Lucio Battistotti è il Direttore della Rappresentanza della Commissione europea in Italia (http://ec.europa.eu/italia)
Il primo comma dell’articolo III-280 del Trattato costituzionale europeo recita: “L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, evidenziando il patrimonio culturale comune”. A cosa allude il testo quando si riferisce a un patrimonio culturale comune?
L’Europa è orgogliosa della sua diversità culturale nel campo della lingua, della letteratura, del teatro, del cinema, della danza, della televisione, dell’arte, dell’architettura, dell’artigianato, solo per citare alcuni esempi. La cultura, anche quando appare radicata in un dato paese o regione, è “patrimonio comune” che l’UE intende preservare, contribuire, e rendere accessibile a tutti. La cultura si è sempre aggirata come un fantasma nell’Europa. Un fantasma che nessuno vede o vuole vedere. Si aggira tra carbone, acciaio, simbolismi e rimpianti, fino ad avere per la prima volta una voce propria, sebben modesta, nell’articolo 151 del Trattato di Maastricht:
- “L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, evidenziando il patrimonio culturale comune”.
- L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra stati membri e, se necessario, a sostenere e a completare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori:
-
- il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei;
- conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;
scambi culturali non commerciali; creazione artistico letteraria compreso il settore audiovisivo.
Nel paragrafo successivo si afferma che:
“Unione e stati membri favoriscono la cooperazione con paesi terzi e con le organizzazioni internazionali che agiscono nel settore culturale, citando in particolare il Consiglio di Europa. Nel quarto, infine: l’Unione si impegna a tener conto degli aspetti culturali di tutte le sue modifiche.
Questo ex Articolo 151 del Trattato di Maastricht, dopo il fallimento del Trattato Costituzionale, è stato ripreso nell’articolo 167 del Trattato di Lisbona e costituisce la base legale del “Programma Cultura”. Il “Programma Cultura”, istituito dalla Decisione 1855/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, rappresenta lo strumento principale della cooperazione culturale europea. Dotato di un budget di 400 milioni di euro, promuove la cooperazione transnazionale tra creatori, artisti e istituzioni culturali e contribuisce, inoltre, alla valorizzazione del patrimonio culturale comune condiviso dagli europei e, dunque, alla creazione di una cittadinanza europea attiva.
In un articolo sul Domenicale del Sole Lucio Caracciolo così sintetizza i pochi elementi che fungono da collante per un’identità culturale: «L’Unione Europea è uno spazio molto vasto destinato ad allargarsi ulteriormente, comprendendo realtà molto diverse tra loro, e ad essere sempre quello che gli stati membri vogliono che sia. Esiste invece una debole omogeneità culturale nell’Europa occidentale che deriva dalla tradizione romano-germanica e carolingia. Ma in generale vedo tante culture europee». Pur manifestando seri dubbi sulla possibilità di creare una “Pan Europa”, lo studioso chiude con una nota di cauto ottimismo, asserendo che «tuttavia è possibile costruire un’Europa Occidentale partendo da principi di civiltà comune: istituzioni democratiche, laicità nel rapporto tra stato e chiesa e recupero delle radici storiche». Cosa ne pensa?
Ci sono due punti di vista per esaminare l’identità europea in generale:
-
- uno consiste nel considerare cosa hanno condiviso i popoli europei lungo i secoli già trascorsi,
- l’altro è invece quello di guardare a cosa potrà unire i popoli che abitano l’Europa.
Personalmente considero questa seconda prospettiva molto più interessante. Il trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, che lei ha citato prima, era preceduto da un preambolo che ricordava, tra l’altro, le eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa e si appellava alla volontà dei popoli europei di superare le antiche divisioni per forgiare il loro comune destino, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale. Il preambolo riprendeva gran parte dei temi già affrontati nei preamboli dei trattati esistenti, aggiungendovi nuovi temi, come l’umanesimo, ma anche la ragione e l’identità nazionale dei popoli. Il trattato di Lisbona, adottato nel 2009, ha accresciuto altresì la responsabilità democratica dell’Unione europea e lo Stato di diritto, riaffermando ancora una volta gli obiettivi e i valori dell’Unione. Superare le divisioni, questo è l’obiettivo. Tale affermazione implica che occorre coltivare negli animi un’adeguata comprensione delle differenze culturali partendo appunto dai principi di civiltà comune. Il dialogo, di cui l’Unione europea è promotrice, si rivela lo strumento eminente per realizzare la civiltà della pace, che anche i Padri fondatori dell’Ue hanno indicato come l’ideale cui ispirare la vita culturale, sociale, politica ed economica della nostra Europa.
