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Il Maggio di Accettura: identità di un popolo

I rituali arborei attribuiti alla devozione del Santo Patrono del paese, san Giuliano, erano pratica condivisa nei borghi, dove abbondava la vegetazione dei ceni e agrifogli, ma il Maggio di San Giuliano celebrato ad Accettura ha sempre conservato una nitida immagine paradigmatica di un popolo che «non lo si può spiegare semplicemente perché la parola “popolo” non è una categoria logica, è una categoria mistica» (papa Francesco). Oltre alle letture simboliche che vengono attribuite al Maggio, nel corso della storia, assistiamo ad un vero e proprio imprintig antropologico caratterizzato dal sigillo del Santo martire.

La festa del Maggio di San Giuliano che si tiene ad Accettura è sicuramente l’evento che si presta a diverse categorie interpretative, in quanto è un rituale arboreo sopravvissuto con grande forza identificativa nell’entroterra lucano. Un fenomeno religioso e antropologico che interessa studi umanistici su scala mondiale seguito da un approccio interdisciplinare. Indubbiamente le piste di riflessioni di Ferdinando Mirizzi focalizzano l’attenzione sulle categorie interpretative dei riti arborei in Italia, e nello specifico su quelle di Accettura.

La domanda maturata nel contesto accetturese rispetto ai vari significati attribuiti alla festa, rendono ancora possibile l’attribuzione della celebrazione del Maggio a San Giuliano? Secondo una linea di pensiero, attribuita ad Edward Bumett Taylor, i riti arborei aprioristicamente determinano una credenza “animistica” che risiede negli uomini arcaici e nelle loro manifestazioni di carattere mitico. «Più esattamente, il termine animismo stava a indicare la credenza, tipica, secondo il pensiero tyloriano, dei popoli selvaggi, secondo la quale tutti gli esseri, umani, animali e vegetali, ma anche gli oggetti inanimati, possiedono un’anima. E le anime hanno la facoltà di agire nella vita degli uomini con influssi sia benefici che malefici, divenendo dunque oggetto di culto da parte delle popolazioni, che devono cercare di assicurarsi la loro benevolenza e la loro nprotezione con preghiera, offerte e atti sacrificali» (A. Cjattint).

Indubbiamente la teoria tyloriana ha costituito per trent’anni la magna charta in merito alla storia delle religioni, legata a riti propiziatori e culti arborei, prevalentemente in Germania. I suoi allievi in particolare Mannhardt, seguendo le tracce del maestro, approfondisce la questione dell’animismo nei riti arborei. «Gli esseri umani e le piante erano ugualmente ad universalmente dotati di un’anima individuale e risultavano simpateticamente investiti da una medesima forza fecondatrice, influenzandosi reciprocamente. Ciò spiegava, per esempio, la funzione vivificatrice esercitata dalle piante nelle cerimonie nuziali, in quanto si riteneva possibile il trasferimento della loro potenza vegetativa negli uomini e nelle donne che si univano in matrimonio» (F. Mirizzi).

Su un impianto di ispirazione storicista e all’interno di un modello interpretativo molto articolato, il testo di Bronzini, studioso lucano di antropologia, considerava la festa nella sua dimensione di evento che non si poteva semplicemente osservare ma che andava vissut intensamente con i suoi protagonisti. «Bronzini presentava la festa come “proiezione mobile del passato nel presente, e viceversa” che nella sua dinamica trasformativa apparteneva a epoche diverse e che nell’età contemporanea trovava i suoi principali significati nella “fusione pentecostale tra il Maggio e il Santo patrono, sì che la più appropriata denominazione” appariva allo studioso lucano “quella di Maggio di San Giuliano”». Cogliendo tutte le implicazioni di tipo contestuale sarebbe stato possibile capire la festa nei suoi presupposti, nel suo svolgimento e nei suoi significati più profondi, evitando il rischio di mitizzarla a scapito di una sua corretta comprensione sul piano storico. L’indagine di Bronzini muove i primi passi dalle interviste del più esperto scalatore del Maggio, zizilone:

