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Machiavelli nel Giappone moderno

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni 

Una breve indagine sulla ricezione del Principe, dei Discorsi sopra la Prima Deca di Tito Livio, e dell’Arte della Guerra di Niccolò Machiavelli nel Giappone moderno implica prendere atto della strumentalizzazione che le opere del segretario fiorentino hanno subito. Occorre considerare alcune caratteristiche dell’epoca Meiji (1868-1912), quando il nome di Machiavelli risuonò per la prima volta tra i lidi giapponesi, dopo tre secoli di chiusura allo straniero. Se non ripercorrere interamente la storia di quel periodo, è necessario comprenderne la temperie storico-culturale[1].

Sinteticamente, l’epoca Meiji fu caratterizzata da profonde modificazioni politiche, economiche e sociali. Il Giappone vide l’unificazione e la centralizzazione dello stato sotto l’imperatore, l’istituzione del servizio di leva obbligatorio e di un nuovo sistema scolastico, la promozione dell’industria e del commercio[2]. Il movimento di occidentalizzazione caratteristico della prima metà dell’epoca Meiji si spiega con il desiderio di rinnovamento delle istituzioni, e con il tentativo di ridefinizione del Giappone attraverso il concetto di nazione. La “Fuga dall’Asia per l’Europa” (脱亜入欧 [Datsua nyuou])[3] era lo slogan del periodo, testimonianza del desiderio di modernizzazione del paese e, al tempo stesso, del suo sguardo rivolto all’Occidente. I politici che concorrevano al rinnovamento studiarono la costituzione dei diversi paesi europei, in particolare la teoria costituzionale tedesca e i codici di diritto civile e penale francesi. Dentro questo contesto si pone anche la cosiddetta “Missione Iwakura” (岩倉使節団[Iwakura shisetsudan]), un viaggio negli Stati Uniti e in Europa compiuto da alcuni giovani diplomatici giapponesi tra il 1871 e il 1873, con lo scopo di negoziare i patti commerciali con le potenze coloniali, e di apprendere i sistemi amministrativi, educativi e industriali degli Stati Uniti e dei paesi europei. A cavallo dei secoli XIX-XX il Giappone si avviava a diventare una potenza civilizzata, e a entrare nella modernità. Come illustrato da Marius B. Jansen in The Making of Modern Japan[4], la chiave per comprendere l’epoca Meiji è il concetto di “illuminismo e miglioramento di sé”[5], concetto diffuso in tutti gli strati della società. La spinta allo sviluppo riguardava ogni singolo cittadino: in quel periodo fiorirono numerose università private sollecitate a insegnare corsi di lingua inglese e di diritto occidentale.

Testimone d’eccezione dei fermenti dell’epoca Meijj e dell’improvvisa e veloce modernizzazione del Giappone è Natsume Soseki, il celebre autore di Io sono gatto (吾輩は猫である [Wagahai wa neko dearu]), Botchan (坊っちゃん [Botchan]), e Anima e cuore (こころ [Kokoro])[6]. Nel 1902, Natsume Soseki annotava nel suo diario alcune considerazioni sul fenomeno di apertura e di parallelo rigetto del Giappone verso l’occidente e la modernità: «Il Giappone ha provato ad assorbire la cultura occidentale in fretta, e come risultato non ha avuto tempo di digerirla. Il Giappone deve veramente essere risvegliato per quanto concerne la letteratura, la politica, il commercio e tutte le altre aree»[7]. Parole, quelle di Soseki, che possono essere messe in calce a un’epoca.

Le traduzioni del Principe, della Prima Deca di Tito Livio e dell’Arte della Guerra sono intimamente legate alla storia moderna del Paese del sol levante e alla sua rapidissima modernizzazione[8], e, come esposto da Fumihiko Hattori, si coniugano all’alternante processo di apertura e di chiusura del Giappone nei confronti dei paesi stranieri: “l’inclinazione verso l’Occidente e al mondo”(西欧と世界への傾斜 [Seiou to Sekai heno keisha]) e “il ritorno al Giappone”(日本への回帰 [Nippon he no kaiki])[9]. Secondo lo studioso si possono enumerare dodici traduzioni integrali del Principe, tre dei Discorsi e dell’Arte della Guerra[10]; è inoltre probabile che la ricezione del Principe condizionò quella dei Discorsi e dell’Arte della guerra. Si aggiunga, infine, che le opere di Machiavelli erano discusse negli articoli di giornali, nei convegni e nelle conferenze delle diverse associazioni di studi.

