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Un’ingenua libertà

“Ci sono decenni in cui non succede nulla,
e ci sono settimane in cui accadono decenni.
Faccio mio questo pensiero di Lenin
perché si adatta perfettamente
a quello che successe a Palata
con l’occupazione del Comune con la lotta per l’acqua”
(Fabio Lemme, p. 58)

“Ormai erano mesi che solo per poche ore al giorno l’acqua arrivava nelle case di Palata. Avevamo fatto manifesti e altre proteste, come quella che feci il giorno di San Rocco quando mi lavai faccia e denti dalla fontanella durante il passaggio della processione, ma tutto questo non aveva prodotto effetti”.

È 1987 e quella per l’acqua sarà una battaglia vinta dalla sezione di Democrazia Proletaria della piccola Palata, 2000 anime in provincia di Campobasso. Ma bisognerà arrivare all’autunno, al presidio davanti alla sede del Municipio, seguito dalla sua occupazione, all’arrivo di giornalisti e della troupe Rai regionale. Il disagio recato dall’impossibilità di utilizzare acqua corrente, senza nemmeno la possibilità di lavarsi, malgrado la ricchezza d’acqua tradizionale per Palata e per tutto il Basso Molise, aveva raggiunto livelli di esasperazione per la popolazione locale, che si era unita quasi spontaneamente al presidio organizzato dalla locale sezione di Democrazia Proletaria (da qui in avanti DP). La dispersione dell’acqua dovuta alla rete idrica fatiscente (più dell’80% si disperdeva per questa ragione), insieme al fatto che milioni di ettolitri di litri di acqua erano stati dirottati verso le produzioni agricole di Puglia e Campania, ne erano la causa. Non una diceria, quindi, ma un dato di fatto. A quanti avevano occupato il Municipio e malgrado lo sciopero della fame, venivano portati cibarie e bevande dai concittadini, a sostenerne la protesta, mentre la gente che si era adunata era pari in numero solo a quella delle grandi occasioni rituali e religiose: a San Rocco, il 16 agosto, e il 13 giugno, per Sant’Antonio da Padova. Un Comitato Popolare per l’acqua, anche con i paesi limitrofi, nasce da quella protesta e dal consiglio comunale straordinario finalmente convocato con la partecipazione di consiglieri comunali ed esponenti del PCI interessati a non perdere altri consensi.

Il 22 ottobre la Giunta Regionale deliberava il finanziamento per il rifacimento della rete idrica.

“Non si può essere Verdi se non si è Rossi”: non solo l’acqua, ma tutte le lotte ecologiste erano allora considerate capaci di mettere in crisi il modello capitalista di produzione poiché il Mercato e gli interessi privati non erano giudicati idonei a risolvere le questioni ambientali, distruggendo al tempo stesso la natura tutta, insieme alla natura umana. Così DP ereditò a Palata la lotta antinucleare iniziata nel 1978, contro il PCI e con la difficoltà di chiedere una riconversione agli operai che intanto trovavano lavoro al polo chimico ed industriale di Termoli. Ma il disastro di Bhopal risuonò fino al basso Molise, dove la Witco era di proprietà della stessa Union Carbide il cui stabilimento era stato coinvolto dal disastro del 3 dicembre 1984.

E che questione ambientale e pacifismo siano strettamente collegati lo dimostra il fatto che le fabbriche del polo chimico termolese erano atte a produrre anche armi chimiche: nel 1986 i fatti di Chernobyl e poi, a due passi da Palata, il ritrovamento di 100 fusti di rifiuti radioattivi nella vicina Castelmauro, proprio al centro dell’abitato, legittimarono le rivendicazioni del movimento contro il nucleare di cui DP era un’avanguardia e sensibilizzarono la popolazione, cosicché il 18 ottobre di quell’anno 5 mila persone parteciparono a Termoli alla manifestazione contro le industrie chimiche (malgrado queste fossero sostenute da DC e sindacati).

L’anno dopo, DP era in prima linea contro il nucleare e le battaglie che interessarono tutta Italia, e in basso Molise DP palatese ne fu forza trainante (oltre che unica forza politica presente tra quelle che promuovevano il referendum).

Prima di allora, i “ragazzi di Palata” (classe 1963 il più grande, 1969 il più giovane), avevano partecipato o dato vita a molti altri eventi da quando avevano scelto di aderire a DP. Un’adesione che risale al 1982 ma che era maturata negli anni precedenti.

