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Conversando su Dante con Roberto Antonelli

Roberto Antonelli è il Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei

Nel suo volume, Lei parla di un Dante “poeta-giudice”, ovvero – mi sembra – d’un autore che, per mezzo esclusivo della poesia e della sua tradizione, organizza la storia universale e “legifera” sul mondo. In quest’ottica, la Commedia offrirebbe a Dante occasioni continue per ricavare dalle biografie, dalle storie umane, rappresentate nel poema situazioni di “esemplarità” – modelli, eccezioni, icone… Quale tradizione critica, quali studi hanno contribuito alla costruzione teorica di questa sua complessiva lettura dantesca?

Per la verità il primo impulso mi è venuto cercando di rispondere a una domanda semplicissima che mi ero spesso posto: perché oggi la Commedia, un’opera così radicata nella cultura e nella storia medievale, è ancora OGGI così presente nelle letture e nell’imaginario non solo italiano ma mondiale (al contrario di quel che riteneva Gianfranco Contini in un pur straordinario saggio)? Mi sembrò evidente che l’intenzione prima dell’Autore fosse quella di rispondere a una domanda personale di giustizia (per le note vicende biografiche e la condanna infamante ricevuta dai Guelfi neri fiorentini) ma insieme universale, tale che cioè andasse oltre il suo caso personale, presentato e rielaborato così in una questione d’interesse generale, di ogni essere umano perseguitato o ingiustamente condannato (o ancor più latamente do ogni persona che si ritenga vittima di un’ingiustizia e voglia ottenerla). In realtà a leggere e a scavare bene nel testo è anche ciò che Dante stesso suggerisce continuamente nella narrazione del suo viaggio nell’Aldilà, poiché invita continuamente, seppure implicitamente, il Lettore a “prender parte” e a giudicare sui casi che vengono narrati, posto che tutti i personaggi incontrati sono stati oggetto del giudizio finale divino ma che talvolta quel giudizio appare diverso dalle aspettative (sia del tempo di Dante sia nostre). In un secondo momento mi sono accorto, leggendo l’Estetica di Hegel che avevo scoperto l’ombrello poiché, come spesso càpita, c’era stato qualcuno, ovvero Hegel, che aveva già formulato un’idea del genere, sia pure non traendone tutte le conclusioni, che investono il senso e la costruzione di tutto il poema. Da Hegel lampi nella stessa direzione avevano lanciato anche De Sanctis (non a caso lettore di Hegel) e, ignorando il precedente desanctisiano ma citando esplicitamente Hegel, Erich Auerbach. Non a caso il titolo del mio libro allude molto esplicitamente a un famoso e capitale saggio di Auerbach, ovvero Dante poeta del mondo terreno, in cui però l’importanza fondamentale di un Dante giudice non viene sostanzialmente ripresa o sviluppata. Altri critici hanno utilizzato il cartellino di “Dante-giudice”, ma con tutte altre intenzioni rispetto alle mie.

Se Dante è allo stesso tempo poeta e giudice, ovvero da un lato elabora una finzione linguistica e dall’altro pretende che questa sia presa per vera, che la sua fictio sia creduta e valga da “norma”, qual è nella Commedia lo statuto del personaggio che dice “io”?

Questa è un’altra domanda fondamentale sulla quale la critica si è spesso interrogata, senza fornire una risposta unitaria ma spesso confondendo i due piani. In questo caso soccorre un concetto elaborato a suo tempo da Charles Singleton e poi da Gianfranco Contini, ma limitato da Contini al Dante personaggio-poeta e da Singleton a un’enunciazione di principio, pur importante. In realtà se si guarda a Dante come poeta-giudice è consequenziale, per dirla in breve e un po’ grossolanamente, attribuire questa funzione a Dante -Autore e narratore della Commedia. Ma Dante può narrare poiché Dante-personaggio ha compiuto, nella fictio appunto, quel viaggio con la missione, esplicitamente affidatagli da San Pietro e quindi da Dio, di narrare poi quell’esperienza a tutta l’umanità, «al mondo che mal vive» per salvarlo e per risolvere la terribile Crisi in cui versava l’umanità: una crisi che aveva travolto anche l’Io personaggio e protagonista. In questo senso il poeta-giudice è al tempo stesso, inevitabilmente e programmaticamente, anche poeta-profeta. La distinzione fra i due Io, personaggio e poeta al tempo stesso ma distinti, chiarissima se si legge in tal senso tutto il poema, rivela un meccanismo fondamentale della narrazione poiché Dante-Personaggio è posto di fronte a casi e anime il cui destino nell’Aldilà necessariamente ignora (il personaggio viaggiatore fa il viaggio proprio per essere reso edotto e compiere con ciò un viaggio penitenziale in nome di tutti noi, come afferma esplicitamente nei primi versi della Commedia: «Nel mezzo del cammin di NOSTRA vita, IO MI RITROVAI ecc.»). Al contrario il Dante-Autore è proprio colui che ha costruito tutto il poema e ha “inventato”, personaggi e casi in cui il Dante-personaggio e viaggiatore nell’Aldilà s’imbatte e con cui a volte si scontra. Così fra Dante-Autore e Dante-personaggio si stabilisce per tutto il viaggio un dialogo (anche attraverso Virgilio, che rappresenta nella narrazione l’Autore, oltre che molte altre cose), con evidenti differenze anche di opinione, ovviamente risolte sempre, nell’ascesa purgatoriale progressiva, a favore del Dante-Autore; nelle stesse situazioni si realizza però una tensione drammatica STRUTTURALE che coinvolge sempre anche il Lettore. È per questo, non a caso, che il Lettore viene così spesso chiamato in causa: anche questo un aspetto cui Auerbach aveva dedicato un saggio famoso sugli appelli di Dante al lettore, ma di cui non aveva avvertito le ragioni profonde e il carattere appunto strutturale.

