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Storie di libri e tecnologie: riflessioni a latere

Negli anni venti del secolo scorso, il filologo grecista Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, nel saggio Geschichte der Philologie, introduceva il concetto di scienza dell’antichità. La disciplina intendeva affiancarsi, ma anche contrapporsi, all’episteme, al sapere scientifico di per sé obiettivo rispetto all’esegesi e all’interpretazione umanistico-letteraria. Una teoria scientifica è vera solo fino a quando si può dimostrare con i mezzi, e supporti tecnici, che si hanno a disposizione nel preciso momento storico in cui la medesima è proposta. Sotto questo profilo (perché no?) anche la filologia può essere considerata scienza poiché analizza i testi, le scritture, sulla base delle conoscenze, e delle strumentazioni, che gli studiosi hanno, e sperimentano, al momento della ricerca. Pensiamo, ad esempio, all’ausilio dato a costoro da parte dell’informatica dando vita alla sfera delle Digital Humanities come pure, più semplicemente, all’impiego di nuovi strumenti e tecniche atti ad agevolare la lettura di antichi codici o di scritture, nascoste tra le pagine, vergate da mani di altri tempi come, ad esempio, la lampada di Wood o, più specificatamente, le luci ultraviolette.

E allora, se è vero che il dato umano della scrittura, di per sé, è muto e acquisisce significato storiografico solo una volta interpretato con i mezzi-supporti dell’epoca, il libro di Maria Gioia Tavoni, dal titolo Storie di libri e tecnologie: dall’avvento della stampa al digitale, rappresenta una pregevole sinossi di tale interpretazione. Le parole dell’Autrice, infatti, accompagnano il lettore in un excursus, a tappe serrate, relative alla storia del libro, tra i migliori supporti di scrittura inventati dall’uomo, dalle origini fino ai nostri giorni, con uno sguardo attento alla tradizione antica ma volto al futuro. Oggetti quali il codice, il libro tipografico e l’e-book sono tutti supporti che, in varie forme, hanno perpetuato la scrittura e interpretato, nel corso dei secoli, l’idea dell’opera pre-esistente nella mente dell’autore che, nel migliore dei casi, l’ha scritta o la scriverà di suo pugno. Nella Premessa, l’Autrice offre una brillante sintesi della storia del libro, traendo ispirazione dai saggi dei maestri Francesco Barberi, Armando Petrucci e Henri-Jean Martin fino ai più recenti contributi per mano di Luigi Balsamo, Roger Chartier, Lotte Hellinga, Lorenzo Baldacchini, Edoardo Barbieri, Paolo Tinti, Marco Cursi per citarne alcuni. Si intende fornire al lettore chiavi di ricerca insolite per analizzare il ventaglio di opportunità che, da secoli, le tecnologie hanno generato nell’ambito della produzione editoriale. A partire da rapidi, ma inevitabili, riferimenti a temi ampiamente noti e sviscerati come, ad esempio, l’importanza dell’invenzione della Black Art in rapporto allo sviluppo della comunicazione di massa oppure la valenza socio-economica di una editoria mutante proprio perché frutto, di volta in volta, dello scambio sinergico tra libro-supporto e tecniche di produzione  regolato dall’ingresso di macchinari, sempre nuovi, portati dallo sviluppo industriale nelle varie capitali europee, l’Autrice si sofferma su tematiche inedite, o ancora non pienamente indagate, suggerendo spunti di riflessione sulla modificazione della Weltanschauung dell’individuo, del lettore, nei secoli.

Il saggio si divide in sei capitoli. Nel primo capitolo, oltre a prendere le mosse dalla tradizione storica che analizza il rapporto naturale tra il codex e il libro tipografico, entrambi oggetti manufatti latori di pensiero, si ricostruisce con chiarezza sintetica una serie di passaggi fondamentali che contribuirono alla mutazione della forma del libro e, contestualmente, della figura del lettore; mestieri che cambiano, dunque, e menti che si rinnovano grazie alla scossa dell’invenzione tipografica come accadde per i casi di Nicolas Jenson intagliatore e proto-tipografo, Mattia Moravo copista e tipografo, Aldo Manuzio docente, editore e tipografo (Magister!). Al mutamento è sottoposto inevitabilmente anche il lettore con i suoi sensi; dall’essere colui che ascolta il sermone letto in chiesa, recitato nelle piazze, d’impronta medievale, egli diviene colui che legge e sente l’odore della carta mentre sfoglia il libro, portato con sé, nello studiolo privato rinascimentale.