«- voi partecipate sempre alla festa del “Maggio”?
– E suppergiù sono 8, 10 anni che partecipo.
– Come lo chiamate l’albero della cuccagna?
– Il “Maggio” in dialetto accetturese: u masc
– Tenete molto al “Maggio”?
– Su per giù ci teniamo forte; ma ci teniamo forte, è una devozione di S. Giuliano.
– Soprattutto al “Maggio” o per San Giuliano?
– Beh, ci teniamo per S. Giuliano più che altro per fare la festa, che poi il “Maggio” per l’onore della festa di S. Giuliano facciamo pure festa.
– Ma che significato ha questo incontro tra il “Maggio” e la “Cima”?
– Perché viene innestato tra una parte e l’altra. Uno viene ritirato da Gallipoli, un altro viene ritirato dal bosco di Montepiano, poi fanno l’incontro e dopo due giorni viene innestato uno con l’altro e viene piantato.
– E che è, una specie di pace, di matrimonio che si attua tra l’uno e l’altro?
– Su per giù, si avvicina tra una parte e l’altra, si innesta tra una parte e l’altra; pare che s’attaccasse il marito con la moglie, quando fanno la cerimonia e tutto è a posto».

Il riferimento al matrimonio emerso nell’intervista appare alquanto forzato, siccome Bronzini cercava di leggere la cerimonia con categorie ermeneutiche che non rivelano l’identità del popolo accetturese e la loro devozione al Santo patrono. Ricorda Mirizzi: «la festa nella sua dimensione dell’agire e del fare non aveva bisogno di svelare significati ancestrali e stimolare nei suoi protagonisti il bisogno di comprenderne le origini, arcaiche o meno che fossero. L’importante era organizzarla e parteciparvi “per l’onore della festa di San Giuliano”. Essi vivevano la festa del Maggio come un fatto autonomo, che era dentro la loro storia e le loro vite e che, per così dire, non aveva bisogno di essere né legittimato né autorizzato né autenticato come tradizione».

Difatti «il modello frazeriano introdotto da Bronzini come quello che egli chiamava “sostrato etnologico” della festa finiva col diventarne il mito di fondazione, progressivamente accettato in quanto autenticato dalla scrittura. Si trattava di un fenomeno inquadrabile in quello che Paola De Santis nel 1984 chiamava “frazerismo di ritorno” o “diffuso”, un frazerismo senza Frazer, che si risolve il più delle volte nell’applicazione di paradigmi di impianto evoluzionistico comparativo, soprattutto in quelle situazioni festive che sono state variamente oggetto di indagine etnografica, ma che soprattutto sono state investite da esperienze documentaristico televisive, le quali delle analisi antropologiche hanno operato una semplificazione riduzionistica allo scopo, come sostenuto da Pinelli, per altro uno dei migliori esponenti della documentaristica d’autore, “di agganciare l’interesse del pubblico”».

Notevole l’intervento sopra indicato, in quanto svela una forma di cultura che pur di attrarre l’attenzione del pubblico, dei turisti, non può rinunciare al significato ancestrale che risiede nell’identità di un popolo che continua a festeggiare il Maggio purché sia attribuito a San Giuliano.
«Che il tema dello sposalizio degli alberi non avesse più un “nesso ideologico immediato” con la vita dei partecipanti, i quali non facevamo altro che ripetere una tradizione che li contraddistingue da tutti gli altri paesi vicini, per cui, il tema centrale, oggi l’unico

immediatamente consapevole e funzionale, di una celebrazione siffatta, è quello del suo valore socializzante: essa fornisce il collaudo della identità etico-sociale e culturale degli accetturesi. Perciò essa assurge a simbolo preminente della propria storia, cultura, tradizione, della propria personalità collettiva. E, dunque, il motivo della festa come atto e momento di fondazione identitaria, che è oggi il più immediatamente percepibile tra i significati di cui il cerimoniale si carica» (V. Lanternari).

