Il 18 maggio 2019 alle 17, nella bella cornice del Museo di Casa Frabboni a San Pietro in Casale (Bo), si aprirà la mostra di Raffaello Margheri, «un artigiano autodidatta», come ama definirsi, ma, in realtà, per chi lo segue e lo stima da tanti anni, un vero Maestro. A Giorgia Govoni, responsabile delle attività espositive dell’Unione Reno Galliera, si devono moltissime iniziative, fra cui frequenti esposizioni, tutte interessanti, frutto di scelte dettate non da opportunità, ma dalla esclusiva considerazione della qualità di ciascun artista, chiamato a esporre nelle sale del Museo, da lei gestite con rigore e grande competenza. Inutile pertanto sottolineare come gli ambìti spazi di Casa Frabboni si siano aperti, anzi spalancati, a Margheri e a numerose sue opere grafiche eseguite con varie tecniche. Margheri, toscano ‘naturalizzato bolognese’, proviene dalla ‘scuderia’ dell’ALI (Associazione Liberi Incisori), di cui è vice-presidente. Ad omaggiarlo sarà in primis il presidente dell’ALI Marco Fiori, collezionista e fondatore dell’associazione, una società culturale che si prodiga da anni in varie e meritorie direzioni, insieme allo storico dell’arte Marzio Dall’Acqua. Fiori è il curatore del catalogo di Margheri, che comprende interventi dello storico e critico d’arte Pierluca Nardoni e uno mio, in qualità, come sempre, di amateuse soprattutto di libri d’artista. Il catalogo conterrà pure un breve intervento di Nicola Manfredi della Mavida di Reggio Emilia, società attiva in stampa d’arte, in particolare nell’arte della tipografica manuale. Affido molto volentieri il mio intervento in anteprima alle pagine di Insula europea, puntando a far conoscere di più e meglio i libri d’artista in cui si è cimentato Raffaello Margheri, un settore di forte rilevanza nel luminoso cammino del suo appassionato lavoro.
Come è possibile, solo sfogliando i libri d’artista di Raffaello Margheri, cercare di esprimere, data la loro complessa creazione, l’emozione profonda che essi suscitano sia al tatto che alla vista?
Ciò che si coglie dapprima dai libri di Margheri, è il ricorso alle sapienze antiche fuse con i moderni accorgimenti e, nel contempo, una fantasia quasi infantile, per nulla turbata dallo sconcerto del presente, né da fantasmi che tribolano nell’animo d’artista, ma proiettata a guardare sempre avanti. Questo suo ‘candore’ è espresso già dalla scelta dei formati, vere costruzioni per testo e immagine, originalità che si estrinseca sia in forme di grande ampiezza sia in quelle snelle e lunghe quasi un metro, o nelle pagine che accolgono incisioni ma strutturate come il libro fosse un pop up – il richiamo all’infanzia più netto – dentro alle quali si collocano le storie, le favole del suo peregrinare fantastico.
Ma per immergersi con maggiore competenza nei suoi graffi d’autore sulla carta, si può iniziare anche rilevando come ciascuno dei libri di Margheri racchiuda in sé molti aspetti dell’opera d’arte moderna, ponendosi tuttavia al limite, per tipologia, fra modelli del passato e le attuali esperienze e realizzazioni che guardano lontano.
Si prenda a metro la tecnica usata da Margheri, quasi sempre la xilografia, o meglio, la linoleografia che, come si sa, è un genere di stampa diretta, ricavata per mezzo d’incisione preferibilmente con la sgorbia, utilizzando come matrice il linoleum, che risulta più duttile e meno dispendioso del legno, soprattutto di quello di pero, difficile fra l’altro da trovarsi.
La xilografia, incisione su legno, è antica al punto da non riuscire con esattezza a definirne la nascita né in Oriente, in Cina da dove prende le mosse, né tanto meno in Occidente se non quando si fonde in stretto binomio con la stampa a caratteri mobili. È infatti una tecnica molto praticata e utilizzata perché più duttile della incisione calcografica che si esprime con altri strumenti, fra i quali il bulino, per lasciare il segno in incavo sulla matrice, e necessita di apposito torchio per tirarne le copie programmate. In più nei libri di Margheri non si scontrano solo il forte nero e l’umile bianco: i suoi libri hanno bisogno del colore, più volte anche di un solo tocco, ma squillante, vibrante.
E non è un caso che un certo modo di esprimersi, ovvero il ricorso alla xilografia, sia stata una riscoperta dagli espressionisti tedeschi, soprattutto di Nolde e Kirchner, i quali si applicarono non più al legno ma preferibilmente al linoleum, fendendolo in modo da scavarvi con segno grosso e duro i rilievi, prodotti da tagli netti della loro sgorbia poetica.
Sebbene il richiamo all’espressionismo nordico calzi a pennello per Margheri, soprattutto se si considera il tipo e i modi d’incidere, la sua visionarietà, resa anch’essa con scavo largo e profondo e l’uso di colori forti, spesso antinomici, è tuttavia ben lontana dall’inquietudine drammatica del Nolde incisore, o di Kirchner, il cui linguaggio grafico, “rabbioso”, è volto spesso ad esprimere il dualismo dell’uomo e della natura in continua travolgente contraddizione, ricorrendo a colori che accentuano l’impressione di disagio e di ansia, propria di certe sue atmosfere.