Si pone l’accento su percorsi tematici poco battuti, e ancora troppo poco evidenziati nella bibliografia nota, come la nascita di vere e proprie aziende familiari, per esempio, i lionesi Gryphe imprenditori, ante litteram, della carta stampata e la categoria ‘femminile’, composta di donne laiche ed ecclesiastiche, che condizionò buona parte del destino di numerose botteghe, italiane e straniere, sia per essere state, costoro, eredi dell’officina alla morte del marito sia per aver rappresentato quella fetta di pubblico a cui l’editoria dedicò una buona parte di titoli (…l’Autrice fa tesoro degli studi, imprescindibili in proposito, di Tiziana Plebani e Maria Rosa Borraccini). Sempre in questo capitolo un accenno, non meno importante, va al recupero del valore dei libriccini, e fogli volanti, che veicolavano la cosiddetta letteratura effimera ‘popolare’ caratterizzata, nondimeno, da una particolare efficacia di trasmissione del messaggio antropologico-culturale. Aggiungo però anche una riflessione sull’importanza del recupero dei bandi storici che, sebbene non siano ascrivibili (ovviamente) alla categoria della letteratura popolare, con essa hanno in comune la volatilità materica, la consistenza fragile. In questo caso, la digitalizzazione potrebbe, concretamente, scongiurarne la definitiva scomparsa! Questa parte si conclude con una virata sull’impiego delle immagini, e del loro valore cognitivo intrinseco, poste a corredo, ad esempio, dei trattati scientifici ma anche altrove. Non a caso, l’Autrice ha arricchito il suo testo con una selezione di immagini inedite, e puntuali, tratte sia da esemplari provenienti da collezioni private sia da biblioteche pubbliche.

Il secondo capitolo sviluppa il rapporto, già analizzato in parte da Frédéric Barbier, tra i bambini e l’industrializzazione della produzione libraria sia dal punto di vista del lavoro minorile, delle maestranze che costoro andarono a ricoprire come operai addetti alla collatura, alla presa dei fogli dal torchio, dalle stampanti meccaniche e molto altro; sia dal punto di vista di costoro, quali piccoli fruitori e potenziali acquirenti, atti ad alimentare il mercato dell’educazione alla cultura a partire dall’editoria scolastica iniziata con la didattica dei sillabari e proseguita con le collane ottocentesche di alta letteratura e di fantasia risultato della promulgazione di leggi sull’istruzione e all’apprendistato, di matrice religiosa, praticato nelle scuole tecniche di don Bosco, don Orione e altri tutori (…con intento non meno didattico è l’aggiunta, voluta dall’Autrice, di un glossario finale conciso, a cura di Edoardo Fontana, che accompagna il lettore alla conoscenza di parole-chiave ricorrenti seguito da un funzionale indice dei nomi a cura di Chiara Moretti).

Il terzo capitolo tocca il tema della nascita, e diffusione, del giornalismo sia in Italia che all’estero. La stampa periodica assecondava l’esigenza di un pubblico, sempre più ampio, che voleva essere update su temi di politica, finanza, cultura e non solo. Non vi è dubbio che la produzione informativa di massa abbia favorito la realizzazione di nuovi supporti cartacei, in nastro continuo, e di macchinari adatti alla produzione di questa tipologia di materiale, di consumo letterario, politico e di svago, di cui l’Autrice offre l’esempio più calzante nel feuilleton e nel primo giornalismo di stampo femminile rappresentato, a partire dal Settecento, da figure come Caterina Chracas ed Elisabetta Caminer fino a giungere al Novecento con Margherita Sarfatti e Stefania Türr. Anche in questo caso, vale la pena impiegare le nuove tecnologie per velocizzare la consultazione delle annate ma anche conservare la storia passata con il salvataggio di scansioni dei fascicoli.

