Un’introduzione al fumetto giapponese, così come recita il sottotitolo: I manga, di Marco Pellitteri, è un volumetto di 168 pagine pubblicato da Carocci. Direttore scientifico della casa editrice Tunué e professore associato di media e comunicazione alla Xi’an Jiaotong-Liverpool University, ha pubblicato vari libri, tra i quali, in italiano, ricordiamo fra gli altri il Drago e la Saetta, Mazinga Nostalgia e Conoscere i ideogiochi (con M. Salvador).
I manga è un testo teorico, snello e completo, utile per chi si occupa dell’ambito e allo stesso tempo accessibile a tutti gli appassionati di fumetti.
L’interesse per questo mondo, per i manga, è nato in maniera accademica o deriva da una passione personale? Cosa è stato che l’ha fatta avvicinare?
Fin da bambino ho disegnato, letto e scritto molto, grazie a un ambiente familiare che mi ha stimolato in tal senso; e ho avuto modo di guardare alla televisione molti disegni animati giapponesi, come una larga parte della mia generazione (sono nato nel 1974). Poi mi sono appassionato al fumetto e all’animazione come linguaggi e forme d’espressione artistica e sono diventato un assiduo lettore sia di fumetti sia di saggistica internazionale su fumetto e animazione in generale. Dopo il liceo ho condotto studi di grafica pubblicitaria (all’Istituto Europeo di Design, a Roma) e sociologici (alla Sapienza, poi il dottorato a Trento), e ho esercitato la professione di pubblicitario per quasi vent’anni mentre procedevo nell’attività accademica e pubblicistica, con la pubblicazione di vari libri, fra i quali Sense of Comics (1998), Mazinga Nostalgia (1999, iv ed. 2018 in 2 voll.), Conoscere l’animazione (2004) e Il Drago e la Saetta (2008). Ho insomma unito l’aspetto professionale delle arti grafiche a quello di studio sociologico e culturale, concentrando queste due prospettive sul fumetto, l’animazione, la pubblicità e i media visivi. Il fumetto giapponese è una parte, importante ma non isolata, dei miei interessi accademici.
Un libro snello, una breve storia del manga, una serie di analisi su alcuni autori. Perché questo libro? È il risultato di uno studio, di un bisogno derivato dalla mancanza di una letteratura del genere?
Il libro contiene molte brevi analisi di autori e opere particolarmente significativi, ma il grosso della trattazione è una discussione storico-critica in senso sociologico e mediologico sui contesti socioculturali e artistici da cui i manga sono scaturiti in Giappone, le influenze dall’esterno che li hanno arricchiti e i codici linguistici che li contraddistinguono. L’ultimo saggio di qualità sul fumetto giapponese edito in Italia è del 2011: I manga. Storia e universi del fumetto giapponese dello storico del Giappone contemporaneo Jean-Marie Bouissou, un libro che io stesso ho voluto fortemente fosse pubblicato in Italia, in qualità di direttore scientifico delle pubblicazioni di saggistica delle edizioni Tunué. In questi ultimi dieci anni sono stati pubblicati vari libretti amatoriali sul manga, spesso assai sgangherati e pertanto completamente inadatti allo studio universitario. Il libro di Bouissou, che è di foliazione sontuosa, è ancora un testo di riferimento importante, che secondo me può e forse dovrebbe essere letto dopo il mio: benché il mio volumetto per Carocci sia breve, o forse proprio per questo, esso è a mio avviso la porta d’ingresso ideale al tema e prepara bene sia gli studenti universitari sia i lettori adolescenti ai tanti approfondimenti, quasi enciclopedici, del libro di Bouissou. Il mio libro spiega dimensioni poco discusse del manga e in tal senso copre vari “buchi” della sua storia e della sua posizione nella società e cultura sia giapponese sia europea (dunque italiana).
Rispetto a questi “buchi” che si ritrovano all’interno della trattazione sui manga, quale pensa sia il più importante da approfondire in questo momento?
