Interventi

Un personaggio contro l’autore: “Riccardino” di Andrea Camilleri

L’incanto della Vigata immaginata da Andrea Camilleri si spezza in quest’ultimo romanzo del commissario Montalbano, Riccardino (Palermo, Sellerio, 2020). Il maestro aveva consegnato la prima stesura del romanzo nel 2005. Si concretizzava in quegli anni il suo impulso di abbandonare quel commissario che tanto era diventato famoso, ma decise di non pubblicare il romanzo: la pubblicazione sarebbe avvenuta o solo dopo la sua morte o se si fosse ammalato di Alzheimer. Vociferavano simpatici aneddoti riguardo a Riccardino: la bozza nella cassaforte della casa editrice Sellerio, la morte del personaggio Montalbano. Il romanzo fu rivisto da Camilleri nel 2016: pubblicate unitamente in un’edizione speciale in questo 2020, le due stesure presentano variazioni linguistiche, e sarebbe auspicabile un confronto filologico tra le due. Il dialetto siciliano di Camilleri si evolve, infatti, nel corso degli undici anni, e Riccardino subisce così solamente un’evoluzione e modificazione linguistica, non narrativa. Si ricordi che il dialetto parlato nel romanzo è in realtà inventato: non corrisponde al parlato reale, è un dialetto fortemente italianizzato, adatto al vasto pubblico referente. La cura e le disposizioni del maestro per Riccardino fanno presagire il suo carattere straordinario ed esclusivo rispetto agli altri romanzi che hanno come protagonista il commissario Montalbano. Il commissario che si muove in queste pagine è una persona normale e reale, che ha compiuto l’errore di raccontare le sue indagini ad un autore; questo autore ha scritto romanzi su queste indagini del commissario Montalbano, da cui sono poi state tratte trasposizioni televisive. Il nuovo, forse più vero Salvo Montalbano di Riccardino è in continuo duello con i due suoi sosia, del romanzo e della televisione. Sono scontri interiori che nascono dalle azioni più quotidiane del romanzo, ne riporto un esempio: recandosi sulla scena del crimine, una piazza, che ricorda tanto la piazza di Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, il commissario è osservato da degli spettatori sui balconi, che commentano le sue azioni, come se stessero guardando la televisione. È presente, nel romanzo, anche lo stesso personaggio/autore, che si manifesta attraverso telefonate o fax al commissario, discorrendo con lui riguardo ai suoi stati d’animo, proponendogli soluzioni alternative all’indagine. Queste chiacchierate suggeriscono al lettore una rivelazione: in apertura del romanzo, secondo il commissario, il tempo della scrittura dell’autore avviene successivamente al tempo dell’azione del personaggio: il commissario che racconta i suoi casi allo scrittore, che poi scrive di questi. In realtà il tempo della scrittura e il tempo della narrazione narrativa combaciano perfettamente: un’azione di Montalbano accaduta realmente nello spazio finto di Vigata si tramuta immediatamente in parole scritte dall’autore nel suo nuovo romanzo. Non c’è nessun confronto tra i due, raccontarsi riguardo all’indagine, è un rispecchiarsi che avviene contemporaneamente. La metaletterarietà di Riccardino fa sorgere, quindi, questo interrogativo: chi è che sta creando il romanzo, il personaggio che si scontra con il suo creatore, o l’autore che vuole imporsi su suo figlio e ne registra in silenzio i fatti? Il personaggio/autore di Riccardino ricorda molto il poeta presente nelle ultime battute di Luigi Pirandello della prefazione del suo dramma teatrale Sei personaggi in cerca d’autore: «Il poeta, a loro insaputa, quasi guardando da lontano per tutto il tempo di quel loro tentativo, ha atteso, intanto, a creare con esso e di esso la sua opera».

