Il ritratto fotografico è di Alessia Bottaccio
Ragozzino è un artista che, pur essendosi sentito sempre tale, ha dapprima indirizzato la propria vita verso un porto più sicuro laureandosi in Biologia ed esercitando la professione fino all’altolà, cui non ha potuto e voluto più sottrarsi. Sono poche note ma sufficienti a presentare Luciano Ragozzino, un artista poliedrico e molto conosciuto, il quale si è potuto dedicare a ciò che gli “ruggiva” in petto dopo un percorso che lo ha visto dapprima utilizzare la propria laurea in un avviato laboratorio di analisi. Ma, ubbidendo alla passione, contemporaneamente all’esercizio della sua attività, Ragozzino si iscrive a Brera, dove consegue il diploma alla Scuola Superiore degli Artefici, specializzandosi nella tecnica dell’acquerello. Non pago dei risultati ottenuti, frequenta il Civico corso di Arti Incisorie divenendo un abilissimo calcografo. Abbandonato il lavoro in camice, non è tuttavia venuto meno ciò che la formazione accademica gli aveva permesso di privilegiare: Ragozzino ha spostato l’ottica dal microscopio all’arte dell’intaglio. Fra i vari temi della sua ricerca brillano infatti gli insetti, e altri animali che Ragozzino ha saputo interpretare con la sua proverbiale ironia. Api, farfalle, mosche, soprattutto mosche, ma anche topi e cavalli, sono i protagonisti di un bestiario animato che serve anche per uscire fuori dalle convenzioni. Da buon entomologo ed etologo, Ragozzino studia fino in fondo le sue creature, dispiegando grande abilità nell’abbinarle ai propri testi, e a quelli di altri poeti che lo inseguono. Gli incontri avvengono nelle mura della ex gelateria di via Guinizelli a Milano – la rive gauche meneghina come viene chiamata -, dove ha il suo laboratorio, la sua officina e anche l’abitazione. Ragozzino è un artista a tutto tondo. Non è infatti solo incisore, ma anche autore e svolge altresì un altro ruolo: è editore di sé medesimo ma anche dei manufatti di suoi poeti e letterati; gestisce il bulino come i caratteri mobili, ovvero è la personificazione di un diluvio di idee e realizzazioni, è un fiume in costante agitazione.
Ti ho presentato dicendo che sai essere artista, autore di testi, ma pure editore, intendendo il termine nella sua vera accezione, ovvero di colui che sceglie le opere da stampare, le cura e si propone di diffonderle accollandosi, il più delle volte, anche l’onere delle spese. Sai dirci come hai scoperto queste tue “vocazioni” e come ora ti destreggi nell’una come nell’altra attività?
Molto prima di iniziare la mia attività di (micro) editoria, ero già attivo come artista-incisore: conoscevo alcuni piccoli editori con i quali collaboravo accompagnando con mie incisioni i testi delle loro pubblicazioni. Tra questi, determinante è stata per me la conoscenza con Alberto Casiraghy e con le sue famosissime edizioni Pulcinoelefante.
Frequentando la sua stamperia a Osnago, ho subìto il fascino di quella atmosfera di creatività, unita all’abilità manuale, che sta dietro alla stampa di un testo – seppur breve – composto con i caratteri mobili. Questo è stato senza dubbio all’origine della mia successiva avventura di tipografia e più che di “vocazione” parlerei quindi di una forte influenza di altrui esperienze. Poi, la circostanza fortuita di imbattermi, nel laboratorio di un tipografo che chiudeva l’attività, in una vecchia macchina tipografica destinata alla demolizione e soprattutto la disponibilità di uno spazio a pianoterra (i locali di una ex fabbrica di gelati artigianali) attiguo alla mia abitazione, sono state condizioni determinanti a spingermi a intraprendere a mia volta la stampa a caratteri mobili.
