti dell’amministrazione pubblica). È  evidente che la cultura è davvero sviluppo se si accetta l’idea che investire in cultura significa investire in salute, ricerca, istruzione, ambiente, turismo, formazione permanente, integrazione tra culture e generazioni. Ma per accettare questo punto di vista occorre avere una sensibilità che purtroppo sembra scarseggiare proprio tra chi ha responsabilità politiche e amministrative. Sembra assurdo che in Italia un bibliotecario eserciti una professione ancora non riconosciuta. Sembra assurdo (e chi viene dall’estero spesso ce lo fa notare…) non saper mettere a frutto le immense ricchezze che abbiamo in Italia, ma purtroppo scontiamo un “cultural divide” ben più profondo del “digital divide” di cui spesso si parla: è un”ignoranza diffusa che porta a considerare che le biblioteche siano un deposito di libri, i musei un deposito di oggetti più o meno preziosi, gli archivi un deposito di carte più o meno antiche, depositi che servono a valorizzare eventualmente edifici prestigiosi (pur se inadatti), da mostrare con orgoglio nei giorni di festa e da dimenticare nei giorni feriali, dove far lavorare persone con una formazione generica e al minor costo possibile, se non addirittura volontari. È rarissimo vedere i nostri politici (di qualsiasi livello) frequentare biblioteche e musei al di fuori dei momenti istituzionali e dei vernissage… Non è casuale il fatto che siamo un popolo di scrittori e anche di editori, ma non di lettori. Nella patria di Dante e Leopardi, i lettori sono una minoranza. Come scrive Giovanni Solimine, “il mondo del libro in Italia si configura come un colosso dai piedi d’argilla: il fenomeno editoriale, per numero di libri pubblicati e per fatturato, ma tutto sommato anche per numero di libri letti, ha dimensioni piuttosto ragguardevoli, ma si regge su basi molto fragili e ristrette, se si pensa che pochi editori e pochi lettori coprono gran parte del mercato italiano, rispettivamente sul versante della produzione e dell’assorbimento” (G. Solimine, L”Italia che legge, Roma-Bari, Laterza 2010). Per i musei statali sappiamo (v. Francesco Antinucci, Musei virtuali, Roma-Bari, Laterza 2005) che il 50% dei 33 milioni di visitatori annui è assorbito dai primi 9 musei (2% del totale) e il 50% dai restanti 393 musei. Sappiamo che la percentuale di frequentatori di biblioteche è molto bassa rispetto all”Europa (visitatori una volta all’anno: media europea 35%, media italiana 11%). Eurostat e Cultural Policies ( www.culturalpolicies.net) mettono a disposizione i dati per la cultura per gli stati europei, in cui si può vedere quanto è la percentuale di spesa rispetto al PIL, qual è la spesa pro capite, quante persone operano nel settore culturale, quanto viene speso per i musei, le biblioteche, gli spettacoli, quanto spendono i governi. Abbiamo fior di ricerche e rapporti, che evidentemente non vengono letti, o capiti, o considerati; abbiamo anche enormi lacune sui dati operativi dei “luoghi della cultura”: bilanci, operatori, tipi di contratti, patrimoni, inventari aggiornati e affidabili del patrimonio culturale. Le statistiche disponibili non sembrano comunque impiegate per fare progetti di miglioramento. Le iniziative del Centro per il libro e la lettura (www.cepell.it), i cui omologhi europei dispongono di ben altre risorse, si scontrano spesso contro azioni contrarie (anche inconsapevoli, ma ugualmente deleterie), politiche nazionali o locali che tagliano risorse, tolgono personale, chiudono prospettive di lavoro ai giovani.

Quali sono allora gli strumenti possibili (e si spera probabili) per fare rotta verso uno sviluppo culturale coerente, sostenibile, efficace? Alcune proposte:

  • Cooperazione tra musei, archivi e biblioteche: la nascita del coordinamento MAB ad opera delle principali associazioni professionali di settore va in questa direzione.
  • Cooperazione tra gli operatori dei mestieri del libro (cartaceo e digitale), dagli autori ai librai, dai bibliotecari agli editori, ecc., per promuovere una coesistenza intelligente tra l’analogico e il digitale.
  • Revisione delle competenze statali e regionali in ambito culturale.
  • Revisione del sistema dei musei e biblioteche statali e della loro funzione, a partire dalle due Biblioteche Nazionali.
  • Cooperazione con la scuola per portare gli ottimi risultati del progetto Nati per Leggere ad altre fasce di età.
  • Contrasto del digital divide e di altre forme di esclusione sociale attraverso l’uso delle biblioteche come luoghi di formazione permanente.
  • Adeguamento dei dati, verifica periodica dell’aggiornamento con certificazione da parte di soggetti terzi, pubblicazione in rete.
  • Detassazione dei contributi per la cultura, evitando di limitarsi alle sponsorizzazioni per eventi, che lasciano il tempo che trovano e non favoriscono cambiamenti strutturali.
  • Sistemi territoriali di gestione associata per musei archivi e biblioteche, con ridefinizione e aggiornamento degli organici e conseguente programmazione per assunzioni mirate.
  • Open access e open source per le pubbliche amministrazioni e le università, come contrasto ai monopoli editoriali, ai costi altissimi delle riviste accademiche e delle banche dati, ai costi eccessivi dei software proprietari; come sostegno alla ricerca e all’accesso all’informazione.
  • Open data e Linked data: permettono il riuso (con evidenti risparmi) di dati aperti e facilmente accessibili, possono essere direttamente interrogati da qualsiasi applicazione indipendentemente da linguaggi di programmazione e tecnologie. Per le biblioteche i Linked data rappresentato il superamento degli Opac (più e meno evoluti) e la valorizzazione dei metadati che hanno prodotto, per poter essere davvero innovative e accessibili a quanti usano abitualmente il web e i motori di ricerca.
  • Revisione della norme sul federalismo fiscale per riportare la cultura a funzione fondamentale degli enti territoriali.

Pierluigi Sacco, commentando il panorama internazionale dell’economia della cultura (“Paesi emergenti in cultura”; Sole 24 ore, 26 agosto 2012 p. 30), conclude amaramente: “E in Italia? In questo panorama mobile, l’Italia si distingue per una sua attonita fissità. Sul versante istituzionale, manco a dirlo, tutto tace, e la nostra politica culturale la fa la spending review. Complimenti e sogni d’oro”. Rintuzzando l’amarezza, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare senza aspettarsi rinsavimenti sulla via di Damasco: la crescita dell’economia della cultura passa necessariamente dalla povertà di risorse e dal lavoro di pazienti lillipuziani.

Gabriele De Veris (Presidente AIB Umbria): gdeveris@gmail.com

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L'autore

Gabriele De Veris
Gabriele De Veris
Gabriele De Veris è nato a Genova e dal 1982 vive a Perugia. Dal 1985 lavora nelle Biblioteche Comunali di Perugia