In primo piano · La scoperta

Un nuovo libro di Petrarca: il manoscritto di dedica del ‘De vita solitaria’ (Madrid, Biblioteca Nacional de España, 9633)

Il 6 giugno 1366 Petrarca poteva finalmente rivolgersi con una sua lettera (la Senile, VI 5) a Philippe de Cabassole, allora patriarca di Gerusalemme, per indirizzargli il De vita solitaria. Erano passati ormai vent’anni da quando l’opera era stata cominciata durante la Quaresima del 1346. Allora Petrarca si trovava a Valchiusa, soggetta territorialmente alla diocesi retta da Philippe, vescovo di Cavaillon; intendeva così, per adoperare le sue parole, pagare le decime del suo otium. Benché egli avesse completato la prima stesura del trattato nel giro di poco tempo, per molti anni lo mantenne sul suo tavolo di lavoro, come era sua abitudine, ampliandolo mano a mano che, in virtù di nuove letture, si imbatteva in materiale utile per implementarlo. Varie cause ne avevano ostacolato l’invio: le occupazioni, la congenita lentezza dell’autore nel terminare i propri scritti e la mancanza di copisti affidabili. Ma nel 1365 aveva incontrato la persona giusta: un sacerdote la cui scrittura, chiara e ben leggibile, rispondeva alle sue esigenze. Petrarca ne parla nella Senile, V 1, a Boccaccio del 17 dicembre 1365. Erano trascorsi troppi anni da quando il libro era stato cominciato e occorreva tirare i remi in barca. Avrà forse contribuito a sollecitare la chiusura del trattato e l’invio al dedicatario una falsa notizia che raggiunse Petrarca il 22 agosto 1361, quando seppe della morte di Philippe de Vitry, vescovo di Meaux. Lo stesso giorno un altro rumor infelice lo turbò: quello che gli comunicava la morte del Cabassole, come si legge in una delle note obituarie affidate alle pagine liminari del suo Virgilio Ambrosiano. Fortunatamente la voce era destituita di fondamento, ma avrebbe potuto costituire una sorta di memento che era il tempo di concludere la sua opera. Il sacerdote copista è stato identificato con Giovanni Bozzetta, custos della Cattedrale di Padova, al quale Petrarca destinò nel testamento del 4 aprile 1370 il suo grande breviario, ora Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Borgh. 364A. Nel giugno del 1366 si concludeva dunque una prima tormentata fase della composizione del De vita solitaria, che aveva impegnato l’autore per molto tempo.
Il manoscritto, una volta preparato dal sacerdote padovano, fu consegnato al Cabassole da Sagremor de Pommiers, nobile di origine francese, che, dopo aver frequentato le corti dei potenti, nel 1366 entrò nel monastero di Cîteaux. È Petrarca stesso a comunicarlo nella Senile, X 1, scritta a Sagremor da Venezia il 18 marzo 1367.
Grazie a un’altra lettera, la Senile, VI 6, mandata a Philippe l’8 agosto 1366, sappiamo che l’amico ringraziò con grandi lodi per il dono e anzi promosse la circolazione del De vita solitaria nei circoli culturali avignonesi: ne richiesero copia il papa, allora Urbano V, e il famoso cardinale vescovo di Porto, Guy de Boulogne, e lessero il trattato l’arcivescovo di Embrun, Pierre d’Ameil, e il vescovo di Lisbona, Pedro Gomez Barroso. Per altro, come Petrarca scrive al Cabassole nella Senile, XIII 12 (Arquà, 26 giugno 1372), il dedicatario lo aveva informato per lettera di avere così apprezzato i due libri del De vita solitaria da farli leggere a mensa al posto delle Sacre Scritture.
La storia di quest’opera in progress non si consumò con l’invio nel 1366 della copia di dedica. Negli anni Settanta del sec. XIV a Venezia il priore di Camaldoli, Giovanni Abbarbagliati di Borgo San Sepolcro, grazie ai buoni uffici di un amico fidatissimo, ovvero Donato Albanzani, cui era stata affidata in altre occasioni la biblioteca petrarchesca, aveva avuto la possibilità di leggere il De vita solitaria, ma aveva notato con stupore che nella complessa compagine del secondo libro, vero e proprio de viris illustribus solitariis, mancava un medaglione dedicato al fondatore dei Camaldolesi, Romualdo. Il motivo era che Petrarca non conosceva il santo solitario. Per questo il priore, che subito dopo raggiunse Petrarca ad Arquà e gli comunicò di persona il pio desiderio, provvide a inviargli la biografia di Romualdo, scritta da san Pier Damiani: così l’autore poté integrare il secondo libro con un ampio ritratto del fondatore di Camaldoli, il così detto supplementum romualdinum. Grazie alle lettere di Petrarca sappiamo, dunque, molte cose sulla composizione del De vita solitaria e sulla sua prima circolazione.
Tra i molti codici del trattato giunti ai nostri giorni (più di 130) una posizione di assoluta preminenza è stata riconosciuta al ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 3357, di aspetto modesto e dimesso: alcune sue caratteristiche ne riportano la copiatura ai tempi di Petrarca. Una serie di annotazioni marginali e l’aggiunta in un foglio a parte del così detto supplementum romualdinum testimoniano inoltre che il volume non solo fu vergato quando ancora l’autore del De vita solitaria era in vita, ma che chi lo possedette ebbe la possibilità di confrontarsi direttamente con Petrarca per risolvere alcune questioni testuali. L’ordinator del Vat. lat. 3357, che aveva accesso direttamente all’autore, potrebbe essere lo stesso Donato Albanzani.
A questo testimone così significativo e prezioso per la ricostruzione del testo critico del De vita solitaria se ne dovrà d’ora in poi affiancare un altro, finora non considerato negli studi sulla tradizione del trattato né riconosciuto come libro di Petrarca. Si tratta del codice di dedica, trascritto dal sacerdote padovano da Giovanni Bozzetta e già pronto nel dicembre 1365, quindi mandato nel giugno 1366 al Cabassole: è il ms. Madrid, Biblioteca Nacional de España, 9633. È identificabile grazie alla presenza nei margini di notabilia, graffe in forma di fiorellino e maniculae di mano di Petrarca stesso, che rivide con cura il libro prima di mandarlo al suo caro amico.