Ho stabilito inoltre fin dall’inizio di legare strettamente tipografia e stampa calcografica: in ogni edizione de ”Il ragazzo innocuo” gli autori, siano essi scrittori/poeti o artisti, devono sottostare alla conditio sine qua non di eseguire un’incisione che accompagni il proprio testo. Inoltre mi sono riservato uno spazio personale (nella collana dei “Fuori collana”) dove le mie incisioni accompagnano i testi dei vari autori. Ecco quindi che le due attività, quella di micro-editore e quella di artista-incisore, non sono in competizione, bensì in stretta collaborazione.
Sei incisore ma anche tipografo. Nel primo caso come lavori le lastre, usando solo l’incisione indiretta, l’acquaforte o anche altre tecniche derivate? Ti affidi alla puntasecca per rifinire le tue matrici? Come tipografo, componi da solo a mano i tuoi testi o preferisci affidarti a un mono/linotipista? Nell’architettura delle tue pagine, molto libere eppure intrinsecamente solide nella struttura, hai un modello del passato o una private press che ti ha particolarmente influenzato?
Dell’ampio ventaglio di tecniche calcografiche utilizzo principalmente la tecnica dell’acquaforte, che trovo più adatta al mio modo di esprimermi. Utilizzo lastre sia di rame sia di zinco e talvolta all’acquaforte unisco interventi in acquatinta o vernice molle, ma una volta terminata la morsura in acido e la verifica della prima prova al torchio, non “correggo” né rifinisco la matrice con la puntasecca. Se non sono soddisfatto del risultato, preferisco un nuovo intervento incerando la lastra, usando ancora la punta e procedendo a una nuova morsura. C’è poi da fare una considerazione di carattere pratico: le “tecniche dirette”, puntasecca o maniera nera, che pure ho sperimentato, mal si prestano a tirature che, per le mie edizioni, sono di diverse decine di esemplari. Infine, come tecniche dirette, però “in rilievo”, utilizzo spesso, soprattutto per interventi sulle copertine, linoleografia e xilografia, quest’ultima sempre su legno di filo, con l’utilizzo di coltelli e sgorbie.
Per quanto riguarda la tipografia, compongo quasi sempre i testi a mano, utilizzando i caratteri (usati) recuperati dalle tipografie che, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 chiudevano le attività o adattavano i loro laboratori alle nuove tecnologie di stampa. Naturalmente posso comporre testi relativamente brevi, dato il numero limitato di queste dotazioni di recupero, per cui, nel caso, piuttosto raro, di testi più lunghi, mi avvalgo delle composizioni di un amico linotipista, purtroppo rimasto l’ultimo a operare, perfino in una grande città come Milano; essendo poi già avanti con l’età e non trovando nessuno che lo sostituisca, è chiaro che tale opportunità è destinata a esaurirsi.
Sull’architettura delle mie edizioni, non seguo particolari modelli, se non che, forse un debito di ispirazione per quanto riguarda il formato delle due collane complementari “Scripsit-sculpsit” e “Sculpsit-scripsit” (destinate la prima agli scrittori e la seconda agli artisti), lo devo all’amico Fabrizio Mugnaini (edizioni Luna e gufo) e alla forma quadrata delle sue eleganti e raffinate edizioni. Invece la forma e il formato molto diversificati della terza collana (Fuori collana) sono dovuti, forse meno prosaicamente, all’utilizzo “ottimizzato” della carta: è importante evitare il più possibile gli sprechi, trattandosi di materiali di pregio realizzati manualmente dalle poche cartiere ormai superstiti e ancora attive.
La tua ironia va coniugata ai testi di cui sei autore ma anche a quelli altrui, di cui sei fervido e abilissimo interprete. Si potrebbero citare molti abbinamenti nella tua ricca carriera artistica. Colgo il più importante, ovvero quello che da anni ti lega ad Alberto Casiraghi e ai suoi aforismi, ma non solo. Potresti dare ai lettori qualche ragguaglio su questo particolare, saldissimo rapporto?
