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Il Tiranno di Manganelli

A distanza di trentadue anni, torna finalmente disponibile Encomio del tiranno di Giorgio Manganelli, ristampato da Adelphi e mantenuto nella collana Fabula. Il libro uscì il 19 marzo 1990, poco più di due mesi prima della morte di Manganelli, avvenuta il 28 maggio. È stato quindi il suo primo libro inedito a essere stato pubblicato da Adelphi e l’ultimo uscito con l’autore in vita. La Adelphi aveva cominciato pochi anni prima a ripubblicare alcune sue opere già comparse presso altri editori: La letteratura come menzogna (Feltrinelli, 1967) nel 1985, Hilarotragoedia (Feltrinelli, 1964) nel 1987 e infine Agli dèi ulteriori (Einaudi, 1972) nel 1989.

A ricostruire le vicende editoriali di Manganelli è stato Salvatore Silvano Nigro, uno dei suoi principali studiosi, che nel 2016 cura il volume Estrosità rigorose di un consulente editoriale (Piccola Biblioteca Adelphi, numero 691) poiché, come scrive Anna Longoni, restituiscono un quadro complessivo della sua attività di consulente e traduttore “attraverso le lettere, i pareri di lettura, i risvolti, le quarte di copertina” e coprono un arco di tempo lungo circa trent’anni. Il primo contatto con la casa editrice avvenne tramite Luciano Foà, che si era distaccato da Einaudi per fondare Adelphi nel 1962 insieme a Roberto Bazlen e Roberto Calasso. L’anno successivo Manganelli, che lavorava anche per Einaudi, viene chiamato da Foà a collaborare con Adelphi in qualità di anglista.
Diciassette anni dopo, nel 1980, Calasso decide di ripubblicare la sua traduzione di Memorie di un cane giallo e altri racconti di O. Henry, precedentemente pubblicata dalla Feltrinelli (1962) e dalla Garzanti (1970). Scrive Nigro che “nel 1982, Manganelli aveva aperto le trattative con la Adelphi per la cessione di Hilarotragoedia” ma […] “l’accordo fu raggiunto tardi”, e aggiunge che “mancava un’opera nuova – cioè, suppongo, inedita – perché Manganelli fosse pienamente autore adelphiano”. Si tratta, appunto, di Encomio del tiranno, il cui sottotitolo recita Scritto all’unico scopo di fare dei soldi.

È noto che le opere di Manganelli, labirintiche, dispersive e frammentarie, sono spesso difficili da collocare entro uno specifico genere letterario, fatta forse eccezione, ad esempio, per alcune raccolte di articoli e recensioni pubblicate postume. Il caso di Encomio del tiranno è alquanto indicativo: esso si presenta come una lunga lettera che l’io narrante scrive al proprio editore con l’intento di essere pubblicato per fare dei soldi. Egli si presenta all’editore, già nel primo capitolo, come un buffone di corte, figura che è possibile riscontrare anche ne Il discorso dell’ombra e dello stemma. Il libro – oltre a contenere una serie di storie che il buffone dovrebbe raccontare, ma che di fatto non vengono raccontate – procede per ipotesi e supposizioni che prendono la forma di un infinito sproloquio lungo più di 130 pagine; in questo senso Encomio del tiranno può essere considerato un metaromanzo, i cui molteplici piani narrativi si sovrappongono e si mescolano continuamente in un vortice speculativo tipico dello stile manganelliano. Se si volesse ricercare necessariamente un’azione all’interno del libro, per ricostruire un andamento fabulatorio che parta da un punto e giunga alla sua conclusione, ci si dovrebbe rivolgere proprio al vortice speculativo di cui sopra. L’unica azione che si compie si sviluppa su due piani paralleli; il buffone scrive all’editore-tiranno, che si suppone abbia letto e pubblicato il libro (ne è prova, forse, il fatto che esso esista nella realtà empirica) e da questa circostanza si potrebbe dedurre che la storia si sia conclusa positivamente per il buffone, che ha finalmente realizzato il suo “antico sogno”, cioè “scrivere un libro il cui scopo è esattamente indicato dal titolo”.

Forse la definizione di romanzo non risulta corretta se si prendono in esame alcune considerazioni di Manganelli circa questo genere letterario. In un’intervista del 1979 rilasciata a Stefano Giovanardi, in occasione dell’uscita di Centuria, cento piccoli romanzi fiume, Manganelli dice che non crede “di aver mai scritto romanzi nel senso comune del termine […]. Ecco: vuole una mia definizione del romanzo? Quaranta righe più due metri cubi di aria”. Era però il 1979 e Manganelli avrebbe avuto davanti a sé altri undici anni di attività letteraria e pare in definitiva che qualche romanzo, seppure atipico, lo abbia scritto. L’ambiguità letteraria di Encomio del tiranno è un paradigma dell’idea che Manganelli aveva della letteratura, è la teoria applicata de La letteratura come menzogna.

niccolobrunelli@libero.it

 

 

L'autore

Niccolò Brunelli

Niccolò Brunelli, studente e laureando in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Perugia, si occupa principalmente di Letteratura del ‘900, con particolare attenzione a Giorgio Manganelli, suo punto di riferimento letterario. Bibliotecario e libraio a tempo - quasi - perso, è appassionato di musica ed è un pessimo giocatore di scacchi.