L’11 settembre del 1983 – prima che l’11 settembre diventasse quello della generazione successiva e delle Torri gemelle – per i 10 anni dal golpe militare di Pinochet in Cile, i ragazzi di DP avevano organizzato un corteo, il primo corteo, seguendo un po’ il tracciato delle processioni cittadine, dall’incrocio al “bivio” del paese, per terminare in piazza San Rocco, la piazza della chiesa del Santo Patrono, che affaccia in maniera caratteristica sul corso principale e dove, fino a pochi anni fa, incombeva anche il carcere, proprio di fronte alla chiesa.

Poi il 13 ottobre 1985, a 18 anni esatti dalla morte di Ernesto Che Guevara, un’altra manifestazione, stavolta a sostegno del popolo del Nicaragua e di tutte le lotte di liberazione dei popoli latino-americani e di quello e palestinese. Eppure per autorizzare la manifestazione nella piccola Palata fu necessaria un’interrogazione dei parlamentari Franco Russo e Guido Pollice, perché il maresciallo del paese non voleva che la manifestazione avesse luogo. E nella cornice della piazza del Santo Patrono il sit-in si tenne: alla presenza di Carabinieri, degli agenti della Digos di Campobasso, di agenti dell’antiterrorismo giunti per l’occasione da Roma.

Il richiamo internazionalista, per i giovani di DP, guardava all’esperienza sudamericana, specialmente alla Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, con una forte componente utopica, attraverso un socialismo contaminato con la Teologia della liberazione: e mentre da una parte Papa Woytila prendeva posizione pubblicamente contro la Teologia della liberazione e i preti della rivoluzione, dall’altra Reagan armava i gruppi paramilitari dei contras che attaccavano il Nicaragua. Il 1986 fu anche l’anno del viaggio in Nicaragua, dove una delegazione partecipò all’inaugurazione di una scuola per l’infanzia intitolata a Luca Rossi, il giovane di vent’anni militante di DP ucciso da un poliziotto a Milano proprio il 23 febbraio di quell’anno. Erano i tempi del mito della solidarietà tra i popoli, della tutela delle minoranze, della parità tra i sessi, della richiesta di smilitarizzazione, del pacifismo e dell’ambientalismo.

Ma furono anche gli anni che portarono a sperimentare sulla propria pelle l’impatto della legislazione di emergenza contro i reati di terrorismo, con la deroga allo stato di diritto. La “pratica dell’emergenza” come forma di governo: del conflitto sociale, innanzitutto, e di altre istanze sociali, delegando alla magistratura, in nome della legalità, e attraverso la promulgazione di leggi speciali che criminalizzavano le istanze politiche divergenti rendendole quindi illegittime, temi che dovevano essere invece oggetto di rappresentanza politica.

Anni che portarono a conoscere le situazioni difficili dentro le carceri, in particolare il regime differenziato per i detenuti politici, con particolare accanimento sulle donne, con le ripercussioni sui familiari a cui venivano talora negati i colloqui. “Né con lo Stato, né con le BR” era lo slogan che in tanti ricordano. Né con ogni forma di lotta armata alla quale non era riconosciuta nessuna capacità rivoluzionaria e costruttiva.

È il racconto collettivo di un decennio attraverso le testimonianze dei ragazzi di DP nella piccola Palata, dal 1980 al 1989. Filo conduttore e narrante le parole di Italo Di Sabato, classe 1963, ideatore del progetto dopo che nel febbraio 2020, mentre partecipava ad Atene ad una serie di iniziative di realtà locali che denunciavano la repressione in atto e l’arresto, in Val di Susa, dell’attivista No Tav Nicoletta Dosio, si trovò, incredulo, davanti ad un poliziotto in borghese che presidiava l’Ambasciata italiana che riconobbe il lui uno dei militanti di DP che girava nei paesi del circondario a fare comizi: il sorriso dell’essere stati giovani insieme in paesi vicini ha reso cogente la necessità di raccontare una storia che non era stata raccontata. Dopo lo scioglimento di DP Italo Di Sabato confluirà in Rifondazione Comunista, di cui sarà segretario regionale in Molise e Basilicata e poi dal 1995 al 2006 consigliere regionale. Oggi è coordinatore dell’Osservatorio Repressione ed attivista a Campobasso della Casa del Popolo.

