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Tolkien: in mostra la sua vita

A cinquant’anni dalla scomparsa, una grande esposizione, Tolkien – uomo, professore, autore, ha ricordato a Roma il creatore dello Hobbit e del Signore degli Anelli, opere il cui già straordinario appeal è stato in anni recenti enormemente amplificato dalle trasposizioni cinematografiche di Peter Jackson. Promosso dal Ministero della Cultura, in collaborazione con l’Università di Oxford, sotto la direzione di Oronzo Cilli, l’evento ha preso avvio il 16 novembre 2023 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (GNAM), si è concluso l’11 febbraio scorso ed è stato visitato da oltre 80.000 persone, un successo.

Come già anticipato dal MiC, verrà allestito anche a Napoli, a Palazzo Reale, dal 15 marzo al 30 giugno e a Torino e Catania successivamente. La mostra è il più importante “approfondimento” mai dedicato a John Ronald Reuel Tolkien nel nostro Paese, un percorso originale che scandisce gli 81 anni della sua esistenza con documenti, oggetti e immagini poco o punto noti. Visto nella sua innocenza nativa, il Tolkien che ne esce è un figlio riconoscente, un marito devoto, un padre attento – nella sua stratificazione intellettuale, un eminente accademico e uno stupefacente mitopoieta le cui storie d’altri tempi e d’altri mondi, nella nostra età ipertecnologica, ancora emozionano lettori di ogni età, credo e cultura: con i suoi duecentocinquanta milioni di copie, Il Signore degli Anelli è il libro più letto dopo la Bibbia.

Quello presentato a Roma è un percorso prevalentemente “didattico”. Tra i visitatori, quanti ai sentieri della Terra-di-Mezzo sono pervenuti attraverso il cinema e i nuovi media forse avranno lamentato la pochezza di “effetti speciali”, ma a chi con Tolkien ha avuto un approccio soprattutto letterario, questa mostra, coi suoi tanti “tesori”, avrà fatto luccicare gli occhi e scaldato il cuore. Il suo obiettivo era compiutamente declinato già nel titolo: indagare Tolkien come uomo e mostrare l’assoluta interdipendenza, in lui, tra vita, professione e scrittura. Non ridondante biografismo, ma scavo nel profondo, dentro i magazzini della memoria.

A inizio percorso, “scenograficamente”, campeggiava il baule da viaggio con cui la mamma di Tolkien, Mabel Suffield, nell’aprile del 1895 partì da Bloemfontein, nello Stato Libero di Orange, con i piccoli Ronald e Hilary per una vacanza in Inghilterra. Un ricordo drammatico: mai avrebbe immaginato, la povera donna, di non rivedere più il marito, Arthur Reuel Tolkien, morto repentinamente l’anno successivo, in Africa, di febbre reumatica.

Incredibilmente “sgradita” alla propria famiglia, protestante, per aver abbracciato il credo cattolico, Mabel trovò poi ospitalità coi figli presso i suoceri a Sarehole, un piccolo villaggio del Worcestershire. L’episodio ritorna, nel Signore degli Anelli, nella storia della regina Gilraen la luminosa, genitrice di Aragorn, che dopo la morte del marito Arathorn abbandona le Terre Selvagge e ripara col figlioletto presso gli Elfi di Rivendell. A Sarehole, Ronald trascorse un’infanzia povera ma lieta, tra luoghi “magici” come la palude di Moseley e le colline di Malvern, scenari inequivocabili che ritornano nelle sue pagine.

Tolkien fu per tutta la vita fedele al credo in cui la madre lo crebbe, commosso per quanto ella arrivò a sopportare per questo, discriminazioni e miseria, morendo infine a soli 34 anni, come scrisse, di sfinimento. Lei stessa affidò Ronald e il fratello Hilary alle istituzioni cattoliche: crebbero a Birmingham sotto la vigile tutela di padre Francis Xavier Morgan, presso la prestigiosa King Edward’s School. Ronald passò poi all’Exeter College di Oxford, dove sviluppò quella particolare passione per le culture anglosassone e norrena che avrebbe marcato tutta la sua vita.

