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Xosé Monteagudo, Todo canto fomos [Quel che siamo stati], Vigo, Galaxia, 2016.

Sono molti i meriti dell’ultimo romanzo di Xosé Monteagudo, come è dovuto a un’opera complessa come questa, nel miglior senso della parola in quanto la lettura risulta scorrevole grazie al buon fare linguistico e discorsivo. L’autore intesse diverse trame e personaggi, storie che apparentemente sono indipendenti, ma che verso la fine il lettore deve mettere in relazione per ricostruire il disegno completo della rete sociale di una città come Pontevedra che, letteralmente e metaforicamente, avalla una concezione olistica dell’esistenza. Le condizioni socioeconomiche e quelle politiche, e ovviamente il coacervo ideologico che le sorregge, impregnano i percorsi vitali di ognuno degli individui. Ma la capillarità della storia permette che essa si vada costruendo anche attraverso le azioni dei soggetti, di qualsiasi strato sociale, incluso quando le circostanze obbligano a stare fermi. In questo senso, il procedere del romanzo, con la corrispondente richiesta di collaborazione da parte di chi lo riceve, diviene alla fine un esercizio coerente rispetto alla consapevolezza del susseguirsi della cronologia degli eventi nella realtà. Si riconosce molta della narrativa precedente di Monteagudo, specialmente per ciò che riguarda la sensibilità con cui si delineano le personalità dei personaggi, soprattutto di quelli che soffrono, e la considerazione del peso della famiglia nella configurazione dell’individuo. L’autore concepisce la famiglia come una struttura opprimente la cui abitudine ai segreti, ai ricatti e alle prese di posizione condiziona il futuro di chi ignora il suo passato e i fili che lo muovono. La novità è che adesso il centro attorno al quale gravitano quasi tutte le trame familiari e personali è occupato da donne, tenaci e decise, in lotta permanente con ciò che il canone imposto dal patriarcato ha loro riservato. In lotta anche con gli eventi del divenire storico che castigano con estrema durezza quelle donne che non stanno alle regole e alle quali si nega il diritto alla loro propria storia. Alla fine dei conti la narrazione portata avanti da un uomo, il figlio di una di queste donne coraggiose, scrittore di un romanzo noir che ha avuto successo nel mercato di lingua inglese, significa fare un tentativo, istigato da una donna (la madre) da recuperare, partendo dalla distanza fisica dettata dalla sua residenza a Londra e dalla dignità delle donne che lo hanno preceduto. Dà voce al loro racconto messo in silenzio nel momento stesso in cui narra il lato nascosto della sua biografia; dal momento in cui accetta che la sua verità è una somma di conseguenze provenienti da cause che non poteva immaginare. Questa è una delle funzioni che si mettono in rilievo della scrittura, giacché sono molti i personaggi che litigano per poter leggere (accedere alla cultura) ed esprimersi: registrare per comprendere e comprendere per andare avanti, anche nella possibilità di amare chi ci lascia un segno. D’altro lato, Todo canto fomos si ricollega a un insieme di opere prossime al tema della memoria in cui è difficile separare l’esperienza personale da quella collettiva. Sfrutta in tal modo una prospettiva multipla per svelare come la contrapposizione di due modelli umani – quelli che si muovono per altruismo e coerenza per i propri ideali e quelli che si muovono per interessi molto più venali – ci dia un affresco sulle circostanze sociali e politiche dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni. Quindi, si mette in risalto l’influenza dell’emigrazione, nei paesi di accoglienza e nel proprio, le coincidenze di alcuni personaggi storici e la costatazione di come non sempre i passi che dà il tempo sono in avanti. L’esperienza della dittatura franchista, di cui molti si sono approfittati per portare alla luce il loro desiderio latente di esercitare un potere castrante, è stata soprattutto crudele con le donne che avevano scommesso sulla loro emancipazione prima del 1936, in grossa misura perché obbligate a dover sottomettersi e a dover contribuire all’educazione delle proprie figlie e figli secondo una norma che le condannava.

Lingua originale: Galego
Sito casa editrice: http://editorialgalaxia.gal/
Inma Otero Varela: oterovarela@gmail.com

L'autore

Inma Otero Varela
Inma Otero Varela
Inma Otero Varela (Carral, 1976) è attualmente professoressa di Lingua e letteratura galega nelle scuole superiori. È stata lettrice di galego nell’Università “La Sapienza” di Roma dal 2003 al 2008. Collabora come critico letterario in “Grial” e “Novas do Eixo Atlántico*. Ha pubblicato studi sulla narrativa galega in svariati volumi e riviste scientifiche (“Critica del Testo”, “Anuario de Estudos Literarios Galegos”, “Boletín Galego de Literatura).