Da quanto scrive Caracciolo, le premesse per parlare di un patrimonio culturale collettivo sono abbastanza labili, e ciò dipende anche dalla mancanza di una lingua comune che possa fungere da collante per la costituzione di un sapere condiviso. Parlando di un futuro remoto, a suo avviso avrebbe senso rinunciare a una lingua nazionale pur di contribuire alla formazione di un sapere condiviso?
Assolutamente no. Credo che invece avrebbe più senso insegnare ai nostri giovani una lingua che vada ad affiancare la loro lingua madre. La lingua che parliamo contribuisce a determinare chi siamo. Le molteplici lingue parlate dai 500 milioni di cittadini dell’Unione europea si sono diffuse in tutto il continente come in un vasto mosaico. L’Unione europea riconosce il diritto all’identità e promuove attivamente la nostra libertà di parlare e scrivere nella nostra lingua continuando al contempo a perseguire il suo obiettivo di una più stretta integrazione tra i paesi membri. Si tratta di due obiettivi complementari in cui prende corpo il motto dell’UE «Unita nella diversità».
Conoscere un’altra lingua, o forse varie lingue, consente di spostarsi e trovare lavoro in un altro paese. Questa mobilità sul mercato del lavoro aiuta a creare nuovi posti di lavoro e a stimolare la crescita. Conoscere altre lingue promuove inoltre contatti transculturali, la comprensione reciproca e le comunicazioni dirette tra i singoli cittadini in una Unione sempre in espansione e più variegata. Vorrei ricordare a proposito l’azione dell’UE nella promozione dell’insegnamento e dell’apprendimento delle lingue. Dal 2007 i programmi principali sono stati inseriti sotto la protezione globale del programma di apprendimento continuo dell’Unione. La promozione dell’apprendimento linguistico e della diversità linguistica è dunque uno degli obiettivi del programma e dei suoi quattro specifici sottoprogrammi. Il nome di ciascuno di questi programmi deriva da un noto educatore europeo e ciascuno è responsabile per un’area di apprendimento e insegnamento.
Il primo, Comenius (che prende il nome da Jan Amos Comenius o Komensky, un educatore del 17° secolo dell’attuale Repubblica ceca), copre l’istruzione primaria e secondaria. Erasmus (che prende il nome da un umanista del 16° secolo, Erasmus da Rotterdam) è un programma speciale creato per consentire a studenti e insegnanti di livello universitario di trascorrere un periodo in una università di un altro paese comunitario. Il programma Erasmus prevede per i partecipanti corsi di lingua intensivi prima del loro soggiorno all’estero. Il programma Leonardo da Vinci (dal nome della grande figura del rinascimento italiano) si concentra sull’istruzione e formazione professionale. Il quarto programma è Grundtvig, dal nome di N. F. S. Grundtvig, un precursore danese dell’istruzione per adulti del 19° secolo. Questo programma si specializza nell’insegnamento per adulti.
L’attuale crisi profonda dell’Europa non è solo una crisi delle prospettive economiche (in senso lato). È una crisi che mostra anche tutti i limiti delle politiche culturali portate avanti dalla UE, in cui ad esempio il problema specifico della formazione e dell’istruzione dei giovani Europei, in una prospettiva identitaria specificamente europea, è stato ampiamente sottovalutato. Qual è il suo giudizio?