Un primo accenno all’opera di Machiavelli in Giappone compare nel 1884, all’interno di un breve scritto di natura politica del giornalista Tokutomi Soho, intitolato Discussing the Desirable Quality of Statement After 1890[11]. Le prime due traduzioni del Principe risalgono invece al 1886, nel primo periodo dell’Era Meiji, durante la prima fase di apertura del paese allo straniero[12], e presentano un titolo diverso dall’originale: Il discorso sul principe (君論 [kunron]), curata da Kowashi Inoue, redattore della costituzione imperiale del Giappone, e tradotta da Shuheei Nagai; Il modo di governare lo stato(経国策 [keikoku saku]), curata da Shojiro Goto e tradotta da Kiyotane Sugimoto. Le due traduzioni non furono eseguite dall’italiano, ed è certo che per la traduzione compiuta da Sugimoto fu utilizzato il testo dell’edizione inglese Borne del 1872.

Prevalentemente destinato a un pubblico di lettori colti o di statisti, Il Principe fu tradotto soprattutto da politici, diplomatici, e studiosi di storia e di sociologia. Sfogliando le sue dodici traduzioni, emergono i contorni di un manuale di tecnica politica e di governo dello stato. Basta scorrere i titoli per rendersene conto: dai sopracitati Il discorso sul principe e Il modo di governare lo stato, al Provvedimento per il leader (人主策 [jinshu saku]) secondo il compendio di Ogai Mori, alle Misure per governare lo stato di Machiavelli di Seiji Kyriuu (マキアヴエリー及び経世 [Machiavelli oyobi keisei saku]), al Modo di governare per il principe di Yakuni Yoshida (君主経国策 [kunshu keikoku saku]), fino a una locuzione, ideata da Tosei Hashida, nel 1915, costituita da quattro ideogrammi (権謀術数 [kemboo jussuu]) che traducono il termine “machiavellismo”, e che indicano letteralmente “la strategia o tattica di calcolare le proprie azioni in base alle circostanze”. I Discorsi furono tradotti per la prima volta nel 1906 dal diplomatico Hayashi Tadasu il quale partecipò alla Missione Iwakura, e lavorò in veste di ministro degli affari esteri; L’Arte della guerra fu invece tradotta soltanto a partire dal 1920, con il titolo di Strategia militare (兵法 [heihoo ron]) da parte di Naosabuto Hirota. Dopo la seconda guerra mondiale si segnalano le traduzioni del Principe e dei Discorsi per la collana dei Classici notissimi dal mondo (世界の名著 [sekai no meicho]) per la casa editrice Chuookooron-sha, e i sei volumi di Tutte le opere di Machiavelli (マキァヴェッリ全集 [Machiavelli zenshu]) della casa editrice Chikuma[13].

Come discusso dallo studioso Konrad M. Lawson[14], il pensiero di Machiavelli è stato piegato alle vicende storiche e politiche del Giappone e, di volta in volta, utilizzato dai partiti di destra e di sinistra come supporto di politiche di unificazione nazionale e di espansione territoriale. Ne è esempio il paragone della figura di Machiavelli a quella di Ogyū Sorai, un filosofo confuciano del periodo Tokugawa (1603-1867), il cui pensiero negava l’esistenza di una morale pre-determinata. Il parallelo tra lo scrittore italiano e il pensatore giapponese fu sostenuto soprattutto da  Yamaji Aizan e Hani Goro, due figure intellettuali e politiche molto controverse. Yamaji Aizan, fondatore di un partito nazional-socialista (国家社会党 [kokka shakaitō]) nel 1906, al termine della Guerra russo-giapponese, condizionò in maniera determinante le scelte di Rōyama Masamichi, uno dei fautori della Sfera di co-prosperità della Grande Asia orientale. Nel 1938, durante la Guerra sino-giapponese, Rōyama Masamichi scrisse un libro sul pensiero politico umanista (ヒューマニズムの政治思想 [humanism no seiji sisou], Political Ideas of Humanism), dove faceva cenno al pensiero politico di Machiavelli e di Guicciardini. Alla stregua di Jamaji Aizan, Rōyama Masamichi enfatizzava l’importanza dei Discorsi rispetto al Principe: Il Principe era ritenuto un’esposizione parziale delle strategie per la fondazione di un nuovo ordine in un periodo di caos sociale e culturale, strategie spiegate invece nella loro interezza nei Discorsi. Sul fronte opposto si situa Hani Goro, intellettuale di stampo marxista, il quale, nel 1936, scrisse sul contesto storico del pensiero di Machiavelli per promuovere la sua interpretazione materialista della storia (マキャベリ君主論: その歴史的背景 [Machiavelli kunshuron sono rekishi teki haikei], Machiavelli “Il Principe”: The Historical Background). Il Principe è descritto da Hani Goro come un testo preparatorio alla rivoluzione, nel quale i tradimenti e le cospirazioni politiche erano necessarie alla formazione di un nuovo ordine politico e sociale. Da questi brevi esempi, risulta chiaro che nel Giappone moderno le opere di Machiavelli siano state lette in maniera del tutto strumentale. Una delle conseguenze di quanto qui abbozzato è la predominanza degli studi su Machiavelli nelle facoltà universitarie di scienze politiche e di giurisprudenza, piuttosto che nei dipartimenti d’italianistica nipponici.