Il quarto capitolo tocca il tema della produzione libraria di nicchia in risposta alla produzione massificata e di bassa qualità di materiali; cambiano i supporti, la carta diventa più scadente e varia il risultato finale offerto al lettore. In risposta a questo flusso commerciale, dalla metà dell’Ottocento in poi, esordisce una tipologia di libro inteso come oggetto manufatto d’artista, che si ispira all’antico, al bello, come nel caso dei volumi pensati, ma anche realizzati, da artisti eclettici (e visionari) come William Blake e poi William Morris. Un secolo dopo, sulla medesima scia, proseguono altri progetti editoriali promossi, ad esempio, dal movimento europeo Arts & Crafts oppure dal Buchkunstbewegung. Il bel libro continua, ancora oggi, ad avere una tradizione artigianale sebbene il digitale stia convertendo, in parte, il sentire socio-antropologico ad un’altra dimensione. Riguardo alla produzione di libri d’artista, l’Italia rappresenta, da circa un secolo, un faro a cui poter guardare per orientarsi verso il futuro; a tal proposito l’Autrice richiama, tra gli altri, il know-how della famiglia di editori e tipografi Tallone che perpetua, dal 1938, l’artigianato librario d’eccellenza. In questo capitolo si ragiona anche sugli effetti della industrializzazione nell’ambito pubblicitario già visibili in alcune espressioni del rapporto medium-messaggio di memoria McLuhaniana; si accenna, ad esempio, alla diffusione di inediti e accattivanti manifesti stampati con caratteri speciali per poter essere affissi su colonne rotanti, costruite ad hoc, ad ornamento delle vie principali delle città.

Ma il libro, o meglio il testo, può vantare tanti generi: uno di questi è il romanzo oggetto del quinto capitolo. Il libro, nel genere del romanzo degli ultimi secoli, ha assunto la duplice natura di oggetto-soggetto, traccia del vissuto, nella poliedrica produzione di due nomi noti: Honoré de Balzac e Ezio D’Errico. Entrambi riuscirono ad incarnare, ciascuno incardinato nella sua epoca, la figura dello scrittore-giornalista-tipografo identificandosi, per certi aspetti, con le figure cucite nella trama delle loro fiction; ancora una volta cambio di mestieri, cambio di menti!

Il sesto, e ultimo, capitolo si interroga sull’ultima frontiera del libro: l’editoria digitale. Siamo ormai immersi in un mondo dominato dalle tecnologie digitali atte a registrare, per il prossimo futuro, lo spettro infinito dei saperi. Il pensiero dell’Autrice interpreta questo passaggio definito, dal filosofo dell’infosfera Luciano Floridi, la IV Rivoluzione che segue la prima attuata da Copernico, colui che tolse all’uomo la centralità nell’Universo a favore del Sole; la seconda con Darwin che tolse all’umanità la sua centralità biologica, la terza con Freud che diede un altro scossone alla comprensione di noi stessi rivelando che anche la mente è inconscia. L’ultima rivoluzione pone, ancora una volta, l’individuo alla prova, a contatto con un fitto reticolo di informazioni, un flusso ininterrotto di dati, un ambiente indistinto ove costui esperisce passando tra la vita online e l’offline. Questa IV Rivoluzione affonda le sue radici, nel secolo scorso, nell’approccio all’informatica umanistica iniziata, in Italia, dal linguista padre Roberto Busa, S.J.. Negli anni novanta del secolo scorso, con l’ausilio dell’informatico Piero Slocovich, padre Busa riuscì ad ottenere una versione dell’Index Thomisticus sotto forma di ipertesto consultabile interattivamente. Nell’anno 2005, l’opera fu pubblicata e divulgata sul web ma non dobbiamo dimenticare che questo fu possibile grazie all’invenzione della rete Internet giunta in Italia nell’anno 1986: nuove tecnologie, nuove forme di interpretazione dei testi, nuove tipologie di libri (futuri cyber-readers?).