Il manoscritto è membranaceo, di ff. 100, mm 260 × 195. La scrittura, un’eccellente textualis di grande leggibilità, corrisponde agli ideali estetici e grafici del committente. Questo testimone del De vita solitaria è accompagnato nei margini da molte note autografe di Petrarca, tese a evidenziare i protagonisti del secondo libro dell’opera che comprende una carrellata di uomini di fede, di cultura e di stato amanti della solitudine. Insomma, con amorevole cura e manifestazione di affetto l’autore preparò il testo per il suo amico Philippe, corredando il secondo libro con una sorta di rubricatura marginale, atta ad accompagnare il patriarca nella lettura dell’opera. Ma Petrarca non si limitò a quest’operazione: scandì l’intero trattato con un numero consistente di graffe a fiorellino (sono centinaia) per mettere in rilievo quei passi degni, nella sua prospettiva, di essere segnalati al dedicatario, attraverso un sistema evidente sì ma allo stesso tempo riservato; non è un caso che si tratti per lo più di frasi sentenziose o proverbiali, che potevano costituire un piccolo tesoro sapienziale da affidare alla memoria. Una guida tanto più importante se si pensa che, stante quanto riferito dal Cabassole stesso per lettera a Petrarca, il De vita solitaria divenne una sorta di breviario da leggere ad alta voce a mensa. In questo modo è possibile ricostruire, per noi più tardi lettori, il percorso di lettura che Petrarca volle suggerire a Philippe attraverso il messaggio affidato agli elegantissimi fiorellini vergati dalla sua mano. Insomma, dopo aver ricevuto da Padova il volume del De vita solitaria destinato a essere spedito al dedicatario, l’autore lo rilesse, sanando alcuni errori, e lo corredò con i suoi notabilia e i suoi segni d’attenzione prima di inviarlo nel giugno 1366 al Cabassole. È un libro che rimase solo per poco tempo tra le sue mani, ma che dischiude un mondo emozionante per la storia di Petrarca autore e amico.


Il riconoscimento del codice di dedica porta con sé conseguenze di ordine filologico che avranno ricadute sul testo del De vita solitaria: sarà evidentemente fondamentale per l’edizione critica cui sto attendendo per la «Commissione per l’edizione nazionale delle opere di Francesco Petrarca». Una prima presentazione scientifica del ms. di Madrid è in corso di stampa sulla rivista «Italia medioevale e umanistica», 61 (2020).


Si arricchisce così il numero degli autografi di Petrarca, un campo di indagine ancora aperto a sviluppi: recentissimamente la cara amica Monica Berté, con la quale attendo alla scheda ‘Petrarca’ per il progetto Autografi dei Letterati Italiani e collaboro per l’allestimento del portale Petrarca online (che ha ottenuto il riconoscimento di un finanziamento PRIN), ha indicato un altro volume con ‘fiorellini’ petrarcheschi (le Ystorie imperiales di Giovanni Mansionario).

marco.petoletti@unicatt.it

 

 

 

L'autore

Marco Petoletti
Marco Petoletti è professore di Letteratura latina medievale e umanistica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È direttore di «Italia medioevale e umanistica», membro dell’Academic Board del Corpus Christianorum, della «Commissione per l’Edizione Nazionale delle opere di Francesco Petrarca», del Comitato scientifico dell’«Ente Nazionale Giovanni Boccaccio», del «Centro Pio Rajna» e di «Studi sul Boccaccio». È Accademico Fondatore dell’«Accademia Ambrosiana di studi greci e latini». È Responsabile dell’Archivio e Biblioteca Capitolare della Basilica di S. Ambrogio di Milano. Ha scoperto il Marziale autografo di Giovanni Boccaccio. I suoi campi di interesse riguardano la circolazione e tradizione dei classici latini nel Medioevo, la letteratura latina del sec. XIV con particolare riferimento a Dante, Petrarca e Boccaccio, l’epigrafia altomedievale e l’età carolingia (Incmaro di Reims). Su questi argomenti ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche.