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Dante e la “Commedia” nella storia del cinema

Dante e la sua opera principale sono al centro di una ricca, e per certi versi insospettabile, filmografia. Fin dai tempi del muto – ma si può dire già con la lanterna magica e le immagini di Gustave Dorè – cineasti di tutto il mondo sono stati attratti dall’universo narrativo creato da Dante, ma la sua stessa esistenza è stata al centro di pellicole e opere televisive (tra cui una riuscita, ma non più replicata, Vita di Dante con Giorgio Albertazzi).  Ancora oggi, nel 2022, Dante non ha cessato di esercitare la sua influenza sulla settima arte, e prova ne è il film di Pupi Avati, intitolato semplicemente Dante, di prossima uscita, in cui la vita del sommo poeta viene raccontata dal suo primo biografo, Giovanni Boccaccio, interpretato da Sergio Castellitto. Una conferenza di Fabio Melelli, docente di Storia del cinema italiano all’Università per Stranieri di Perugia, ripercorre la vasta filmografia dantesca, soffermandosi anche su quelle che sono le generiche influenze dell’Alighieri su alcuni dei principali registi della storia del cinema, come Federico Fellini – che non a caso definiva i suoi film dei “viaggi all’inferno con un barlume di Paradiso” – e Andrej Tarkovskij, che in particolare con Stalker ha realizzato il suo personale viaggio nell’aldilà di sapore dantesco.  Delle tre cantiche della Divina Commedia, indubbiamente il cinema ha privilegiato la prima, protagonista di film memorabili, fin dai tempi del Muto. Nel 1911, quando il cinema era ancora nella sua fase primitiva e non possedeva ancora un linguaggio articolato, vennero realizzati due film intitolati semplicemente L’Inferno, da due diverse case produttrici, la Milano Films e la Helios Film di Velletri, due film – soprattutto il primo, più costoso e impegnativo – sorprendenti per l’epoca, per l’uso accurato degli effetti speciali, le ricche scenografie e il movimento della macchina da presa (che fino ad allora non si era ancora affrancata da una sostanziale immobilità). Due film che incisero notevolmente sull’immaginario mediatico di quei primi anni del Novecento- permettendo al cinematografo di acquisire una patente di nobiltà “artistica”, e che ancora oggi, per certi versi, rappresentano dei risultati ineguagliati. La materia dantesca, viene poi trattata in chiave genialmente fantasmagorica in Maciste all’Inferno (1926) di Guido Brignone (rifatto, con lo stesso titolo, in chiave gotica nel 1963 da Riccardo Freda), un raffinato pastiche che mescola il peplum con l’incipiente horror, condito da un’ironia davvero irresistibile. Ma la Commedia si presta anche alle gustose parodie di Totò, come Totò al Giro d’Italia, in cui compare lo stesso Dante, impersonato da Carlo Ninchi – Totò all’inferno, meraviglioso centone di alcuni dei migliori sketch del principe De Curtis, con un aldilà filmato con gli sgargianti cromatismi dell’autarchica Ferraniacolor, e 47 morto che parla, in cui il mondo delle anime viene reinventato nella solfatara di Pozzuoli. Tuttavia si può affermare che queste influenze dantesche sono disseminate un po’ ovunque, anche nel cinema d’arte di Stan Brackhage e del suo A Dante Quartet e persino in un cartone animato della Disney, Coco (2017), viaggio nel mondo delle anime di un bambino che ha un cagnolino che non per niente si chiama Dante, o nell’ultima opera del discusso cineasta danese Lars Von Trier, La casa di Jack (2018), in cui al protagonista, un freddo serial killer si aprono alla fine della vita terrena letteralmente le porte dell’inferno con tanto di novello Virgilio, interpretato da Bruno Ganz.