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Luigi Blasucci (1924-2021): verso l’ineffàbile

Il nome di Luigi Blasucci, per molti Gino, è da sempre associato al nome di Giacomo Leopardi. Uno dei maggiori critici leopardisti «viventi», come veniva presentato da altri, «morenti», come si affrettava a correggere lui. Blasucci e Leopardi intrecciati fino all’ultimo, visto che Gino ci ha salutato nei giorni del XV Convegno internazionale di Recanati, per cui era previsto un suo intervento dedicato ai Paesaggi leopardiani. Avrebbe parlato – immaginiamo – di quell’universo finito che aveva suggerito al poeta uno spazio vasto e interminato, accentato sulle a che il saggio blasucciano più noto (in seguito incalzato da alcune obiezioni dell’amico Timpanaro) ha presentato come attivatrici infinitive. Altro che pessimismo cosmico.
Il Blasucci professore ha coltivato un rapporto con allievi e allieve costante, turbolento in caso di deviazione dalla critica stilistica, mai limitato alle ore di lezione, pronto a continuare, negli anni della Scuola Normale, alla mensa, al caffè, con un variegato gruppo di letterati modernisti e antichisti, e, dopo il pensionamento, con nuovi «para-allievi» – così il para-maestro – in articolati «seminari telefonici». Al giovane normalista attento alle virgole e ai passi paralleli, lui che aveva scovato la Commedia nel Furioso prima dell’avvento dei database ricordava di non trascurare la visione d’insieme, «la foresta oltre gli alberi».
Con lo stesso stile limpidissimo, forgiato nella fucina della scuola secondaria più che sull’Olimpo dell’università, Blasucci era capace sia di cogliere ogni piega della lingua dei Canti e delle Occasioni sia di sollecitare l’inserimento, nel vivaio dell’amata Juventus, di una punta («Ci vuole un aspide!»). Il seminario telefonico era infatti sospeso se la Vecchia Signora giocava – e, sempre, dalle 14 alle 17, quando una siesta ristoratrice lo rendeva poi paratissimo alle discussioni serali, fino a passeggiate notturne sui lungarni che innamorano.
Del Blasucci privato chi l’ha conosciuto da vicino ha ammirato la propensione all’aforisma tranchant (spesso in metrica), del quale si compiaceva. Ricorrendo divertito al linguaggio freudiano, diceva che Domenico De Robertis, nel commento ai Canti già annotato da Giuseppe, «ha ucciso il padre fra parentesi quadre». Di un’attrice modesta che con melensa passione lesse Leopardi a Recanati, attaccata dai più, sentenziò: «Non ridicolizziamo ciò che per lei è l’ineffabile».
Nel segno di quell’ineffàbile (notare l’accento) che ora Gino ha varcato – forse non con la stessa ansia con cui affrontava gli spostamenti aerei e terrestri – lo salutiamo ora, in trepida attesa della seconda parte del suo commento ai Canti, che ne diventerà una sorta di testamento. È un addio faticoso, per cui ci consolano le tante pagine dedicate ai suoi autori (segnaliamo qui, tra le sue migliori, Lo stormire del vento tra le piante, 2003): non solo della letteratura ma anche della critica, a partire dalla triade Russo-Fubini-Contini, i maestri ricordati in profili acuti e, insieme, affettuosi.
Ci lasci, Gino, «or poserai per sempre»; noi non lasciamo te, ridente e fuggitivo.

 

 

L'autore

Johnny Bertolio
Diplomatosi alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Johnny L. Bertolio ha curato varie pubblicazioni e iniziative leopardiane (a partire dalla tesi di laurea sulla Torta, versione del Moretum pseudo-virgiliano), che gli hanno permesso di incrociare la figura e l’opera di Luigi Blasucci. Con la sua presenza ha organizzato, nel 2010 a Pisa, il reading Alla fioca lucerna poetando e ha steso la recensione delle più recenti pubblicazioni blasucciane: La svolta dell’idillio e altre pagine leopardiane (2017); Letture e saggi danteschi (2014); Sulla struttura metrica del Furioso e altri studi ariosteschi (2014). La conferenza di Blasucci Lettura in classe e commento scolastico: esempi da Leopardi e Montale è offerta come esempio di scrittura e presentazione accademica nel volume Le vie dorate. Un’altra letteratura italiana: da san Francesco a Igiaba Scego (2021).