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Perché leggere Dante

Perché celebrare Dante? Cosa potrà mai dire a donne e uomini nati nel terzo millennio un uomo vissuto 700 anni fa? Che abbia ancora molto da dire ce lo suggeriscono tante cose: basterebbe ricordare che è l’autore più tradotto al mondo.
Ma forse partirei da un altro punto: Dante era convinto di avere molto da dire agli uomini del suo tempo, ma anche di avere un messaggio straordinario da consegnare ai posteri. Per fare questo sceglie di scrivere il suo poema nella lingua che i bambini imparano fin da piccolissimi, quando ancora succhiano il latte dalla mamma (è lui a dircelo).
Una lingua nuova, che al suo tempo era usata solo per la poesia lirica e per tradurre dal latino e dal francese. Mai nessuno aveva osato quanto lui: scrivere in quella lingua un poema così ambizioso che racconta addirittura un viaggio nei tre regni dell’oltretomba. E tuttavia Dante, consapevole della sfida, non arretra. Anzi, con tutto il suo bagaglio di letture ed esperienze, immagina di attraversare la storia degli uomini e di fissarla per sempre, assegnando colpe e premi ai molti personaggi che incontra nell’aldilà. Il viaggio lo compie come un uomo vero, in carne ed ossa, carico di sofferenza per essere stato cacciato ingiustamente dalla sua città.
Nel mezzo del cammin di nostra vita… il viaggio inizia così, Dante non parla solo per sé, ma a nome di tutti noi, donne e uomini chiamati a compiere un viaggio, a scavare nella nostra vita.

 

La grandezza di Dante risiede nella sua capacità di raccontare la vita intima, la storia, le emozioni, la sua fede e la politica non solo con gli occhi di un uomo nato alla fine del ’200 ma rendendo esemplare ciò che racconta. E non scordiamoci che Dante racconta in poesia: lavora con le parole, scrive in terzine, inventa addirittura nuovi vocaboli. Ha attraversato la vita chiamando continuamente in gioco il suo lettore che viaggia, soffre e gioisce insieme a lui. Come nessun altro è riuscito a fissare in immagini e versi folgoranti sentimenti e sensazioni che sono ancora i nostri.
Non solo. La Divina Commedia è un libro che “non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. Già a pochissimi anni dalla morte del poeta sono stati versati fiumi d’inchiostro sui significati nascosti delle immagini e delle espressioni che Dante ha usato. E ancora oggi cerchiamo di venirne a capo.
Ma esiste una storia che altro non è se non quella di un uomo smarrito in una selva, un uomo che con l’aiuto di due guide, prima il più grande dei suoi modelli letterari, poi la donna amata sin da quando aveva solo nove anni, attraversa con angoscia il dolore dell’Inferno, con speranza il Purgatorio e finalmente accede alla gioia del Paradiso.

Dante è un uomo in cui davvero ognuno di noi può riconoscersi; fa un viaggio costellato di incontri dove mette in scena gli stessi amici che lui manda all’Inferno o affida alla luce del Paradiso: pensiamo a Ciacco, il goloso punito all’Inferno, a Casella, il musicista che sconta la sua pigrizia nel Purgatorio, a Piccarda Donati che siede felice tra le anime beate.
Ogni incontro è una tappa superata, è uno scambio che non lascia Dante identico a prima, ma sempre lo trasforma e lo fa crescere anche nella coscienza del proprio destino e della propria missione.

arianna.punzi@uniroma1.it

 

L'autore

Arianna Punzi
Arianna Punzi è professoressa ordinaria di Filologia romanza all'Università di Roma "Sapienza". Si è occupata principalmente di romanzi tristaniani in antico francese, e della loro ricezione anche in altre aree linguistiche, con particolare attenzione ai volgarizzamenti di area italiana. Parallelamente ha dedicato indagini recenti al "Lancelot en prose" e alla formazione del ciclo del "Lancelot Graal". Ha studiato la trasmissione di letteratura classica nel Medioevo latino e romanzo, concentrandosi soprattutto sulla materia tebana e su quella troiana con attenzione alla diffusione nell'intera area romanza. Ha dedicato alcuni lavori alla Commedia di Dante Alighieri, con particolare riguardo all‘aspetto metrico. E' Direttrice responsabile della Rivista "Critica del Testo" e vicepresidente della Società filologica romana.
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