L’Italiano fuori d’Italia

Carlo Pulsoni intervista Paolo Silvestri

Paolo Silvestri è laureato in Storia della lingua italiana presso l’ Università di Torino. Dal 1990 vive in Spagna e svolge la sua attività di insegnamento e ricerca presso il Dipartimento di Filologías Intergradas (Área de Filología Italiana) dell’Università di Siviglia. Si occupa in particolare della storia della diffusione dell’italiano in Spagna (Le grammatiche italiane per ispanofoni. Secoli XVI-XIX, Ed. dell’Orso, 2001) ed è coautore insieme a Manuel Carrera Díaz di una grammatica spagnola per le scuole superiori italiane (Entre Palabras, Loescher 2010).

Cosa significa per te insegnare la letteratura e la cultura italiana stando all’estero?

Vivo da più di vent’anni in Spagna e insegnare l’italiano mi gratifica molto, perché mi fa sentire una specie di piccolo ambasciatore linguistico e culturale. E poi, affettivamente, rappresenta un po’ il cordone ombelicale che mi mantiene legato alle mie origini. Se avessi svolto un’altra attività forse, soprattutto nei primi tempi, avrei avuto una sensazione di sradicamento, che in realtà non ho mai sperimentato.

Qual è la situazione dell’italiano nel tuo Ateneo e in genere nello stato nel quale vivi?

Avrei voluto rispondere a questa domanda qualche anno fa, quando la Spagna era prospera e dinamicamente proiettata vero il futuro. Purtroppo in questo momento di crisi gli studi umanistici sono i più castigati, e al loro interno l’italianistica non occupa certo una posizione di grande rilievo. Concretamente il corso di laurea in lingua e letteratura italiana, che in passato ha avuto una certa importanza, con la riforma universitaria europea è stato soppresso e in questo momento è difficile intravvedere una possibile rinascita in tempi brevi. Quindi l’insegnamento dell’italiano si mantiene, ma ha perso autonomia, e in questo momento mancano fondi e volontà politica (che alla fine vanno di pari passo) per avere di più. Si è invece creata con la velocità del fulmine un’area di studi orientali, con l’insegnamento di cinese e giapponese, che sono lingue che adesso “tirano” soprattutto per ragioni di tipo commerciale. Un eloquente segno dei tempi.

Vi sono rapporti di collaborazione tra la tua cattedra e l’Istituto Italiano di Cultura?

A Siviglia non c’è una sede dell’Istituto Italiano di Cultura, quindi interagiamo con Madrid e, per una semplice questione geografica e logistica, i rapporti sono forzosamente indiretti.

Quali sono, a tuo avviso, le motivazioni che spingono oggi uno studente a studiare l’italiano?

Nonostante la situazione politica a dir poco disarmante degli ultimi tempi, la cultura italiana continua ad avere un considerevole peso specifico, che si mantiene spesso anche per inerzia, e non mi riferisco solo alle sfere alte della cultura. C’è, naturalmente, la grande tradizione letteraria, artistica, operistica, ma continuano ad agire, almeno come concause, altri fattori, in particolare quelli legati all’eleganza, alla moda, al buon gusto, a quell’attenzione per l’estetica che da sempre ci ha resi riconoscibili a vari livelli nel mondo. E poi c`è un altro motivo, meno nobile ma altrettanto potente, vale a dire la presunta facilità dell’italiano per un parlante spagnolo. Molti studenti, soprattutto di altri corsi di laurea, lo scelgono per questo motivo, e poi si scontrano con una realtà ben diversa, quella di una lingua molto complessa e molto irregolare, perché in fondo “giovane” come autentico strumento di comunicazione, quindi ancora in corso di assestamento.

Nei tuoi corsi ci sono anche italiani di seconda generazione?

No, ma ci sono molti italiani che vengono a studiare da noi con le borse Erasmus, e alcuni decidono di rimanere e si “naturalizzano” (universitariamente parlando) in Spagna proseguendo qua i loro studi. Altri vengono per Dottorati o Master. Stiamo anche studiando la possibilità di un Joint Degree con qualche università italiana e forse proprio quest’ultimo canale sarà quello che ci consentirà di sopravvivere in attesa di tempi migliori.

Quali sono gli autori italiani più letti o più richiesti nel tuo corso?

Se chiedi a uno studente spagnolo di citargli uno scrittore italiano contemporaneo ti dirà… Federico Moccia, capillarmente penetrato anche qua, lucchetti sui ponti compresi.

Quanto e chi arriva invece tra gli autori contemporanei, anche in traduzione?

Oltre ai classici, i principali nomi della letteratura contemporanea circolano in traduzione, spesso anche in altre lingue nazionali, come il catalano. Da Eco (Laurea honoris causa proprio a Siviglia nel 2010) e Magris (Premio Príncipe de Asturias 2004), fino a Tabucchi e Baricco e poi Ammaniti, Mazzantini, Tamaro, Volo e il già citato Moccia. Dai grandi nomi ineludibili, fino alle vendite più o meno sicure. Con le dovute eccezioni di qualche traduzione sparsa di letteratura di altissima qualità e probabilmente con vendite bassissime, come nel caso di Vincenzo Consolo.

Suggeriresti qualche nome di autore contemporaneo che ti augureresti venisse tradotto in spagnolo?

A mio avviso sarebbe interessante sondare gli autori che lavorano in modo creativo sulla lingua, riconducibili a quella tradizione eccezionale che risale più direttamente a Gadda. Ma in questo la traduzione mostra tutti i suoi limiti. Per esempio -anche se ci muoviamo a un altro livello qualitativo- si sta traducendo in spagnolo la saga del commissario Montalbano di Camilleri, ma dubito che i traduttori siano riusciti ad andare oltre una semplice trasposizione denotativa del testo di partenza.

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