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Non siamo nati per leggere

Siamo purtroppo ormai abituati a sentire dati sempre più sconfortanti sulla percentuale dei lettori e sul numero sempre più esiguo di libri letti durante l’anno. Si legge sempre meno e, quelli che lo fanno, sono più accaniti, lo fanno più di prima. Chi già leggeva, legge di più; non si è allargata la platea dei lettori. Il mercato editoriale è concentrato nelle mani di pochi, definiti lettori forti, che leggono almeno un libro al mese. Sappiamo purtroppo che al Sud si legge meno che nel resto del Paese (qui), e che il livello socioeconomico è direttamente proporzionale al numero di libri letti.
Come ci spieghiamo questi dati? Alla luce di cosa possiamo interpretarli? La risposta non è semplice, anzi è sicuramente molto articolata; inoltre, la pandemia, ha complicato tutto (sebbene, dati recenti evidenzino una ripresa della lettura dopo il primo lockdown).
A sorpresa, una delle possibili ragioni che potrebbe aiutarci a interpretare i dati è che “Non siamo nati per leggere”. Leggere non è propriamente facile, implica fatica e esercizio, ed è da qui, dopo esserci arresi a questa evidenza, che dobbiamo partire, per analizzare e per comprendere i dati (sconfortanti) sulla lettura. Accanto a una precisa mancata responsabilità, da parte delle amministrazioni (le Istituzioni), e al fallimento (ahinoi!) della scuola, che avrebbe bisogno di una rete a cui appoggiarsi, c’è l’inconfutabile evidenza scientifica che gli uomini non sono stati “programmati” per la lettura. Se parlare, vedere, o camminare (con le dovute eccezioni legate a precise patologie) sono pratiche spontanee, che nessuno ci insegna a mettere in atto; leggere no; leggere è un’altra cosa. Leggere è un’attività che ha bisogno di tempi distesi, e di precisi e qualificati mediatori, cioè, gli insegnanti, che, con pazienza, competenza e dedizione, indirizzano il soggetto verso quello che, se gustato, potrà divenire uno dei massimi piaceri della vita. Ma in che senso il nostro cervello non è stato “programmato” per questa pratica? Quello che non ci è mai stato spiegato è che l’organo principale del sistema nervoso non avrebbe aree deputate per la lettura. Basti pensare, del resto, che la scrittura non nasce con l’uomo, ma ha una storia abbastanza recente (5000 anni fa), e che quindi prima di quest’invenzione l’uomo non aveva la necessità di leggere. A partire da questa invenzione, grazie alla struttura aperta del nostro cervello, antichi circuiti neuronali, deputati ad altro (probabilmente, alla visione e al collegamento di questa con funzioni linguistiche e concettuali), si sono riciclati, riorganizzandosi.

Come scrive Maryanne Wolf, nel libro Proust e il calamaro, edito da Vita e Pensiero, Milano 2007: «la lettura non si basa in modo diretto su alcun programma geneticamente trasmesso da una generazione a quella successiva» [p. 17]

Ecco perché la lettura non risulta naturale, semplicemente perché non lo è! Queste affermazioni non devono demotivare, anzi, viste e considerate alla luce della storia dell’uomo, esse danno una carica positiva molto potente, perché sottolineano implicitamente la capacità che l’essere umano ha di superarsi, di andare oltre quello per cui è stato “programmato”. Se addirittura il nostro cervello ha imparato a riorganizzarsi, per permetterci di leggere, ci potrà consentire di esplorare orizzonti infiniti, e questo anche grazie a tutte quelle inferenze che derivano dalla pratica costante di queta meravigliosa attività, che è, appunto, la lettura. Un cervello che legge «cambia per sempre, sia fisiologicamente, che intellettualmente» [ivi, p. 11]. Quando un bambino inizia questo percorso di apprendimento compie, in piccolo, tutto il processo che l’umanità ha compiuto nel corso del tempo, dall’invenzione della scrittura a oggi. È ovviamente un processo lungo, anzi, lunghissimo, e occorre essere esposti alle parole scritte per tempi lunghissimi, prima di ottenere quella fluidità che permette la comprensione del testo, e la produzione di inferenze. Una volta appresa quest’abilità, diviene un piacere estremo, che mette il lettore in contatto con pensieri, sensazioni e emozioni altrui, che altrimenti non avrebbe mai potuto esplorare. Se ci fermassimo solo un momento a riflettere su questo, capiremmo che leggere e comprendere un qualsiasi testo significa riconoscere e comprendere le lettere e le singole unità di suono; collegarle fra loro in unità di senso compiuto (le parole); dare a queste un’identità fonologica e di significato, riferendolo non solo al singolo termine, ma anche al contesto. È evidente che più ricco sarà il campo esperienziale e il background del lettore, maggiori saranno le sfumature di significato e di senso che il testo potrà acquisire. Ogni parola, infatti, oltre al significato principale che le è proprio, quello più conosciuto, ne possiede altri, letterari o metaforici, che possono essere stati acquisiti e quindi compresi da chi, per ragioni diverse (economiche e sociali?), ha avuto la possibilità di vivere più esperienze, e di leggere di più. L’ambiente socioculturale è dunque fondamentale per arricchire di significati e di senso quello che si legge. Forse, è anche per questo che l’identikit del lettore che emerge dai dati divulgati dai vari Istituti di promozione della lettura è caratterizzato da un livello sociale e culturale medio alto?

Da questa affermazione, per la nostra prospettiva di ricerca, si aprono infiniti scenari, che affronteremo via via, in un altro momento, ma il dato che emerge con assoluta evidenza è che il lettore esperto, che ha maturato nel corso della sua esistenza più esperienze reali, o derivate dalla lettura, immaginerà di più, rispetto a un lettore meno fortunato (contesto familiare più deprivato). Ecco che tutto torna, e che i dati sconfortanti sulla lettura possono essere, almeno in parte, timidamente, considerati sotto una luce diversa. E, allora, la partita sarebbe già persa in partenza? Assolutamente, NO! Educare alla lettura sin da piccoli è, a nostro giudizio, la soluzione.

luciaschiralli@gmail.com

Per consultare il blog di promozione della lettura al quale collaboro, si veda https://testefiorite.it/

 

 

 

 

 

L'autore

Lucia Schiralli
Lucia Schiralli è nata a Bari nel 1969, è laureata in Lettere moderne ed ha seguito master e corsi di perfezionamento sulla didattica dell’Italiano e delle Materie Letterarie. Ha insegnato Lettere nella Scuola Secondaria di Secondo Grado e da anni è docente presso una scuola Secondaria di Primo Grado. Ha scritto sunti di letteratura italiana e contributi di grammatica, storia e narrativa per l’adolescenza, comparsi in manuali scolastici. Da tre anni cura una rubrica settimanale sul blog «Teste Fiorite», e insegna presso l’Università della Terza Età «G. Modugno» di Bari, città in cui vive e lavora.  Collabora con Treccani.it e ha pubblicato La scatola delle parole, per Progedit, Bari 2022, un albo illustrato da Sabrina De Virgilis, sulla lettura e sulla scrittura.
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