Il fattore antropologico sottolineato è indubbiamente legato ad un ambito etico-sociale che non prescinde dall’ambito culturale e in ultima analisi religioso. È indubbia la valorizzazione della festa partendo dal popolo, dal significato identitario che permette agli accetturesi di conservare 1′ inventio del Maggio relata alla sfida dell’inculturazione attraverso i giovani, approfondire la loro grammatica per individuare le forme appropriate per comunicare i valori universali della festa. «Il che dimostra come spesso siano i produttori di saperi e tra questi gli antropologi e folkloristi accademici o professionali, a “costituire” e a “dare un senso” alle tradizioni, elaborando criteri che consentano ai protagonisti degli eventi di scoprirne la presunta verità sul piano storico e di ri-viverli come fatti verificati, radicati nel tempo, in sostanza come “autentici”. Tutto ciò trova evidentemente la sua ragione in contesti sociali come anche quello di Accettura, in cui le feste non sono più dentro cicli rituali nei quali “funzioni e visioni del mondo erano equilibratamente combinate”, ma rappresentano forme simboliche finalizzate alla produzione nel mondo contemporaneo di identità locali che rivendicano continuità con un passato mitico percepito come realmente esistito, testimoniato e autenticato dalla scrittura antropologica, e non nei suoi esiti essenzialisti e, il più delle volte sfuggenti al controllo di coloro che ne sono stati autori» (N. Scaldaferri – S. Feld).

Analizzando i tentativi proposti dalle rappresentazioni etnografiche, riscontriamo confusione tra piano epistemologico e piano storico, influenzando evidentemente l’attribuzione del rito arboreo al Santo Patrono. È così, all’interno di un contesto di lettura attento alle dinamiche trasformative, i suoi principali significati nella fusione pentecostale tra il Maggio e San Giuliano, come già detto, in un processo di temporanea ricomposizione della comunità attraverso il ritorno degli emigrati. L’identità religiosa del popolo presenta la sfida ardua in termini di sopravvivenza nei confronti di una cultura che è determinata da sistemi di riferimento individualisti, «da una società premoderna caratterizzata da un’esperienza spirituale e culturale dentro una cornice di un mondo incantato, dominato dai miti religiosi e ancestrali, si è passati all’età moderna, segnata da una coscienza profondamente disincantata di fronte al mondo [ … ]. L’uomo si autocomprende sempre più come individuo personale, creatore della storia e dei valori, riconosciuti, non in base a riferimenti religiosi e stabili, bensì guidato dalle circostanze e da fini immediati ed effimeri che conducono al relativismo etico. Infranta la relazione fondamentale con il Creatore, l’uomo ha smarrito la speranza e la fiducia in un orizzonte di vita al di là del tempo e della storia. Di fronte a questa seconda istanza oggi i cristiani devono saper ribadire la natura relazionale e sociale dell’uomo con un particolare accento tutto evangelico alla fraternità, nel suo valore esistenziale e culturale, da saper declinare in ambito ecclesiale, sociale, economico e politico» (G. Bellusci)28.

larocca_michele@tiscali.it

Bibliografia

  1. Bellusci (a cura di), Memoria e profezia, per il futuro della Basilicata, Atti dei convegni regionali in preparazione al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale, Firenze 9-13 Novembre 2015, Lagonegro 2017.
  2. B. Bronzini, Accettura: il Contadino, l’Albero, il Santo, Galatina 1979.
  3. Cjattint, L’animismo di Edward Byrnett Tylor. Uno sguardo sulla religione primitiva, Torino 1995.
  4. Lanternari, Crisi e ricerca d’identità. Folklore e dinamica culturale, Napoli 1977.
  5. Mirizzi, I riti arborei in Italia: tra interpretazioni frazeriane e rappresentazioni etnografiche, in «Annali della facoltà di Lettere e Filosofia – Università degli Studi della Basilicata» 9 1999.
  6. Scaldaferri – S. Feld (a cura di), I suoni dell’albero, il Maggio di S. Giuliano ad Accettura, Udine 2012.
  7. M. Spera, L’ambigua e seducente “inventio” dell’origine arcaica delle feste popolari il caso del “Maggio di Accettura”, in «Appennino» 1 (2015).

 

 

L'autore

Michele La Rocca
Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.