Si conclude con un’appendice. La storia di Machiavelli in Giappone potrebbe essere riscritta in altri termini. Si potrebbe addirittura pensare a una “storia parallela” a quella qui finora scritta… Compiuti con intenti diversi da quelli letterari, gli studi e le traduzioni delle opere di Machiavelli sono stati il primo tramite di conoscenza della letteratura italiana nell’arcipelago nipponico, ancora prima degli studi danteschi[15]. Nel giro breve di una frase, Machiavelli ha aperto la strada alla letteratura italiana in Giappone. Lo studio di una lingua e di una letteratura non rappresenta soltanto l’accesso alla conoscenza di un altro paese, ma soprattutto la possibilità di esperire l’altro e il diverso da sé, e, al contempo, di definire e ridefinire la propria identità. Così, alla luce di una concezione umanistica della letteratura, Il Principe, i Discorsi e l’Arte della guerra potrebbero essere considerati come quei “classici” promotori di un’idea di letteratura come strumento di indagine conoscitiva del mondo e di rapporto dialettico con il diverso[16]. In una cultura come quella giapponese, che tradizionalmente tende a negare le diversità, ad armonizzarle e ad assimilarle, il discorso non è scontato[17]. In questa stringata riscrittura della ricezione di Machiavelli in Giappone la figura del segretario fiorentino potrebbe indicare uno dei possibili percorsi per la scoperta del diverso e per la definizione di sé. Nella fiducia piena che la letteratura possa influenzare positivamente il corso della vita umana, il profilo di Machiavelli emerge netto dalle acque limpide del Pacifico.

danielashalom.vagata@gmail.com

[1] Il presente articolo deriva da una parziale riscrittura di The Humanistic Concept of Literature among Machiavelli, Foscolo and Japan, relazione da me tenuta al convegno Celebrating the 130th Anniversary of Italy-Korea Diplomatic Relations, Commemoration Lecture, Soongsil University, Seoul, Korea, 13 marzo 2014. Il testo è profondamente debitore degli studi di Fumihiko Hattori e di Konrad M. Lawson.

[2] FUMIHIKO HATTORI, Un caso particolare: la fortuna dell’Arte della guerra di Machiavelli in Giappone, in Letteratura di guerra. Testi, eventi, protagonisti dell’arte della guerra dall’Umanesimo al Risorgimento, Atti del Convegno internazionale “Letteratura di guerra. Testi, eventi, protagonisti dell’arte della guerra dall’Umanesimo al Risorgimento” (Bologna, 26-27 novembre, 2009), a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, Bologna, ArchetipoLibri, 2011, pp. 29-52: 30-31: «Sotto l’imperatore Matsuhito <Meiji> fu iniziato il rinnovamento e, per così dire, “la rivoluzione senza sangue” verso il principato legislativo, con il conseguente arretramento della società feudale la quale era propria del periodo Tokugawa, ed era basata sul possesso della terra e sul sistema dei quattro ceti […]. Il governo di Meiji intensificò faticosamente l’occidentalizzazione, la promozione dell’industria e il rafforzamento economico e militare, i quali rappresentavano i compiti più urgenti per creare una nazione moderna al pari delle grandi potenze occidentali».

[3] Cfr. ivi, p. 29. Nel suo saggio lo studioso esamina la corrispondenza tra la fortuna delle opere di Machiavelli con la storia del Giappone moderno nell’alternanza di apertura e di chiusura verso i paesi occidentali. Come spigato da Hattori, lo slogan fu coniato da Yukichi Fukuzawa, il fondatore dell’università di Keio a Tokyo.

[4] MARIUS B. JANSEN, Meiji Culture, in The Making of Modern Japan, Cambridge, Massachusetts, London, England, Harvard University Press, 2000, pp. 456-494.

[5] Cfr. ivi, p. 462: «Enlightment and Self Improvement».

[6] In Io sono gatto la voce narrante è un gatto filosofo e buddista che si attarda nel racconto ironico delle imprese del suo padrone, un professore universitario, e dei suoi amici; Botchan racconta invece la storia di un maestro di matematica; Kokoro sul rapporto tra un maestro e un suo allievo. I tre romanzi sono tutti ambientati in un’epoca di grandi trasformazioni della società giapponese.

