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Lettera a Francesco Fiorentino a proposito del suo romanzo “Cinque giorni fra trent’anni” 

L’immagine di copertina è di Enrico Pulsoni

Caro Franco,

questa settimana ho letto per la seconda volta con piacere e divertimento il tuo romanzo. Sarò di parte, ma mi è molto piaciuto. Intanto mi ha un po’ spiazzato, e dunque incuriosito per come è costruito, sei riquadri al femminile, non autonomi e staccati, ma a incastro e a rimandi. L’autore è un uomo che ama le donne (piccola citazione), e uso non a caso il presente per adeguarmi al testo che l’utilizza con l’effetto di velocizzare la narrazione, costringere il lettore a riallacciare i fili che muovono, intrecciandosi tra loro, i personaggi “in praesentia”. Scrittura, ma ne ero sicura, piacevolissima, che scivola bene, rilancia, sorprende per alcuni colpi di scena ed esiti finali che non ti aspetti. Perle di formule-sentenze: «Le cose perdute sono quelle che non si sono fatte (Vero)». Il titolo intrigante suggerisce una dimensione temporale incerta da esplorare (potessi vivere cinque giorni fra trent’anni per sapere… Magari). Comincia il romanzo 30 anni dopo, e leggendo si va all’indietro. Agli anni ’70, tempi degli studi universitari, delle aggregazioni amicali, delle inevitabili competizioni, rivalità, gelosie, dei tradimenti, degli amorazzi e delle scopate facili che poco coinvolgono ma fanno parte della formazione presunta «libera» della nostra giovinezza e della ricerca e sperimentazione di sé. Mi intenerisco quando leggo di vita studentesca, assemblee, tesi, borse di studio, Parigi, biblioteche, la fila alle 9 per entrare a Richelieu: è la mia e la nostra storia. Mi è mancato però allora il Maestro che sa insegnare, far funzionare la mente e cambiare la prospettiva di visione.

Personaggi: quelli maschili sono un po’ sfocati, cercano di “capire” la creatura donna ma poco ci riescono, malgrado la spinta a conoscere (le désir de connaissance, Montaigne). Sono curiosi della femminilità, attenti ai dettagli del trucco, della pettinatura, dei vestiti, della dimensione del seno, della linea delle gambe (belle quelle di Roberta), della tipologia delle scarpe, con preferenza per i tacchi vertiginosi.

Si ha l’impressione che la sfera femminile e quella maschile, che la desidera, l’insegue e vorrebbe afferrarla, siano destinate a rimanere separate. Non c’è reciprocità e scambio tra i due mondi, anche quando si fa sesso, per lo più stanco, svogliato, che ha bisogno per essere sollecitato del condimento di qualche perversione e violenza funzionali. Ma donne e uomini sono ugualmente crudeli… Mi ha incuriosito la dimensione filosofica-giuridica. Arturo, narratore discreto e reticente, è un serio giudice, si pone tanti interrogativi, “nota”, ragiona, dubita, non ama ma si emoziona; solitario, ha il complesso dell’escluso-estraneo, si percepisce debole e vulnerabile, non è un titolare appunto ma un supplente. Adulto, è il tipo dell’indifferente a-patico, uno che si lascia fare, un agìto disinteressato, fatalista: uno “strano”. Mi piace.

Guido un po’ stereotipato, bello, intelligente, fascinoso, spregiudicato, vestito di nero e di pelle. Umili origini, tra l’arrivista e l’avventuriero. Meno male che non è tanto alto (come Julien…). Uno che ci sa fare, guarda lontano e si emancipa dal presente, non permeabile all’amore presume di impersonare il Destino. Non empatico.

Carla bel culo non si sente apprezzata, tratta gli uomini con disprezzo; Lea mite gentile, Pigmalione di Giuliano, esercita il suo potere di classe su di lui; Emilia modesta opportunista; Roberta in tubino nero adombra le famigerate cene eleganti, parla poco, incute soggezione, ma vive nel presente; Ada prova a usare, addomesticare un uomo inafferrabile con tatticismi e il gioco della seduzione sessuale. E Irina? Cammeo incisivo, come trasformare Cenerentola, con potere da demiurgo, in apparente elegante signora grazie agli abiti (sempre sognato lo smoking YSL).

Tuoi i luoghi del cuore: Napoli, Ischia, Palinuro, con accompagnamento dei melodici d’allora («Champagne per brindare a un incontro, ma tu eri già di un altro») ma anche Venezia, e certo Paris del francesista (Voltaire, Constant e Adolphe, stupenda l’estrema sintesi: lui un fighetto, Ellénore una pizza – ma lascia una lettera di morte accusatoria, colpevolizzante, carica di acrimonia, come Carla -; e ancora Stendhal, la maladie d’amour, Balzac, Flaubert). Mi chiedevo se a qualche personaggio tu abbia attribuito e riadattato ai moderni dei tratti propri di jeunes hommes ed eroine di letture predilette. O di donne che hai incontrato. Hai lavorato sulle iniziali dei nomi dei personaggi o sono casuali? Ma non mi devi rispondere, rispetto i segreti dei romanzieri.

E per tornare all’inizio: il presente non presuppone il futuro; si conserva meglio il passato senza lasciare che venga corrotto dal presente; il passato è passato ma il presente non ha consistenza, e non si aspetta nulla dal futuro… Che vertigine, amico mio, del cuore e dell’esprit. Grazie, con l’augurio che il romanzo voli in alto, ti porti soddisfazione, gratificazione, e il profumo del successo.

Abbraccio forte

 

L'autore

Anna Maria Scaiola
Anna Maria Scaiola è stata Professore di Letteratura francese alla Sapienza – Università di Roma. Ha pubblicato tra l’altro saggi sulla cultura romantica, sul romanzo dell’Ottocento, su Hugo, Sainte-Beuve, Chateaubriand.