Genova è stata, forse più di ogni altra città italiana, centro di elaborazione, assunzione e distribuzione lessicale in un’estrema varietà di idiomi, e da questo punto di vista l’italiano non ha fatto eccezione
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Leopardi in genovese, o il senso e il non senso del tradurre in una lingua «minore»
Una raffinata analisi di Fiorenzo Toso sulla necessità di tradurre i classici anche nei dialetti d'Italia
Sulle traduzioni in genovese della Divina Commedia
La fortuna della Divina Commedia in genovese
A centocinquant’anni dalla Colombiade, poema rinascenziale dell’Ottocento genovese
Tra i diversi anniversari e ricorrenze che anche in ambito letterario riguarderanno il 2020, dubito fortemente che qualcuno si ricorderà del 150° della pubblicazione dell’opera maggiore di Luigi Mi-chele (Michê) Pedevilla (1815-1877), A Colombiade, apparsa appunto nel 1870; e sono anche pronto ad ammettere serenamente che questo poema di 2.570 ottave in 20.560 endecasillabi raggruppati in 20 canti non meriti di essere riportato agli onori del mondo per le sue intrinseche qualità estetiche e letterarie, che pure qua e là, nell’innegabile modestia del testo nel suo complesso, emergono in qualche sprazzo di vera poesia.
De Andrè, il genovese
C’era in giro, insomma, una certa voglia di “dialetto”, e dubito che De Andrè non abbia tenuto conto (opportunamente, non opportunisticamente, sia chiaro) di questo clima, nel momento in cui decise di avventurarsi nell’uso del genovese.