Nacque in quegli anni il forte sodalizio con tre compagni di studi – Christopher Wiseman, Rob Gilson, Geoffrey Bache Smith – i TCBS, acronimo di Tea Club and Barrovian Society, dal nome del locale universitario dove si ritrovavano. Tale fratellanza finì tragicamente nelle trincee della Prima guerra mondiale, dove Bache Smith e Gilson persero la vita nel 1916. Sulla Somme Tolkien sperimentò a sua volta l’inferno del primo conflitto meccanizzato della Storia, esperienza che si riverbera nelle furiose battaglie campali dei suoi romanzi. La memoria dei TCBS verrà sublimata per sempre dallo scrittore nei quattro Hobbit della Compagnia dell’Anello: Frodo, Sam, Merry e Pipino.

Su uno dei pannelli in mostra rifulgeva lo sguardo determinato di Edith Bratt, che Ronald incontrò nel 1908 e portò all’altare, dopo un fidanzamento avventuroso, nel 1916, poco prima di andare in guerra. Con lei lo scrittore visse un legame solido e profondo, durato cinquantacinque anni e benedetto dalla nascita tra il 1917 e il 1929 di quattro figli: John, che diverrà sacerdote, Michael e Christopher, professori universitari anche loro, e Priscilla, che a lungo operò a fianco del padre.

La famiglia Tolkien nel 1940
La famiglia Tolkien nel 1940

Congedato, nel 1920 Tolkien ottenne la docenza a Leeds e passò a Oxford nel 1925, prima come assistente, poi come professore di Anglosassone (1934-1945) e infine di Lingua e letteratura inglese (1945-1959). Copiosi, nelle teche, le lettere e i documenti d’epoca, insieme a rare copie dei suoi primi lavori accademici, il Middle English Vocabulary (1922) e il Sir Gawain and the Greene Knight (1925), entrambi redatti a Leeds, l’Oxford English Dictionary cui lavorò come lessicografo sin dal 1918, il celebre Beowulf (1926) e altro. Non una produzione rilevante, come quantità, ha sottolineato qualche critico: assai più cospicua quella relativa alle saghe del suo Mondo-di-Mezzo.

Un lungo pannello raggruppava i volti e le storie dei molti che Ronald conobbe e frequentò nel corso dei tanti anni trascorsi nella «città dalle guglie sognanti». Il fior fiore dell’intellighenzia britannica come C. S. Lewis, ancora oggi sull’onda; Hilaire Belloc, scrittore francese naturalizzato britannico; W. H. Auden, poeta e drammaturgo; C. W. S. Williams, noto come autore di thriller teologici; Hugo Dyson, anglista. Tra le presenze femminili, la narratrice e poetessa Naomi Mitchison, sua buona amica.

In evidenza, un’icastica citazione di Lewis: «L’amicizia con Tolkien segnò il declino di due antichi pregiudizi… Alla mia venuta a questo mondo mi avevano tacitamente avvertito di non fidarmi mai di un papista e apertamente, al mio arrivo alla Facoltà di Inglese, di non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l’uno e l’altro». Ateo convinto, Lewis ne fu affascinato, convertendosi infine alla fede cristiana, il 19 settembre 1931, dopo una notte passata a discutere con lui e Dyson di teologia, su e giù per l’Addison’s Walk, un pittoresco sentiero nei pressi di Magdalen College.

Con Tolkien e Lewis quali “catalizzatori”, tra il 1930 e il 1950 un nutrito gruppo di intellettuali e scrittori, quasi tutti docenti dell’Università di Oxford, si ritrovarono con regolarità nei pub cittadini – The Eagle and Child, a St. Giles, il preferito – per discutere e leggere i propri lavori. Erano gli Inklings, curioso nome, inventato non si sa bene come, «che faceva pensare a persone con vaghe idee e inclinazioni abbozzate che pasticciavano con l’inchiostro», scrisse scherzosamente Tolkien. In quei simposi presero forma Le Cronache di Narnia e Il Signore degli Anelli.

Vera curiosità in mostra, il desktop di Tolkien, l’angolo suo più segreto, si è portati a pensare, e invece – parole della figlia Priscilla – «il centro della casa… mai un territorio proibito»: il vecchio scrittoio in stile georgiano, la sedia-poltrona Windsor, libri e fogli sparsi qua e là e l’immancabile pipa. Sullo sfondo, un video in cui il professore raccontava la genesi dello Hobbit, il suo primo libro di successo pubblicato nel 1937 da Allen & Unwin. A proposito del quale merita ricordare – per sfatare la “fola” di un Tolkien filonazista – che l’anno dopo, volendolo pubblicare, degli editori tedeschi chiesero all’autore di sottoscrivere una dichiarazione di appartenenza alla “razza ariana”. Tolkien declinò l’offerta, ancorché avesse, in quel periodo, un gran bisogno di denaro: Der Hobbit sarebbe uscito in Germania soltanto nel 1957.