Il rapporto con l’amico Casiraghy si è concretizzato a tutt’oggi in circa duecentotrenta “pulcini” in cui appaiono le mie incisioni (tutte da sempre in tiratura di 33 esemplari per ogni libretto). Di questi, un gruppo di circa ottanta titoli riguarda aforismi dello stesso editore e, quando Alberto me ne propone uno, mi sforzo il più possibile di “tradurre” graficamente il concetto da lui espresso, in modo che testo e immagine risultino intimamente legati, in una sorta di “simbiosi mutualistica”: ciascuno dà qualcosa all’altro e contemporaneamente qualcosa ne riceve. Per raggiungere questo scopo faccio ricorso alla metafora, all’iperbole, al luogo comune, al non sense, il tutto legato da un ironico filo conduttore che ci fa entrambi divertire, lui scrivendo e io disegnando, in questo annoso gioco di “senilità infantile” o meglio di “infanzia senile” come ci piace definire e che caratterizza questo nostro lungo (e in progress) sodalizio.
Spesso scegli la natura come oggetto delle tue ricerche, ma una natura minima, quasi invisibile, riuscendo a far diventare quasi eroica anche la morte di una zanzara. È evidente che i tuoi primi studi ti hanno in qualche modo indirizzato verso il minuto, l’inconsistente e che, un po’ come il tuo amico Casiraghi, ti sei appassionato alle vicende minime con un rispetto “religiosamente laico” per tutte le forme di vita. Quanto studio per l’anatomia di insetti c’è nella tua ricerca e quanto invece gioca l’osservazione nella tua visione lucida sempre ironica ed estremamente puntuale?
Al corso di laurea in Scienze Biologiche a cui mi iscrissi presso l’Università di Pavia, si potevano allora scegliere diversi ”indirizzi” (sostituiti oggi da percorsi di formazione molto specialistici). La passione per gli animali in generale, e per gli insetti in particolare, mi fece approdare all’Istituto di Entomologia, dove si studiavano le “secrezioni” (difensive e offensive) di varie specie di Insetti e di Aracnidi. Anche lì venne a galla la mia propensione per il disegno e in breve mi fu affidato il compito di disegnare, per le pubblicazioni dell’Istituto, molte tavole di insetti oggetto di quelle sperimentazioni. Questo è stato l’imprinting per cui ancora oggi sono attratto e affascinato dalla per me meravigliosa architettura e estrema variabilità di questi animali, piccoli solo per dimensioni, ma spesso grandiosi nelle loro peculiari performances. Le loro caratteristiche morfologiche ed eto/ecologiche sono per me fonte di grande ispirazione e spesso tendo a evidenziarne i caratteri rapportabili e compatibili con le vicende umane.
Alla rivalutazione della grafica e, si spera, alla sua definitiva rinascita, stai contribuendo in tutte le direzioni dei tuoi numerosi percorsi. Per soffermarci sulle tue incisioni, soprattutto su quelle calcografiche, potresti dirci come si concilia la creatività con l’interpretazione di ciò che ti viene proposto? Come avvengono le tue scelte fra quanti ti propongono loro lavori? Prediligi la poesia o il racconto?
Alla prima parte di questa domanda credo di avere già risposto riguardo al mio metodo di lavoro sugli aforismi di Alberto. Per quanto riguarda la scelta degli autori, c’è da parte mia una grande libertà, siano essi poeti o artisti e tale libertà è anche conseguenza del fatto che con loro non è prevista alcune transazione di tipo economico: infatti in cambio delle loro opere essi ricevono un certo numero di esemplari del libretto finito, proporzionale alla tiratura effettuata e il rapporto, spesso anche di amicizia, che si instaura con loro si basa quindi esclusivamente sulla sintonia nella condivisione di un progetto. Inoltre spesso mi sono avvalso, e mi avvalgo tuttora della collaborazione, del consiglio e della segnalazione di autori da parte di amici come Elisabetta Motta, Marco Rota o Marco Vitale. La loro “consulenza letteraria” è da me sempre ben accetta e le loro segnalazioni si riferiscono sempre ad autori validi e interessanti, e non necessariamente nomi noti o famosi, ma anche autori meno noti o addirittura sconosciuti ai più. Per quanto riguarda invece i testi, non ho preferenze rispetto alla poesia o al racconto, se non per le esigenze pratiche di brevità, come già ricordato e riguardanti la dotazione limitata di caratteri mobili.
