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Luca Luchetti, Una cometa come meta

Luca Luchetti, Una cometa come meta
Inaugurazione sabato 23 marzo 2024 alle ore 11.30
Ex AutoPalazzo, Piazzale San Michele – Mogliano
La mostra sarà visitabile fino al 4 aprile 2024

Segno, gesto e parola: tre elementi fondamentali dell’estetica. Elementi indissolubili della percezione, tanto cari ad un certo fermento artistico italiano (ma non solo) di un paio di generazioni fa, guerrieri del quotidiano che specchiandosi in esso trovavano l’infinito di uno stare al mondo sempre più frammentato e sconclusionato tra l’incudine e il martello di una realtà complessa e labirintica, apocrifa eppure bellissima. Per quanto antieroici nell’essenza, con il senno di poi possiamo dire che sono stati gli ultimi guerrieri indomabili, sul ciglio del precipizio della postmodernità, gli ultimi poeti integrali, semplici nella coscienza di un’analisi a levare, archeologi dell’anima. Luca Luchetti, nella sua produzione fatta di attese e lampi, seguendo il tempo del pensiero, nell’azione poetica naturale, un po’ rimanda a loro, in uno strabismo artistico che invece di risolversi nella resa alla fluidità dell’esistenza, rintocca il vitalismo del collage, la delicatezza del classico, come le sue tanto care stelle, che sembrano essere cadute, ondeggianti, con la leggerezza del foglio di carta, per essere inchiodate-immaginate, vive nella loro pulsione romantica, al simulacro di un cielo sereno, per divenire dedica, punto fermo, opposizione alla prassi. Luchetti è scenografo, e come non notarlo? Dagli stralci dei fondali celesti alla rappresentazione delle nappe come sineddoche, dall’attenzione fissa allo spazio (non solo fisico) allo sguardo errante, tutto è prossemica. Ogni singolo contrappunto, ogni singolo lavoro, incorniciato dallo stesso Luchetti, faber dell’intero processo, è boccascena di un discorso sottovoce che raccoglie tutta la mostra, gioiosa e giocosa poetica degli affetti universali, flebile arte del pensare al mondo con un’attitudine generativa, elegante e mai debordante, semplice come il divampare di un’emozione. I segni, che risplendono di un’essenza culturale perturbante che vaga tra il significato del chiodo e quello della stella, nel punto più umano che possiamo mirare con la mente tra il sacer e il sanctus, collassano nella totalità della mostra, nella ricerca della stella cometa, il suo balenio che voltandosi dalla natura abbraccia il senso culturale assoluto, nell’attimo di un pensiero che si fa senso del dono, e quindi del donare, e dunque del vivere. I gesti risuonano come azione pensata, che ad eccezione di un’unica opera, si traduce sempre nel gesto sbarazzino – trova senso nella giustapposizione di piani che non si fondono mai, virandosi in rebus – e profondo – trova senso nella divisione vitale del piano che si sporca d’aureo con un movimento che di per sé già rispecchia il dono – del collage. Il rivoluzionario pensiero-azione, gestalt per eccellenza che non si risolve nell’addizione ma che insieme sborda sul tutto. Le parole, che alla mano, al braccio, al corpo, sostituiscono il movimento interiore, quello organico e sfaccettato per pensare il pensiero e soprattutto per comunicarlo. Sono melodia dell’essere, gioco della comunicazione, sottolineati da Luchetti con i cartigli, oggetti-rappresentazioni che trasportano il messaggio che a volte scivola nella tautologia, altre rimbomba nel senso. Tra un Pop sfaccettato e un senso d’azione che sfiora la poesia visiva, l’azione veloce quanto il pensare, il gesto concreto, il pensiero di fatto, siamo trafitti da simboli e segni, e soprattutto stelle, nude di certezze cartesiane e splendenti di un empirismo interiore tanto romantico quanto ingenuo, stelle in cui specchiamo noi stessi e gli altri, nell’affetto, nel desiderio, nell’amore, nella vita, così come ci specchiamo nell’infinità della volta celeste, quando miriamo al cielo, che con le sue pause, i suoi punti luminescenti, sembra un collage cosmico fatto di quegli affetti, quei desideri, quegli amori, quella vita (Fabio Giagnacovo).

C’è un mestiere siderale nelle opere di Luca Luchetti, uno stare piantato all’altezza delle stelle pur abitando la materia umilissima, terrestre della carta, delle matite e dei pennarelli, con le quali lui fa coloratissimi pioli per la sua scalata al cielo. Rigattiere di comete come ultime, scintillanti parole nella notte dei segni, Luchetti costruisce e disfa il suo mondo di opera in opera: lo crea e lo smarrisce, lo gioca con la leggerezza del teatro di figurine, come in una recita d’oratorio di un qualche paesino d’infanzia. E    ricorda così che niente è davvero perduto: cade la cometa, e cadendo si salva, spande nel mondo la sua polvere luminosa,  il suo sogno ancora celeste (Giorgiomaria Cornelio).