Centrale, nella mostra romana, uno spazio bibliografico-collezionistico che in tre enormi vetrine a giorno esibiva centinaia di edizioni di opere tolkieniane (cinquantadue, le lingue in cui sono state tradotte). Un “muro” di libri davvero impattante, plastica dimostrazione di quanto lo scrittore sia popolare in tutto il mondo e la sua Terra-di-Mezzo, attraverso cinque generazioni di lettori, un patrimonio universale, ormai.

Su una parete, attestazioni di stima per Tolkien di testimonial del nostro tempo, scrittori, musicisti, statisti, persino papa Francesco. Un forte apprezzamento per i suoi romanzi giungeva anche da un’icona della cultura liberal come Barack Obama: «Non erano solo storie d’avventura, mi hanno insegnato i problemi sociali… come le persone interagiscono tra loro, alcune gentili, altre crudeli». Parole che dovrebbero far riflettere chi ebbe a dichiarare tali narrazioni favole reazionarie d’evasione, mentre negli Stati Uniti di Woodstock gli Hobbit diventavano “modelli” per gli hippy e da noi, subito dopo, emblemi inconsueti della Destra giovanile anti-sistema, ormai avulsa dalla bolsa retorica “machista” del Fascismo.

«Io non sono un riformatore e nemmeno un conservatore», scriveva Tolkien alla Mitchison già nel lontano 1954, nell’imminenza dell’uscita del primo tomo del Signore degli Anelli, dove i conservatori par excellence sono gli Elfi. Egli ha un atteggiamento non del tutto positivo verso di loro, li mostra incapaci di affrontare i cambiamenti, come degli “imbalsamatori” che cercano di arrestare il proprio declino. Allo stesso tempo non idealizza neppure i pacifici Hobbit. La sua creazione letteraria è sfaccettata, non riconducibile a stereotipi, etichette o ideologie. Da Oxford – dove tutto ebbe inizio – il prof. Giuseppe Pezzini, uno dei collaboratori della mostra, ricorda che «l’unico approccio legittimo a Tolkien è quello aperto alla complessità».

J. R. R. T. non guardava né a Destra né a Sinistra, i suoi occhi puntavano in Alto: «Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un’opera religiosa» – scriveva nel 1953 a padre Robert Murray, di cui fu mentore e amico – un apologo con lo spirito cristiano «radicato nella storia stessa e nel suo simbolismo» ma ambientato in un contesto altogermanico-norreno, pagano. E in tema di simboli è evidente il ruolo da agnello sacrificale rivestito nel romanzo da Frodo, il mezz’uomo: contro ogni previsione, uno Hobbit, il più fragile tra gli abitanti della Terra-di-Mezzo, riuscirà a sconfiggere le armate del Male in un archetipale viaggio di andata (e ritorno) all’inferno.

Le polemiche ideologiche innescate prima ancora che l’esposizione aprisse erano (e sono) pretestuose. L’evento non veicola alcun messaggio politico, parla di Tolkien, non delle interpretazioni di Tolkien, racconta i suoi principi, di valenza universale: quelli della comunità e della solidarietà, contro lo snaturamento dell’uomo e del creato. Circa un presunto suprematismo dello scrittore, basta scorrerne le pagine: il mondo che propone è un esempio di multietnicità e multiculturalità, la stessa Compagnia dell’Anello è un mèlange di popoli, Hobbit, Elfi, Uomini, Nani… Tolkien, già lo si è ricordato, aborriva le dottrine razziali e i pochi anni trascorsi da bambino a Bloemfontein gli avevano lasciato, ricordava sempre, «un odio per l’apartheid fin dentro le ossa».