Luigi PirandelloIl richiamo è evidente: come il poeta di Pirandello osserva da lontano e progetta di scrivere del dramma di quei sei bizzarri personaggi in cerca d’autore, allo stesso modo il personaggio/autore di Camilleri scrive e riporta da lontano in tempo reale del suo commissario; al contrario, però, si intromette nella narrazione. L’indagine dell’omicidio di Riccardo Lopresti, detto Riccardino assassinato da colpi di pistola da un uomo col volto coperto in quella famosa piazza davanti ai suoi amici, sembra essere, infatti, insabbiata proprio dallo stesso autore. Secondo le indagini del commissario Montalbano, Riccardino sembra essere invischiato in una avvelenata rete che comprende la Mafia, lo Stato, la Chiesa: era stato il tramite tra il boss mafioso Li Puma e i suoi tre amici Bonanno, Licausi e Liotta, proprietari di una miniera di sale e del suo trasporto; collaborano i cinque, quindi, in un sistema di trasporto e importazione illegale di droga. Dopo aver messo in contatto il boss e i trasportatori, secondo il commissario Montalbano, Riccardino è stato assassinato in quanto diventato il peso morto di questo ingranaggio di relazioni: aveva adempiuto al suo compito, non aveva più una funzione, e quindi conveniva eliminare lui e ciò che sapeva. Questo delicato ingranaggio è in più protetto dall’onorevole Saccomanno, l’attuale sottosegretario alla Giustizia, e dal vescovo di Montelusa Partanna. Il commissario, riferita questa intuizione al questore, non riceve il suo consenso, in quanto non ha prove effettive, e il questore non vuole iniziare un’indagine nei confronti di un onorevole sottosegretario. Neanche il personaggio/autore vuole chiudere così il suo romanzo, e precedentemente all’incontro tra il questore e Montalbano, invia a quest’ultimo un fax, in cui è descritta la scaletta di un finale alternativo, un finale diverso dalla verità, sicuramente meno rischioso, che Montalbano rifiuta: l’omicidio di Riccardino è legato a motivi amorosi, un classico giallo che ameranno i suoi lettori, con descrizioni di inseguimenti e sparatorie, scene già pronte per l’alter ego televisivo. L’ingranaggio stato-chiesa-mafia è completamente scomparso, l’autore lo elimina dal finale alternativo, quasi omertoso nei confronti di ciò che nomina potere. Sarà proprio quel fax ad essere inviato dall’autore al questore, decretando la chiusura dell’indagine secondo il finale alternativo. L’autore si sostituisce completamente al suo personaggio, si intromette nella narrazione, condizionando un altro personaggio. Nel sistema della narrazione, nell’ingranaggio di questa, il commissario è il peso morto, il vero Riccardino, colui che non è più necessario al romanzo, in quanto il suo ruolo è stato surclassato dall’autore. Il commissario si rende conto di essere ormai un semplice personaggio in balia dell’autore, inchiostro su carta stampata, diventato secondario. La consapevolezza gli conferisce un potere: la possibilità di cancellare, cancellare l’inchiostro e la sua storia, cancellare Vigata, dall’interno, dall’universo fittizio della pagina bianca. Va contro il suo autore, facendo implodere il suo sistema narrativo: «E accussì, a picca a picca, scomparero la pilaja, il mari, il cielo.
Alla fini davanti a lui, ci fu sulo ‘na pagina bianca.
Allora accapì quello che gli ristava da fari».

Infine il personaggio, ormai totalmente cosciente di essere tale, cancella se stesso. In Riccardino è presente così la morte, il suicidio del commissario Montalbano, ma non in quanto personaggio nella narrazione, ma in quanto personaggio nella sua essenza; è il suicidio del personaggio/figlio, per rassegnazione, a causa del grande potere del suo creatore, il personaggio/autore: «Sono io che voglio scomparire. Ho scoperto che è facile. Da questo momento principio a cancellarmi. Basta un attimo. Sto cominciando a non esserci più […]».

Biografia del figlio cambiatoLa matrice pirandelliana in Riccardino è evidente. È il frutto di anni di studi approfonditi sull’argomento, si ricordi la biografia su Pirandello che scrisse Camilleri, Biografia del figlio cambiato (Rizzoli, 2000), riprendendo nel titolo il dramma La favola del figlio cambiato. Più che il richiamo pirandelliano in Riccardino è presente, però, un suo rovesciamento: rovescia Sei personaggi in cerca d’autore. Montalbano non cerca il suo autore, fugge da lui, si ribella, rompe e cancella l’ingranaggio narrativo. Dichiara, pur essendo un personaggio, con il suo atto estremo, la sua autorità, la sua autonomia, nei confronti di un autore asservito dal favore editoriale, televisivo, del potere. La vittoria del personaggio non è più il trovare un autore che renda pubblico il suo dramma; al contrario la sua vittoria è cancellare la collaborazione con colui che lo sta rendendo pubblico. Rompe la collaborazione, quindi, non solo con l’autore, ma con il suo pubblico, milioni di lettori e telespettatori: il suo cancellarsi è un’affermazione di unicità ed identità, non agisce per i centomila che lo leggono e guardano, ma per se stesso.

Il personaggio, pur cancellatosi dal 2005 al 2018, è tornato dal suo autore, e questo è tornato a scrivere di lui. Sono nati, dalla prima stesura di quel 2005, diciotto nuovi romanzi e numerosi racconti. La collaborazione, tra scontro e incontro, non è mai terminata, e azzardando un nuovo livello interpretativo, si può affermare non terminerà mai. La scomparsa di Montalbano nella sua Vigata combacia infatti con la scomparsa, la dipartita dell’autore; come si è già ricordato, il romanzo, per volontà di Camilleri, sarebbe dovuto essere pubblicato solamente dopo la sua morte. Personaggio e autore si sovrappongono: le ultime parole di Montalbano sono le ultime che Camilleri aveva previsto di pubblicare. Scrittore e autore si cancellano, scompaiono nella pagina bianca, diventano tutt’uno con essa. Probabilmente entrambi collaborano ancora, vivono come spiriti in questa pagina, si spostano tra le pagine vecchie delle indagini del commissario, leggono pagine nuove. La loro scomparsa, sotto questa interpretazione, è un’immortale affermazione di vita dell’autore e del suo personaggio: vivono e collaborano eternamente nella pagina.

nellocosta97@gmail.com

 

 

 

L'autore

Antonello Costa
Antonello Costa
Antonello Costa, classe ’97, si è laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli di studi di Roma “La Sapienza” nell’anno 2018/2019, con tesi dal titolo “Uomini e no e Dalla parte di lei: tra segni neorealisti e riprese isotopiche”, con relatore il docente Tommaso Pomilio. È collaboratore, curatore, relatore della rivista online “L’Incendiario”. Usando lo pseudonimo Avi, pubblica su questa i suoi racconti inediti. Sta concludendo gli studi del corso di laurea magistrale in Filologia moderna nel medesimo ateneo.