Nei tuoi libretti si scorgono spesso elementi che riconducono al cibo e lasciano intendere la metafora che lo sottende. Così è per l’immagine di una gazza che nutre i suoi piccoli lasciando cadere un libro nel loro becco spalancato: è la centralità del cibo, di ogni cibo; di quello che è nutrimento del corpo e di quello che è nutrimento dell’animo e della mente. Il fine estetico dei tuoi interventi grafici come si lega e si concilia con le tue finalità concettuali ?
Non è mai accaduto che, alla richiesta di accompagnare a un testo una mia opera, io abbia “pescato” più o meno a caso nella mia numerosa produzione grafica anche inedita, una qualunque, pur piacevole, immagine. Preferisco prima leggere il testo e cercare in esso l’ispirazione, sia che si tratti di cibo o di qualsiasi altro argomento.
L’acquaforte a cui fai riferimento, ad esempio, è determinata dal testo “Ladri di libri” e dal metodo che, come sempre, utilizzo per interpretare un argomento: l’immagine metaforica della gazza (ladra) che ruba i libri (nutrimento dello spirito) per saziare la fame di conoscenza (i pulli nel nido). Per quanto mi riguarda è sempre il testo a determinare l’immagine che lo accompagna, e mai viceversa.
So dei tuoi pellegrinaggi “laici” che intraprendi durante l’estate facendo a piedi noti “cammini” con solo uno zaino in spalla e un block notes che ti serve, come i taccuini del passato, per fissare gli attimi del tuo “saper vedere”. Quali motivazioni sono alla base della tua scelta estiva?
Nel 2017, leggendo casualmente la guida di un cammino in Italia, da Norcia a Cassino, decisi di “mettermi alla prova”, prima che l’avanzare dell’età e l’inevitabile declino fisico mi precludessero definitivamente una tale prova. Prova superata e rotto il ghiaccio, ho ripetuto l’esperienza altre due volte, seguendo altri itinerari, sempre in Italia: il successivo attraversando il Paese da Ancona a Orbetello (cammino Coast to coast), e l’ultimo (per ora) da Forlì a Roma, seguendo per quattrocento chilometri l’ultimo tratto della Via Romea-Germanica. Una costante, in questi cammini, è stata attraversare territori dalla natura incontaminata, ma anche raggiungere bellissimi paesi che mi erano affatto sconosciuti. Ed è difficile descrivere a parole, ad esempio, la sensazione, che ha un che di ancestrale, di camminare per chilometri in un’immensa foresta di faggi secolari in totale solitudine, o attraversare antiche necropoli in un silenzio irreale, o ancora pernottare in minuscoli, antichi paesi per nulla devastati da speculazioni edilizie. Bastano queste poche note a giustificare l’entusiasmo con cui in quei luoghi ho riempito pagine e pagine di schizzi e acquarelli. E questo mio bisogno, del tutto personale, di fissare con il disegno questi attimi e queste sensazioni ha costituito senza dubbio la principale motivazione, e sono convinto che abbia su di me anche un forte potere taumaturgico.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
Ultimi articoli
- In primo piano28 Settembre 2024La Tallone, una Gens di genio
- conversando con...14 Settembre 2024Maria Gioia Tavoni intervista Amina Crisma
- conversando con...8 Aprile 2024Maria Gioia Tavoni intervista Gino Ruozzi
- a proposito di...29 Febbraio 2024A tu per tu con Anna Maria Matteucci Armandi
One thought on “Dal microscopio al torchio: la strada di Luciano Ragozzino a tu per tu con M. G. Tavoni”
Comments are closed.