Per quanto riguarda eventuali “buchi” che possiamo notare all’interno della discussione sui manga, specialmente nel contesto italiano, ne troviamo uno da riempire il prima possibile, riguardante la digitalizzazione del fumetto giapponese. Non si tratta soltanto della trasposizione delle pagine dal formato cartaceo al formato e-book, pdf, digitale ecc., ma anche della trasformazione semiotica del manga, che viene oggi spesso ideato direttamente per una sua fruibilità sui supporti digitali, i quali hanno schermi più piccoli (si pensi al telefonino) e quindi implicano l’idea di un montaggio delle vignette forse meno variabile e di lettura ancora più rapida rispetto al supporto cartaceo. Purtroppo subentra anche in questo caso, tutto incentrato sul digitale, la componente di una maggiore deperibilità del materiale fumettistico, letterario: una logica usa-e-getta ancora più pronunciata. Negli anni Ottanta e Novanta si era fatta avanti l’idea, anche presso molti lettori giapponesi, che le riviste in formato elenco telefonico, dalla carta porosa e scadente, fossero effettivamente oggetti usa-e-getta. A poco a poco però si era fatta avanti anche l’idea che potessero essere conservati, e con la diffusione dei tankōbon, ovvero dei volumi monografici, l’idea del fumetto giapponese come materiale che resta nel tempo era diventata sempre più vincente. Con il digitale è come se ritornassimo alla logica del consumismo sfrenato e della perdita della memoria, e quindi l’idea di archiviazione del fumetto come materiale da riprendere e rileggere può anche perdersi. A livello digitale infatti è più difficile per un lettore medio recuperare questo materiale, a meno che non li abbia ordinatamente catalogati su un hard disk, cosa difficile, perché c’è un avvicendamento delle opere veramente frenetico.
Infine, altro punto su cui soffermarsi, anche se un po’ se ne parla, ma senza dubbio da tenere sempre sotto osservazione, da discutere, da aggiornare periodicamente è quello della produzione di manga al di fuori del Giappone. Infatti il termine manga noi lo associamo al fumetto prodotto in Giappone da autori giapponesi per un pubblico giapponese, che poi però può venire e viene infatti esportato, perché c’è l’interesse alla pubblicazione da parte delle platee internazionali e di altri mercati, in quanto molto allettante per vari tipi di pubblico. Tuttavia la produzione di fumetti, in molti paesi tra i quali l’Italia, la Francia, la Spagna, la Germania, ma anche altri paesi asiatici, si è alle volte rivolta agli stili sia grafici che narrativi del fumetto giapponese, tanto che si parla di euromanga, ovvero di manga prodotti in Europa, e di mangaka europei, ovvero di autori di fumetti europei che però producono opere usando stili del manga. Stili che possono o imitare in maniera pedissequa o adattare dal manga alla cultura europea determinate caratteristiche grafiche e di racconto, così come anche di strategia sentimentale, nel rapporto tra i personaggi, e tra essi e il lettore. Il concetto è: questi autori scimmiottano oppure il manga è diventato un medium, un dispositivo di racconto, che può diventare qualcosa che va oltre il Giappone? Spesso faccio il paragone con il jazz, perché il jazz oggi è transnazionale o forse a-nazionale: ci sono jazzisti bravissimi in Italia, Francia, Argentina, Giappone, ma nessuno dice che non sia lecito per un italiano fare del buon jazz. Allora forse anche per il manga dovrebbe valere la stessa cosa. Siamo di fronte a un processo ancora in evoluzione, chiaramente, quindi risulta strano indicare autori europei come mangaka: la cosa interessante sarebbe definirli come autori europei di manga.
Leggendo manga contemporanei salta subito all’occhio il vasto uso della simbologia cristiana e di citazioni scritturali (basti pensare a Evangelion, Full Metal Alchemist, Kakegurui). È un fenomeno iniziato recentemente o affonda le sue radici più indietro nel tempo?
La cultura cristiana arriva in Giappone in epoca moderna con missionari europei e ha nell’Arcipelago una storia alquanto tormentata, all’inizio. Nel corso degli ultimi due secoli tuttavia, con i prepotenti innesti di cultura europea e statunitense nelle epoche Meiji e Taishō e l’istituzione di numerosi collegi e università d’ispirazione cristiana (specialmente protestante), l’estetica della cristianità entra nel tessuto socioculturale giapponese, benché spesso a un livello superficiale e quasi folcloristico, spesso decontestualizzato dagli aspetti religiosi veri e propri; si pensi all’industria pseudo-turistica giapponese dei matrimoni “in stile cristiano”, sfarzosi ed eleganti, spesso organizzati direttamente in amene località europee (Germania, Francia, Italia e Spagna in testa). In Giappone, vieppiù, determinati armamentari estetici europei fanno presa su fasce della popolazione in modo esotistico e decontestualizzato tale da apparirci come fuori luogo o addirittura macabro: si pensi alla fascinazione per i cimelî nazifascisti come uniformi, cappelli, armi, stivali, cappotti, medaglie e svastiche (a complicare il discorso c’è il fatto che la svastica originaria è un simbolo buddista, poi ribaltato geometricamente dai nazisti; quindi in Giappone il simbolo, quale che sia il suo orientamento morfologico, non fa orrore come in Europa).