[7] «Japan has tried to absorb Western culture in a hurry and as a result has not had time to digest it. Japan must be truly awakened as regards literature, politics, business, and all other areas» (MARIUS B. JANSEN, The Making of Modern Japan, cit., p. 557). Mia la traduzione in italiano.

[8] Spesso sottaciute, a volte bistrattate, le traduzioni sono lo strumento principe per la diffusione di una cultura straniera. A partire dalla traduzione di un’opera, accade che l’oggetto di interesse sia in un certo trasformato e adattato alla cultura di adozione, spesso intrecciandosi con altri aspetti culturali, sociali e artistici indigeni. Ne sono esempio le traduzioni di Tatsuhiko Shibusawa delle opere del Marchese De Sade, traduzioni che risalgono agli anni Sessanta e che si diffusero negli ambienti letterari ed artistici di Tokyo, dallo scrittore Yukio Mishima al fotografo Eikoh Hosoe, dagli artisti Yotsuya Simone e Tadanori Yokoo ai registi d’avanguardia  Kara Juro e Shuji Terayama, fino alla moda del gotico ancora ampiamente diffusa in molti strati dell’arte popolare del Giappone di oggi.

[9] FUMIHIKO HATTORI, Un caso particolare, cit., p. 29. Secondo lo studioso giapponese, il processo di apertura all’Occidente è avvenuto durante la prima metà dell’epoca Meiji, e dall’epoca Taisho (1914-1926) fino ai primi anni dell’epoca Showa (1926-1989), e di nuovo per circa venti anni a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; il movimento di chiusura risale alla seconda metà dell’Epoca Meiji, e ancora dal 1931 al 1945 e negli anni successivi al Patto di sicurezza collettiva stipulato tra il Giappone e gli Stati Uniti.

[10] FUMIHIKO HATTORI, Ibidem.

[11] Informazione tratta dalla relazione di Koichiro Matsuda, Machiavelli in a Modern Japan Context, per il convegno tenuto a Seoul il 14 marzo 2014 sugli studi di Machiavelli in Korea.

[12] Il Principe fu tradotto in giapponese relativamente presto se si considera che la prima traduzione del Principe in cinese risale al 1925 (Ba Shu, ovvero Le abilità del potere egemonico, tradotta da Wu Guangjian), mentre quella in coreano al 1958.

[13] Cfr. FUMIHIKO HATTORI, Un caso particolare, cit., p. 44.

[14] Colgo l’occasione per ringraziare lo studioso scozzese per le informazioni fornitemi, appartenenti a un suo intervento dal titolo The Uses of Machiavelli in Japan: Hani Goro’s Political Critique all’interno del convegno 7th MWP Classics Revisited Conference. Machiavelli’s Prince at 500, Villa La Fonte, San Domenico di Fiesole, 7-8 Maggio 2013.

[15] La prima traduzione giapponese della Commedia risale al 1903, mentre il primo studio dantesco al 1901. Ringrazio il professor Kenichi Uchida per avermi gentilmente fornito i dati.

[16] Cfr. GIAN MARIO GIUSTO ANSELMI, La saggezza della letteratura. Una nuova cronologia per la letteratura italiana, Milano, Mondadori, 1998, e IDEM, La sfida di Machiavelli, in L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento. Le radici italiane dell’Europa moderna, Roma, Carocci, 2008, pp. 121-167.

[17] Cfr. ROGER J. DAVIES, OSAMU IKENO, The Japanese Mind: Understanding Contemporary Japanese Culture, North Clarendon, Vermont, Tuttle Publishing, 2002, e YOSHIO SUGIMOTO, An Introduction to Japanese Society, Cambridge, Cambridge University Press, 2010.

L'autore

Daniela Shalom Vagata
Daniela Shalom Vagata è docente di letteratura italiana alla Masaryk University. Ha in precedenza insegnato lingua, cultura e letteratura italiana all’Università di Bologna, alla Kyoto University per quasi dieci anni, in alcune università americane in Italia e a Indiana University, Bloomington. I suoi interessi di ricerca si concentrano sull’opera di Ugo Foscolo, in particolare sugli Inni alle Grazie e il loro rapporto con le arti figurative (in uscita nel 2023, per i tipi di Leo S. Olschki, il commento all’Inno alle Grazie di Ugo Foscolo), sulla narrativa di Eugenio Montale e di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sull’opera giovanile di Dante, e sul cinema di Luchino Visconti e Federico Fellini.