L’aspetto e la conseguenza forse più importante derivato dal riconoscimento della relazione fra Dante poeta-giudice (e quindi necessariamente, ma solo dopo l’investitura di S. Pietro, anche profeta, almeno dal punto di vista di Dante-personaggio, non di Dante-autore, che sin dall’inizio ha costruito la propria immagine di poeta-profeta, per quanto già detto) e Dante insieme Poeta-Autore e Personaggio (invenzione non mia o di Singleton e Contini, ma già proprio ed esplicitamente di Dante, nell’Epistola a Cangrande, ove distingueva fra Agens, ovvero il Personaggio, e l’Auctor) è che episodi fondamentali sui quali si è costruita anche nel mondo la fortuna di Dante, e che nella tradizione critica sono stati oggetto di analisi diversificate o addirittura opposte e perciò imbarazzanti, hanno potuto trovare ora un’interpretazione unitaria, credo più utile e convincente.

Perché un’opera simile si chiama “Commedia”?

Perché deve rappresentare, al di là delle spiegazioni “tecniche” e retoriche, il complesso di tutta la vita e le attività umane, come nella satira classica e nella sua ricezione medievale. Il fine di Dante e salvare l’umanità dal suo stato di crisi e dunque deve rappresentarla in tutte le sue articolazioni e sfaccettature, in tutta la sua “umanità” (come aveva ben compreso Hegel e con lui De Sanctis e Auerbach) e deve rappresentarla in un linguaggio che non può essere il latino (la lingua dei dotti) ma quello delle mulierculae, ovvero di tutti, perché tutti possano capire e salvarsi. Un altro colpo di genio, che oggi può apparire quasi scontato, ma che era totalmente rivoluzionario e su cui non si mediterà mai abbastanza per capirne le profonde implicazioni. Non per nulla intellettuali come Giovanni del Virgilio, e molti altri, lo accusavano di “gettare perle ai porci”, ovvero al volgo. Lo stesso Boccaccio proverà, anche nei confronti di Petrarca a trovare espedienti per difenderlo da tali accuse, dimostrando a volte, forse, di condividerle, almeno in parte, pur considerando Dante sommo.

Il suo contributo agli studi danteschi nel settimo centenario non si è limitato al libro Dante poeta-giudice del mondo terreno; ha infatti curato all’Accademia dei Lincei diverse mostre dantesche. Qual è la complessiva visione dantesca che Lei e l’Accademia avete inteso proporre in queste centenario? O meglio: cosa di Dante è oggi comunicabile a un vasto pubblico senza che si perda la completezza e il rigore dell’analisi filologico-letteraria?

 

Direi proprio l’idea di un “Dante globale”, ovvero di un autore che come Shakespeare e forse ancor più di Shakespeare, fa parte in tutto il mondo dell’immaginario contemporaneo, dando continuamente, ancora oggi oltre che nei secoli precedenti, idee e stimoli per nuove soluzioni e proposte creative, in tutti i generi letterari, dalla letteratura all’arte figurativa, al teatro al cinema ai fumetti, così come abbiamo cercato di mostrare nella mostra sulla Ricezione della Commedia. Nel contempo abbiamo però cercato di mostrare COME è stata composto il poema, attraverso quali letture e quali strumenti (innanzitutto l’ars memoriae) e quindi anche COME ancora oggi si pone l’analisi e la comprensione della scrittura creativa.

Un’ultima domanda: qual è il suo giudizio complessivo sull’anno di celebrazioni dantesche?

Straordinario per quantità e articolazione delle proposte: stiamo raccogliendo in Accademia un volume al riguardo, analizzando l’enorme massa di iniziative organizzate nell’anno dantesco. Un bilancio, invece, dal punto di vista filologico e critico, è ancora prematuro, ma il mio libro nasceva da qualche considerazione critica sullo stato degli studi danteschi recenti, prima del Centenario. L’idea è che negli ultimi anni si fosse perduta la lezione fondamentale di Auerbach, Curtius, Contini e Singleton, senza sostituirne altre convincenti, Ma vedremo.

L'autore

Lorenzo Mainini
Lorenzo Mainini è Ricercatore in Filologia romanza presso l’Università Sapienza di Roma. Ha svolto ricerche romanze e latine all’Université catholique de Louvain (Belgio) e all’Ecole nationale des chartes (Parigi). Si occupa di tradizioni testuali e manoscritte, latine e volgari, dalle origini al Tre-Quattrocento, di generi lirici e narrativi (novella e romanzo), di storia della filologia, volgarizzamenti e studi danteschi.