Interventi

‘Passione’: ricordo di Ōe Kenzaburo

La foto di copertina, «Questa non è una pipa», è di Mariko Muramatsu
(Verbania Intra 1996)

In Sicilia, rispose senza esitazione: «Passione». Eravamo a Mondello, amena località balneare vicina a Palermo, nel 1993. Il “Premio letterario Mondello” negli anni Ottanta e Novanta era piuttosto noto tra gli scrittori del mondo. Non per l’ammontare del premio in denaro, forse, o per il fascino esotico della Sicilia, ma per la sua perspicacia e chiaroveggenza. Lo scrittore giapponese Ōe Kenzaburo vinse effettivamente il Premio Nobel l’anno successivo, dopo aver vinto il Premio Mondello nel 1993. Le traduzioni di Nicoletta Spadavecchia delle due opere di Ōe, Insegnaci a superare la nostra follia e Il grido silenzioso, già pubblicate allora in italiano da Garzanti, erano eccellenti, con uno stile schietto e fedelmente corrispondente all’originale, e recavano una nota esplicativa essenziale della traduttrice.

Il giorno prima della cerimonia di premiazione e della conferenza stampa a Mondello, era in programma un’escursione per visitare le bellissime rovine antiche di Erice, e lo scrittore fu intervistato dai giornalisti di varie testate anche durante il tragitto in autobus. Un’intervista, che fu poi pubblicata su un quotidiano italiano, era condotta da una giovane scrittrice. La prima domanda fu: “Che cos’è la letteratura per lei, se dovesse sintetizzarla solo in una parola?”. Lo scrittore rispose con “passione”, senza una minima esitazione. Spiegò, poi, che la parola aveva per lui un significato analogo alla parola inglese “passion”, quindi carico di emozioni, ma al contempo si legava anche alla terminologia religiosa, come ad esempio nella Passione secondo Matteo di Bach. Quindi per lui, la letteratura era “passione” in entrambi i sensi. Così chiosava in giapponese la sua ‘passione’, mentre io facevo da interprete tra i due scrittori: l’uno, nella sua maturità e già vincitore di diversi premi internazionali, l’altra, giovane esordiente. La domanda avrebbe potuto riguardare anche la parola “vita”: magari «che cos’è la vita per lei?».

Il giorno dopo, prima della cerimonia di premiazione, lo scrittore redasse il suo discorso con tanto di ringraziamento, su carta intestata dell’hotel, e me lo diede in anticipo per facilitarmi la traduzione. Ōe, che aveva già pubblicato Lettere agli anni nostalgici, in cui il protagonista si impone la lettura della Commedia dantesca come norma di vita, usò e citò nel discorso l’immagine dell’isola del Purgatorio, dove al poeta viene lavato via lo sporco dal viso con le lacrime e le foglie del giunco che lì vi cresce misteriosamente. Espresse poi la sua gratitudine dicendo che lui stesso, scrittore con anni di lavoro alle spalle, si sentiva lavato e rinnovato, con il suo giunco cinto alla vite, sulla bella costa della Sicilia, e che avrebbe potuto cominciare un nuovo percorso. Un testo sintetico e ricco, messo insieme in fretta e furia, con una citazione spontanea, ma accurata, da Dante.

Tuttavia, per un errore degli organizzatori e della presentatrice della RAI incaricati della cerimonia e della registrazione televisiva, la premiazione a Ōe si concluse con l’applauso del pubblico, senza la lettura del suo discorso, che rimase pertanto fuori da ogni canale di diffusione. Si possono facilmente immaginare le rabbiose proteste della traduttrice, e le parole di conforto dello scrittore per fermarla e placarla…

Prima e dopo il Premio Nobel, Ōe continuò a operare sulla sensibilizzazione sociale alla stregua di Sartre, suo primo amato autore. Perseguendo con la sua letteratura la questione di come si dovrebbe mantenere la dignità dell’individuo che vive nella storia e nella società, cercò di costruire una nuova letteratura giapponese che potesse esprimere questi pensieri nella forma di romanzo. Il suo stile di scrittura è stato talvolta criticato come “innaturale e difficile da leggere”, ma si trattava di un esperimento che doveva fondere la lingua parlata con idee e concetti, alla ricerca di un giapponese nuovo. Quando gli fu chiesto per quale lettore scrivesse, rispose: «Non scrivo un romanzo con una precisa immagine del mio lettore ideale».

Condividendo fisicamente il momento in cui Ōe pronunciava e scriveva le sue parole e gettandomi nel tentativo di trasportarle, sul posto e sul momento, nella lingua italiana, mi sentii ispirata dalla “passione” e dalla speranza della letteratura, che lo scrittore emanava. La stessa passione si traduceva poi dentro di me nella felicità di aver studiato e di continuare a studiare “letteratura” con un entusiasmo rinforzato.

Ōe Kenzaburo sulla riva del Lago Maggiore (1996)
 Ōe Kenzaburo sulla riva del Lago Maggiore (1996)

Alla notizia della scomparsa del nostro Premio Nobel, provo tristezza per non poter più leggere suoi nuovi testi, nostalgia per le opere che ci sono state lasciate e la fortuna di condividere con molti suoi lettori affezionati gli echi che ancora risuonano delle sue parole.

Dal suo ultimo lavoro, In Late Style, cito il congedo di una poesia, scritta dal vecchio scrittore, che è anche il protagonista autobiografico del romanzo. «Ai piccoli, il vecchio vuole rispondere: / Non posso vivere di nuovo. Ma noi possiamo vivere di nuovo».

L'autore

Mariko Muramatsu
Mariko Muramatsu insegna lingua e cultura Italiana all'Università di Tokyo. I suoi principali lavori in italiano sono: Il suddito di Mikado. D’Annunzio japonisant (Archinto Editore, 1997); Segni e voci dalla letteratura italiana. Da Dante a D’Annunzio (UTCP, 2012). Ha tradotto in giapponese alcuni autori contemporanei italiani, tra cui Antonio Tabucchi, La piazza d’Italia (Hakusuisha, 2009), Italo Calvino, Il visconte dimezzato (Hakusuisha, 2020) e dal giapponese in Italiano poeti giapponesi come Miyazawa Kenji, Il violoncellista Gosh e altri scritti (La Vita Felice, 1996) e Matsuo Basho, Poesie. Haiku e scritti poetici (La Vita Felice, 1996). Su Ōe Kenzaburo ha pubblicato tra la traduzione e gli articoli: Günter Grass, Kenzaburo Ōe, Ieri, 50 anni fa [Yesterday, 50 years ago], (Archinto Editore, 1997) e Oe Kenzaburo: citazione, autocitazione e parodia fra realtà e immaginario, in "Autografo", n. 34 (Interlinea Edizioni, 1997, pp. 91-94).