Molto interessanti, in mostra, i suoi rapporti con il nostro Paese, i viaggi e la lunga storia dell’edizione italiana di The Lord of the Rings. Il Professore scese nella Penisola due volte, nel 1955 e nel 1966, la seconda in crociera con la moglie, ma fu la prima visita quella più importante, compiuta insieme alla figlia. In un diario, come di consueto, egli appuntò le proprie impressioni: trovò incredibilmente familiari i paesaggi lombardi, accostò Venezia alla sognante Pelargir, capitale di Gondor, ma a conquistarlo fu Assisi, il santuario di San Damiano in particolare, pervaso dallo spirito di Chiara e Francesco.

San Damiano
San Damiano

Lì, confessò al figlio Christopher, «ebbi la sensazione di esser giunto nel cuore della Cristianità; un esule che torna a casa dai confini e dalle province più remote».

Sembra inverosimile, ma un bestseller come The Lord of the Rings, pubblicato in originale tra il 1954 e il 1955, fu per ben due volte rifiutato da Mondadori, cui venne offerto in esclusiva sin dal dicembre del 1954. La prima volta, nel 1955: il genere fantasy, ritennero in via Corridoni, “incontrava” poco. Nel 1962, dopo un nuovo abboccamento con sir Stanley Unwin alla Buchmesse di Francoforte, il dossier fu chiuso definitivamente: dalle carte emerge il giudizio tranchant di Elio Vittorini, in quei giorni direttore editoriale alla Mondadori, sulla mancanza nell’opera di qualsivoglia “metafora” sul presente. Nelle teche della mostra i documenti erano esibiti senza commenti: parlavano da sé.

Il primo tomo del romanzo, La Compagnia dell’Anello, uscì nel 1967 per i tipi della romana Astrolabio-Ubaldini, ma risultò un flop. Nella vicenda si inserì a questo punto la maison d’édition fondata a Milano nel 1966 da Edilio Rusconi e fu alla fine merito di Alfredo Cattabiani ed Elémire Zolla se nell’ottobre del 1970, sedici anni dopo la sua pubblicazione nel Regno Unito, il libro uscì per i tipi di Rusconi Libri e divenne un successo stellare che nel 1984 toccò il milione di copie.

La mostra proseguiva con una sezione dedicata all’arte ispirata dal mondo della Terra-di-Mezzo: la gallery proposta offriva nomi rinomati, ma poco in verità – quanto a materiali esposti – che andasse oltre lo schizzo o il bozzetto. Bello sarebbe stato potervi ammirare anche qualche tavola originale dei fratelli Hildebrand o di Ted Nasmith, John Howe e Alan Lee, la “vecchia guardia” tolkieniana… Modesta e un po’ improvvisata, infine, ci è sembrata l’appendice su Tolkien fenomeno “pop” nell’era della cultura di massa, tra manifesti cinematografici e proiezioni a ciclo continuo dei film di Peter Jackson, cartoni animati, fumetti, videogames e giochi da tavolo.

Rilievi che, a ogni modo, non alterano la qualità complessiva dell’evento: Tolkien – uomo, professore, autore è senza dubbio un viaggio affascinante e inatteso nel backstage della creazione tolkieniana, epica senza tempo. Sempre vi sarà chi ne vorrà riaprire le pagine e di nuovo, come in un rito, darà inizio al racconto: «In un buco nel terreno viveva uno Hobbit…».

L'autore

Maurizio Pasquero
Maurizio Pasquero, laureato in discipline linguistico-umanistiche, è cultore di anglistica, irlandesistica e americanistica, di storia, archeologia e arti visive. Ha ricercato e scritto sulla diffusione in Italia delle opere di William Butler Yeats, James Joyce ed Ezra Pound, su storia e cultura del mondo celtico e storia del fumetto. Ha pubblicato: Belli spiriti d’Irlanda: versioni da Yeats, Lady Gregory, Synge e Joyce di Carlo Linati (2010), I Celti della Valle del Po negli eserciti di Roma (2012), Un poeta americano sul lago di Como: Ezra Pound, Carlo Peroni e il “Broletto” (2014), Teatro irlandese: i grandi autori dell’Abbey Theatre di Dublino tradotti da Carlo Linati (2018) e ha contribuito con il saggio “Carlo Linati, un amico lombardo per Ezra Pound” alla miscellanea La libertà dell’intelligenza: Ezra Pound, un intellettuale tra intellettuali (2023). Collabora alle riviste: Studi irlandesi – A Journal of Irish Studies (Firenze), Studi cattolici (Milano), Terra insubre (Varese).
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