In tale orizzonte, in continuo aggiornamento, il lettore inizia a metabolizzare che il piano del testo scritto e quello del libro cartaceo non sono più, così, intimamente legati. Forse si sta aprendo un nuovo sentiero; forse stiamo andando incontro alla possibilità di realizzare l’antico sogno di una biblioteca universale virtuale capace (finalmente) di contenere lo scibile umano? L’Autrice si interroga, e noi con lei, sulla nuova forma funzionale del libro inteso virtual object come, ad esempio, nel progetto EOD E-Books on demand diretto dall’Università di Innsbruck. Non mancano tuttavia ancora desiderata di volumi in carta tramite la stampa ‘espressa’ come quella proposta, tra i tanti siti, dal sito italiano ilmiolibro oppure dal sito internazionale Lulu.Publish, print and prosper. Nell’ultimo capitolo, sono ampiamente sviscerati i temi dell’editoria digitale, del print on demand e delle tipologie di editoria virtuale quali modalità sempre più impiegate sia per i vantaggi economici che comportano, ad esempio, riguardo allo stoccaggio inesistente se pensiamo solo in termini di spazio fisico, sia riguardo al recupero o alla ri-stampa di opere (…alcune ormai introvabili!). Vale la pena soffermarsi anche sul concetto, solo accennato dall’Autrice, di sociabilité urbana che, in un contesto digitale, potrebbe essere recuperato proprio in seno allo spazio umano delle biblioteche, delle librerie e dei Book-Cafè che, come ricordava Umberto Eco, sebbene mutati con i tempi e sbarcati nel mare magnum del web tramite i cataloghi on line, rappresentano ancora oggi quei luoghi ove l’imperativo dell’incontro fisico, tra lettori e libri, è categorico.

L’editoria digitale continuerà, ad ogni modo, ad affiancare l’editoria d’antan destinata alla nicchia di lettori, e collezionisti resilienti, amanti del libro come opera d’arte in sé. Non a caso alcuni devices hanno aggiunto la fascinatio artificiale di far ascoltare al lettore, per imitazione, il suono delle pagine sfogliate durante la lettura (…viene da chiedersi chissà se, un domani, i cyber-editors riusciranno ad aggiungere anche il profumo della carta nella consultazione, ad esempio, di libri antichi digitalizzati!). La galassia digitale è un labirinto dove studiosi, e collezionisti, si muovono con cautela trovando ciascuno il proprio percorso accomunato dall’amore per la traccia scritta (di sapore heideggeriano) sia essa in forma di libro sia essa in forma di reperto digitale; il tutto sembra tenuto insieme da una trama invisibile e complicata ma alla fine, come dicono i francesi, tout se tient! Se è vero, come ebbe a dire Charles Baudelaire nella citazione scelta dall’Autrice ad inizio del saggio, che “C’è un solo modo di dimenticare il tempo: impiegarlo”; è altrettanto vero che lo scorrere del tempo si cristallizza, magistralmente, solo nei libri manufatti; scrigni preziosi di pensiero, di vissuto e di bellezza dell’altro da sé, in costante sinergia con i lettori e le invenzioni tecnologiche di ogni tempo.

lalli@vatlib.it

L'autore

Laura Lalli
È nata a Roma il 6 novembre del 1973. Dopo aver conseguito la laurea in Filosofia, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ha compiuto gli studi specialistici presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari della medesima Università. Da sempre interessata allo studio del libro antico a stampa, ha pubblicato numerosi saggi e articoli sul tema. Ha lavorato presso numerose biblioteche romane storiche, in qualità di catalogatrice esperta, tra cui la biblioteca della Fondazione Marco Besso, del Centro Studi Americani, la biblioteca di Storia Moderna e del Pontificio Collegio Irlandese. Dal 2004, lavora presso la Biblioteca Apostolica Vaticana nel Dipartimento Stampati-Sezione Catalogo Libri Antichi. È socia della Bibliographical Society of London dall'anno 2010. È membro del Gruppo dei Romanisti dall'anno 2011. È socia vitalizia della Società Dante Alighieri di Roma dall'anno 2019 e dell’Aldus Club di Milano dall'anno 2021. (https://vaticanlibrary.academia.edu/LauraLalli).