Non condivido. Vorrei ricordare che il compito dell’UE è quello di integrare le politiche nazionali degli Stati membri nel campo dell’istruzione e della formazione. Ogni governo è responsabile della propria politica nazionale per l’istruzione, ivi compreso l’insegnamento delle lingue, e la formazione. I programmi dell’UE che le ho citato prima hanno avuto, anno dopo anno, un enorme successo. Sappiamo bene che l’attuale crisi non è solo una crisi economico-finanziaria ed a questo proposito la Commissione europea, lo scorso 23 novembre, ha lanciato l’iniziativa “Erasmus per tutti”. Partendo dal presupposto che la cultura è movimento di idee e persone, che la cultura può creare occupazione, stimolare le cosiddette industrie culturali e creative e che investire nell’istruzione e nella formazione è una delle vie percorribili per uscire dalla crisi, il nuovo programma “Erasmus per tutti”, che prenderà il via nel 2014, accrescerà in modo significativo i finanziamenti stanziati per lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità nel campo dell’istruzione, della formazione, della gioventù e dello sport. Aiuterà i cittadini a migliorare il loro sviluppo personale, ad acquisire nuove abilità e ad accrescere le loro prospettive occupazionali.
La formazione dei giovani europei dovrebbe essere considerato un passaggio fondamentale in un processo di costruzione dell’Europa che vada oltre i solo aspetti economico-finanziari, i cui limiti sono sotto gli occhi di tutti. La formazione di un’identità europea come strategia culturale consapevole implica tempi lunghi e politiche culturali articolate, che coinvolgano la scuola e l’università. Come incidere concretamente in maniera più efficace?
Quando i programmi esistenti sono stati avviati il mondo era diverso. Stiamo attraversando ora uno dei periodi economici più tumultuosi della nostra epoca. L’UE ha reagito attuando una strategia coordinata per la crescita e l’occupazione denominata Europa 2020, e l’istruzione e la formazione sono parti integranti di tale strategia. Anche il mercato del lavoro europeo sta cambiando. Cresce il numero di posti di lavoro che richiedono qualifiche elevate e diminuisce quello dei posti a bassa qualifica. Si stima che entro il 2020 circa il 35% di tutti i posti di lavoro richiederà qualifiche elevate, capacità innovativa e la capacità di adattarsi. Uno degli obiettivi principali della strategia Europa 2020 consiste nell’aumentare il livello di qualificazione nell’istruzione superiore facendo sì che almeno il 40% delle persone sia in possesso di un diploma d’istruzione superiore (rispetto all’attuale 32%). “Erasmus per tutti” può contribuirvi aiutando i cittadini ad acquisire maggiori e migliori qualifiche avvalendosi delle opportunità di studiare e di formarsi all’estero. L’altro grande obiettivo della strategia Europa 2020 consiste nel ridurre la dispersione scolastica
portandola dal 14% a meno del 10%. Per contribuire al raggiungimento di questo obiettivo Erasmus per tutti sosterrà la modernizzazione a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione, compresa l’istruzione scolastica, dalla prima infanzia sino al livello secondario e alla formazione professionale iniziale. Anche l’apprendimento non formale riceverà un sostegno nelle forme degli scambi giovanili e del volontariato.
Esiste, ma è patrimonio di pochissimi, l’idea di una Letteratura Europea, fatta di un canone di autori e opere significativi in una dimensione transnazionale: pensiamo a Shakespeare, a Dante, ad esempio. I sistemi scolastici dei paesi dell’Unione appaiono piuttosto chiusi a una reale integrazione, ovviamente parziale e rispettosa delle diverse identità. In ogni caso, essa presuppone programmi basati su un minimo comune denominatore, validi per tutti. La Commissione europea come può intervenire in questa direzione?
La Commissione non può intervenire in questo senso. Il suo compito è quello di integrare le politiche nazionali degli Stati membri nel campo dell’istruzione e della formazione. Ogni governo è responsabile della propria politica nazionale per l’istruzione. Concludo citando l’art 165 par 1 del Trattato sul Funzionamento dell’UE: “L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema d’istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”.
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L'autore
- Carlo Pulsoni è il coordinatore di Insula europea (http://www.insulaeuropea.eu/carlo-pulsoni/).
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