È il racconto di un decennio che inizia nel 1980, con i morti di Ustica e Bologna, le vittorie di Reagan e la Thatcher e l’incalzare delle politiche neoliberiste, fino al piano di ristrutturazione della Fiat e l’espulsione di 24.000 lavoratori (interessando anche lo stabilimento di Termoli), e che si chiude nel 1989 con piazza Tienanmen e la caduta del Muro di Berlino. Sono gli anni in cui si fanno strada parole come austerità, esuberi e tagli di manodopera, competitività, finanza e borsa: un mutamento di paradigma che sotto la vernice della necessità economica nascondeva il germe di un capitalismo aggressivo e oligarchico, sostituendo ai diritti nuove merci-simbolo. E così via via, smarrita la consapevolezza dei processi di produzione, mutato il lessico, si smise di parlare di padroni, che divennero imprenditori e il modello verso il quale aspirare.

Ma il 1980 fu anche l’anno del terremoto in Irpina, quando alle 19,34 del 23 novembre la terra tremò forte anche a Palata, e con i seimila morti si portò via anche Enrico, giovane palatese sepolto dalle macerie di un bar a Mirabella Eclano, in provincia di Avellino, dove viveva, lasciando una inconsolabile madre ad onorarne la memoria. Ma Palata, ancor prima di sapere della sua morte, aveva organizzato rapidamente gli aiuti, prima ancora delle parole del Presidente Pertini che denunciava l’assenza nel Paese della capacità di un aiuto istituzionale adeguato. Democrazia Proletaria e Autonomia Operaia oltre ad offrire sostegno concreto denunciarono ruberie ed ammanchi nelle zone già provate dalla durezza della distruzione: per questo, furono oggetto di discriminazioni e mandati via mentre la popolazione ne apprezzava l’operato. Un’economia della catastrofe che fu l’affare per camorra e altre forme di malaffare, a Sud come a Nord, nutrendo con i soldi della ricostruzione sfruttamento e clientelismo da una parte, bisogno di comunismo dall’altra.

“Gli anni ottanta sono gli anni di una nuova ondata del movimento per la pace e la lotta al nucleare. […] In quegli anni Comiso diventa la capitale del pacifismo. Proprio lì dovevano arrivare i missili nucleari Cruise.” La NATO nel dicembre 1979 aveva deciso di dispiegare 572 missili nucleari a media gittata (Pershing e Cruise) in cinque paesi dell’Europa Occidentale: Olanda, Gran Bretagna, Germania, Belgio e Italia. Il pacifismo è una delle motivazioni che portano a scegliere l’adesione a Democrazia Proletaria, nel 1982. A fine luglio 1983 la partenza per Comiso, dove accanto all’aeroporto militare era sorto l’IMAC (International Meeting Against Cruise) con manifestanti arrivati da tutt’Europa: che qui conosceranno anche la brutale repressione poliziesca.

Palata diventa intanto l’unico nucleo di Democrazia Proletaria in Molise e punto di riferimento.

Democrazia Proletaria come superamento della Dittatura del Proletariato mentre nel panorama locale Piazza San Rocco diventa una piazza Rossa, e la bandiera del Che è sventolata come un santo protettore.

Molti erano stati i comizi nelle piazze vuote fino alle elezioni politiche del 1987 quando DP divenne la terza forza politica di Palata, dopo DC e PCI. A sostenerli erano stati anche contadini che regalavano prodotti della loro terra per le campagne di autofinanziamento.

Erano anni non privi di contraddizioni: mentre il sistema elettorale basato sul proporzionale puro garantiva rappresentanza pressoché a tutte le istanze e mentre si faceva strada l’obiezione di coscienza al servizio militare come possibilità per esprimere antibellicismo ed antimilitarismo, si registravano altresì il taglio della scala mobile, e la diffusione di vecchie e nuove droghe come anestetico sociale e costruzione di immaginari artificiali verso cui fuggire ma del tutto inefficaci sul piano dell’azione politica.

Ma quello era anche il decennio della classe operaia di Danzica, di Nelson Mandela e della lotta contro l’Apartheid in Sudafrica, della prima Intifada palestinese, di piazza Tienanmen, del muro di Berlino e della questione dei desaparecidos in Cile e in Argentina. Al bar di Domenico Vitulli venivano proiettati film e documentari di controinformazione o almeno di informazione alternativa, guardando alla generazione precedente e alle loro manifestazioni per il Vietnam. Quella che però in quegli anni sembrava una liberazione dalle barriere, fisiche ed ideologiche, preparava in realtà la strada al capitalismo selvaggio.