L’uso di colori accesi ma mai violenti, per Margheri non è espressione di disagio e non crea mai un’atmosfera fredda. Il colore è il suo alleato, è un forte mezzo espressivo nei suoi libri d’artista. Si prenda ad esempio un topos delle opere di Margheri, quello della stanza da letto, ispirato con genialità interpretativa a Van Gogh. La stanza, presente sia in A Zvanì sia in Quattro storie di animali, è un luogo intimo, separato dal resto del mondo. L’interrogativo su ciò che è al di fuori, l’indefinita incertezza del futuro sono illuminati dalla luce che entra calda dalla finestra e spazza via le ombre sull’avvenire. Attraverso la camera non viene espressa angoscia e neppure il senso claustrofobico e di disagio esistenziale che si coglie in Van Gogh, bensì una solare via d’uscita, un’immagine luminosa resa speranzosa dall’utilizzo di pochi ma vibranti colori.
È inoltre lo stesso Margheri a precisare che la scelta della grafica, dopo un primo avvio all’arte con la tavolozza, lo ha sedotto anche per la sua maggiore e quasi misterica segretezza: «la mia inclinazione alla grafica e in particolar modo alla linoleografia è perché con tale tecnica non sempre hai la percezione di ciò che uscirà dalle tue mani e dalla fantasia che le mani ha mosso», così in un colloquio a casa sua, casa tappezzata unicamente da proprie opere che, conoscendo la ritrosia e la modestia, doti di Margheri, sembrano volerci chiarire la sua inclinazione a rimanere in ombra ma non però nel suo ‘diario intimo’, quello familiare e domestico, dove meglio può crescere il giardino delle sue utopie, delle sue favole.
Inoltre, nei suoi libri, la visionarietà non è affidata solo all’immagine, ma pure alle parole scavate anch’esse con la sgorbia, che nulla tolgono alla «spontanea immediatezza dei suoi lavori», come Marco Fiori con acribia critica ha espresso in un suo omaggio all’artista ora anche on line.
Si sa che la caratteristica dei livres de peintres è la sapiente congiunzione delle parole con l’iconografia, ovvero il loro essere iconico-verbali in sintesi o antitesi fra due arti, espresse da due o più voci, mentre per le opere di Margheri piace evocare i Blockbücher, ovvero quei libri xilografici in cui sia il testo sia l’immagine, entrambi eseguiti sulla matrice con lavoro d’intaglio, incisi pertanto a mano, sono esperienza molto antica, in Occidente, anteriore sebbene non di molto, alla nascita della stampa con caratteri mobili. E che fra i Blockbücher rivestissero particolare rilievo le Bibliae pauperum, è nozione anch’essa da acquisire perché assume importanza per meglio saper ‘leggere’ le pagine di Margheri: anche il nostro artista è in cerca di un pubblico da coinvolgere, da sedurre e lo fa con tavole accattivanti sotto ogni profilo.
Le sue immagini si legano infatti a testi in cui a sbrigliare la fantasia concorrono a volte le sue sole capacità tecniche, animate dal personale istinto narrativo: sia che si tratti di testi ispirati a Calvino parafrasandone un titolo, Le città invivibili, o alle fiabe grafiche di Leonardo, come quella in lode dell’inchiostro, fino al titolo A Zvanì, unico e indovinato in dialetto per il libro dedicato a Giovanni Pascoli, segnalato nella ristretta rosa delle migliori opere in un recente concorso internazionale sul libro d’artista legato al grande poeta romagnolo.
Non solo; la scrittura che diviene un unicum con le immagini, permette di essere autonomi, di svincolarsi da ogni dipendenza: crea una delle espressioni forti anche per i cosiddetti ‘libri d’autore’. Per Margheri ha significato non solo abbandonare la litografia ed affrontare tecniche grafiche che non prevedessero intermediari. Suo è il segno; suo è il torchio calcografico (un Bendini 1980) per le acqueforti; suo è il tirabozze con cui stampa le tavole ‘parlanti’ e tutto ciò che è segno a rilievo. A volte Margheri usa finanche il ‘pialletto’, che nel contempo va utilizzato per l’ azione levigatrice così come per quella stampante, e lo fa incurante del maggior tempo richiesto dall’uso del piccolo strumento per esercitare entrambe le funzioni. Il tempo per Margheri non è un ostacolo; semmai lo era fino a che non ha potuto dedicarsi interamente alla sua vera passione: librare la fantasia fendendo matrici nel solco della più affascinante tradizione, puntando col proprio segno grafico alla interpretazione anche del futuro.
Margheri si arrende alla ‘comunione’ solo quando viene chiamato in correo dai massimi artisti della pagina di tipografia manuale. Così è avvenuto per un libro dal testo molto corposo, Quattro storie di animali, per illustrare le quali a interpellarlo è stata una delle più ricercate tipografie di stampa al torchio: la reggiana Mavida che ha alle spalle una lunga e sofisticata tradizione nei libri «belli dentro e fuori».
E infine, se di citazioni si arricchiscono i profili degli artisti, non è sbagliato richiamare Ligabue per il ‘nostro’ autore. Essere naïf nell’arte è espressione spesso di dilettantismo, così è stato per Ligabue e così lo è anche per Margheri, ma nulla ha impedito a entrambi di poter conservare ed esaltare la propria inimitabile cifra, e di esercitare con il rispettivo linguaggio una ‘genuina’ e affascinante forza attrattiva.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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