Il risultato è che una moltitudine di simboli e temi religiosi e culturali indoeuropei, non solo cristiani (si pensi alla Kabbalah, dato che lei ha menzionato Neon Genesis Evangelion) sono usati nel fumetto e per estensione nell’animazione, in Giappone, in senso “occidentalistico”, in un capovolgimento quasi simmetrico del noto atteggiamento europeo verso le civiltà asiatiche, chiamato da Edward Said “orientalismo” e da lui discusso estesamente nel suo famoso libro del 1978 dallo stesso titolo. In altre parole, come noi europei spesso esotizziamo l’“Oriente”, così i giapponesi possono a volte esotizzare l’“Occidente”. Questi processi avvengono sia sulle traiettorie ovest → est ed est → ovest (soprattutto la prima) sia sulle traiettorie nord → sud e sud → nord; anche in questo caso, soprattutto la prima, individuata peraltro nel fenomeno del cosiddetto “mediterraneismo”, su cui consiglio un interessante testo di Francescomaria Tedesco del 2017; in tal senso, ci sono diversi manga che oltre a mostrare un’Europa semi-immaginaria con approccio occidentalistico, mostrano differenze notevoli fra la visuale sull’Europa del Nord e quella sull’Europa del Sud: si pensi da un lato a un manga di estremo successo in Italia, Versailles no bara (Lady Oscar, di Riyoko Ikeda, 1972), ambientato nella Francia pre-rivoluzionaria; e dall’altro a Hetalia: Axis Powers (di Hidekaz Himaruya, 2006-13), in cui le versioni antropomorfizzate delle nazioni europee mostrano due atteggiamenti assai diversi nel giocare con gli stereotipi diffusi fra i giapponesi – o almeno, da parte dell’autore di questo manga – circa i paesi nordeuropei e quelli sudeuropei (Spagna, Italia, Grecia in primis). La presenza dell’immaginario cristiano in molti manga, quindi, rientra in un fenomeno più ampio, sia estetico sia occidentalistico, di cui i fumettisti giapponesi sono partecipi, consapevoli o meno. Questo immaginario può essere alle volte esplicito, come quando vediamo in un manga l’esibizione della croce latina o un personaggio pregare (che sia o meno un personaggio inteso come europeo nella finzione narrativa: ci sono molti cristiani praticanti anche in Giappone), o più implicito e basato sulle estetiche della letteratura e dell’arte cristiane, per esempio nel caso del manga Devilman (1972) di Gō Nagai, il quale è un grande appassionato dell’Inferno di Dante e specialmente delle illustrazioni di Gustave Doré, e questo si vede molto chiaramente nel fumetto citato, come anche, più platealmente, nella riduzione a fumetti (o meglio, in illustrazioni dettagliatissime che rimandano direttamente al Doré) della Commedia da parte dell’autore giapponese, pubblicata in Giappone nel 1994-’95 e in Italia a metà degli anni Duemila.
Per quanto riguarda il manga delle origini mette subito in guardia, all’inizio del libro, nei confronti dell’«invenzione della tradizione». Allo stesso tempo nasce una curiosità nei confronti di questo lungo percorso che ha portato ai manga come li conosciamo ora. C’è un momento, un’opera, un autore, a cui possiamo associare la nascita del manga moderno?
Rispondo a questa domanda articolandola in tre parti. Lei chiede se ci sia stato un momento, un’opera, un autore a cui possiamo associare la nascita del manga moderno: parto parlando del momento. Esso è noto ed è il secondo dopoguerra, i tardi anni Quaranta, con l’introduzione del cosiddetto «story manga» di Osamu Tezuka: abbiamo qui l’avvento di un formato narrativo che si articola quasi come un romanzo, cioè in storie intimamente legate tra loro, in puntate nel vero senso della parola. Quindi una storia articolata in capitoli. A noi sembra un concetto scontato, ma così scontato non era negli anni Quaranta né in Giappone né altrove: i fumetti erano quasi sempre organizzati o in strisce o in episodi autoconclusivi. Il lavoro svolto da Osamu Tezuka, in particolare con opere come Ribon no kishi (in Italia La principessa Zaffiro) o Janguru Taitei (‘L’imperatore della Giungla’, da noi noto come Kimba il leone bianco) e soprattutto con Tetsuwan Atomu (Astroboy, il cui titolo originale significa ‘Il fortissimo Atom’), è articolato in story manga, storie in capitoli. Inoltre Tezuka, con Mitsuteru Yokoyama e Shōtarō Ishinomori, forma una sorta di triade sacra per il fumetto di avventura dagli anni Cinquanta ai Settanta: i tre autori resero sempre più sofisticato questo formato del manga per ragazzi.