Dovremmo leggere tutti questo racconto collettivo fatto di testimonianze di giovani nati troppo tardi per fare il ’68 (o il ’77) ma che, negli anni ’80, credevano ancora di poter cambiare il mondo da quel piccolo insediamento abitativo che contava all’epoca circa 2000 abitanti: Palata, in provincia di Campobasso, con vista sul mare Adriatico da cui dista meno di 30 chilometri su un versante, Maiella e Matese sugli altri.

Quasi un’etnografia di una declinazione locale di tematiche globali che ne rimangono sempre il costante orizzonte verso cui guardare, con il bar di Domenico come luogo di dibattito e proiezioni di documentari e filmati d’avanguardia, di sperimentazione televisiva, di musica dal vivo e di riflessioni su garantismo, movimenti libertari, pacifismo ed antimilitarismo, per il disarmo e contro il nucleare, che con il registro dell’ironia destrutturava linguaggi dominanti e decostruiva estetiche del potere.

Un potere guardato sempre con sospetto, non voluto né cercato.

Un libro che scrive in modo facile cose difficili, a metà strada tra la scrittura politica di Ignazio Silone e Il racconto del Vajont di Marco Paolini, per la tensione anticipatoria dei fatti.

Nel 1982, quando i giovanissimi di Palata aderiscono a DP sono passati solo quattro anni dall’uccisione di Peppino Impastato, che di DP era stato esponente (esattamente lo stesso tempo che era trascorso dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro, è noto, dietro il quale per anni è rimasto troppo nascosto quello del giovane di Cinisi). Meno di 15 dall’uccisione di Ernesto “Che” Guevara dall’altra parte del mondo e presto diventato icona per ogni riscatto e rivoluzione, meno di 7 dall’uccisione di Pier Paolo Pasolini e meno di 18 da quei fatti che ebbero inizio a Palata e che sono arrivati, tra le pagine di Maria Grazia Calandrone, alla finale del Premio Strega (Dove non mi hai portata, Einaudi, 2022; ma già il racconto è avviato in Splendi come vita, Ponte alle grazie, 2021).

DP si scioglie nel 1991. Dieci anni dopo il movimento antiliberista ha invaso le strade di Genova mentre si imponeva il modello neoliberista.

“DP di Palata mi è sempre stata molto cara”, scrive Giovanni Russo Spena nella Prefazione. “Quei giovani hanno anticipato i movimenti no global, hanno praticato, nei fatti e nelle elaborazioni, non in maniera accademica, un altro mondo possibile”.

Alcuni sono andati via, in Germania, lasciando la militanza attiva ma non i valori che avevano animato il loro impegno politico, portato avanti in seguito e in qualche maniera dagli altri giovani di quel decennio glorioso.

“Non c’è dubbio, abbiamo perso”, scrivono. L’umanità ha perso, oggi che l’1% della popolazione mondiale detiene il 70% delle ricchezze. “Forse attribuivamo alla volontà una potenza che non possiede: la volontà può pochissimo” dice Angelo Lamelza. Eppure, quella è stata una grande esperienza di libertà, democrazia, sperimentazione, proprio perché l’obiettivo non era la conquista di posizioni di potere: “Eravamo liberi proprio grazie alla nostra ingenuità”.

antonietta.divito@tiscali.it

L'autore

Antonietta Di Vito
Antonietta Di Vito
Antonietta Di Vito, specialista in antropologia e didattica dell’italiano come L2, lavora nel campo della ricerca sociale e della formazione. Si è occupata di questioni classiche legate all’antropologia economia, dall’antiutilitarismo al dono, di etnografia scolastica e temi di antropologia della salute e della malattia. È autrice di diversi saggi e monografie. Si segnalano: Dono ed economie informali. Saggi di Antropologia economica, Roma, (2008) “Un antropologo nella scuola: dall’assimilazionismo all’intercultura” in AA.VV. Identità mediterranea ed Europa. Mobilità, migrazioni, relazioni interculturali, CNR-ISSM Istituto di studi sulle società del Mediterraneo, (2009); “La smart city come nuova utopia urbana”, nel volume collettaneo, Abitare insieme. Living together, Napoli, CLEAN Edizioni (2015). Ha inoltre tradotto inoltre Alfred Métraux, “La commedia rituale nella possessione” (Antropologia, Anno I, n. 1, 2011) e  Marc Abélés, Politica gioco di spazi, per Meltemi, Roma. (2001). Nel 2021 ha pubblicato per i tipi de La Bussola La teoria della carruba. Con brevi accenni a come non ho imparato a cucinare, a carattere narrativo.