Fino a questo momento ho parlato del fumetto per ragazzi, ma soprattutto Tezuka sarà attivo con opere di fumetto più maturo, per lettori adulti; ma a proposito di opere vorrei passare da Tezuka a qualcun altro. Io credo che l’opera in generale che ha contribuito fortemente a creare il manga contemporaneo, un manga che andasse al di là della produzione per ragazzi, sia stata la costituzione del manifesto del gekiga da parte di Yoshihiro Tatsumi e i suoi colleghi, come Tadanao Tsuge, Takao Saitō e altri autori (gekiga vuol dire “immagini drammatiche”, quindi fumetti drammatici). Questa modalità fu introdotta negli anni Cinquanta e si sviluppò negli anni Sessanta. Le opere sono tantissime, porrei però in evidenza, intendendola come opera in senso collettivo, la rivista Garo (1964-2002), fondata da Katsuichi Nagai, che pubblicò nel corso degli anni Sessanta e Settanta tantissimi fumetti d’autore nel formato della storia breve: cioè creò una sorta di scena del fumetto indipendente ma pubblicata con grande successo nel formato rivista, che attirò tantissimi lettori universitari. Questa è l’opera collettiva che creò l’humus per il fumetto maturo che si sarebbe sviluppato nei decenni successivi.
Infine, per quanto riguarda un autore a cui possiamo associare la nascita del manga moderno, farei una precisazione: lei scrive moderno tra virgolette, io farei una distinzione tra il manga moderno e quello contemporaneo, privilegiando il termine contemporaneo. Per fumetto moderno noi possiamo anche intendere ciò che è avvenuto tra gli anni Trenta-Quaranta e gli anni Sessanta, arrivando se vogliamo perfino fino ai Settanta. Mi farebbe piacere invece parlare del fumetto contemporaneo. L’autore in questo caso che secondo me è fra quelli di maggiore talento è Naoki Urasawa, sia dal punto di vista grafico sia soprattutto per il respiro narrativo e per i significati che riesce a inserire nei suoi fumetti. Il pubblico a cui egli si riferisce è molto vasto e allo stesso tempo, con i suoi fumetti, è in grado di farlo crescere in maturità e in termini di consapevolezza di ciò che sta leggendo. Di autori di grandissimo talento sia grafico che narrativo e intellettuale in Giappone ce ne sono tantissimi, e si occupano di tantissimi generi, dall’orrore alla fantascienza, all’avventura pura, al dramma psicologico. Per esempio fino a pochi anni fa uno dei grandi decani del fumetto giapponese, anch’egli storico autore gekiga, era stato Shigeru Mizuki, che aveva realizzato opere capitali anche nella brevità foliativa, basate sulla sua esperienza di soldato giapponese durante la Seconda guerra mondiale, come per esempio l’opera Verso una nobile morte, meraviglioso e molto educativo; oppure il già citato Takao Saitō, scomparso proprio quest’anno, che per decenni aveva prodotto la più longeva serie a fumetti giapponese, il thriller cupo Golgo 13 incentrato su un algido e infallibile cecchino e sicario. Ma Naoki Urasawa, con 20th Century Boys, Monster, Pluto e altre opere è veramente, secondo me, uno dei maestri più importanti che sublimano, sintetizzano ciò che è oggi il manga contemporaneo.
L'autore
- Emanuela Monini (1997) si laurea a Perugia in Filologia Romanza con una tesi riguardante le terzine provenzali della Commedia. Ha parlato ai convegni del ciclo Charun dimonio e l’immaginario mitologico dantesco, presso il MANU (Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria), portando le figure di Medusa e della Ruota della Fortuna. Le piace il Signore degli Anelli, e ha deciso di farne un tratto della personalità, si appassiona a problemi filologici ma solo se irrisolvibili, e ogni tanto scrive qualche poesia.
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