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Libri vestiti, dentro e fuori. In ricordo di Anna Maria Zamboni

Avendo sempre avuto una grande memoria anche visiva, non so se il ricordo preciso e indistruttibile di persone, scritti ed eventi, possa portare ad affermare che la mia è memoria fotografica o addirittura eidetica. Tanta è la forza che sorregge i segni che rievocano minuti aspetti della personalità di amici di lungo corso con i quali non si è mai interrotto il dialogo, neppure dopo la morte. Nel caso del ricordo di Anna Maria Zamboni (1930-2019), alla quale mi legava più di mezzo secolo di rapporti amicali, penso di poter far rivivere la sua ricca personalità anche solo per certi tratti suoi distintivi che Anna, come tutti la chiamavamo, adottava per farsi ‘riconoscere’. Se la venditrice di verdure in mercato centrale a Bologna, morta da diversi anni, si ricorda come la ‘donna con le trecce’ perché due trecce di tutti i suoi capelli le avvolgevano la testa, non solo io, ma almeno due generazioni non perdono memoria visiva, neppure di don Olinto Marella (1882-1969), un sacerdote beatificato nel 2020 per aver vissuto aiutando soprattutto giovani e bisognosi. Nell’immaginario è vivissimo il ricordo della sua lunga barba bianca e i tanti luoghi, spesso angoli di strade, in cui stava seduto, arroccato su di uno sgabello, chiedendo l’elemosina per i suoi amatissimi ragazzi accolti in case per i giovani, ora nell’Opera Padre Marella.
Anche per Anna c’era un suo vezzo che la rendeva inconfondibile: il caschetto di capelli di un biondo dorato con la frangetta che consentiva di meglio incontrarne lo sguardo acuto e penetrante. Per quel caschetto, Anna, da sempre indomita e mai provinciale, si recava a Milano dal suo fidato parrucchiere-acconciatore.
Il caschetto era, come si dice, un asso vincente perché le permetteva di distinguersi nelle tante occasioni culturali alle quali partecipava, soprattutto quelle artistiche e musicali. Anna era, infatti, non solo una appassionata, ma pure una grande conoscitrice di musica, soprattutto sinfonica, e dell’arte contemporanea, sia astratta sia figurativa, di cui era una collezionista di notevole buon gusto. Ma Anna era soprattutto una designer di grandissima qualità, di inesausto impegno, i cui interventi si esplicavano in vari campi di ideazione e progettazione.
Nata a Minerbio, in provincia di Bologna, non si conoscono gli esordi della sua attività, né il background iniziale di studi che le consentirono di esprimersi soprattutto come grafica del libro, ma non solo, come si è detto.
Basti pensare che gli interni della sua casa a Bologna di via Malaguti, dove aveva sede anche il suo «studio di designer», li progettò tutti da sola, ed erano di così forte slancio creativo, che l’intero appartamento, compresa la geniale scala che portava al piano superiore, fu oggetto di un servizio fotografico su di una rivista, che neppure con l’aiuto di amici di Anna sono riuscita a ritrovare.
Di un suo percorso scolastico, pertinente con il mestiere che aveva da tempo intrapreso, rimane traccia nel diploma richiesto da Anna nel 1990, ma risalente al 1967, in cui si legge che «Anna Maria Zamboni ha superato con ottima votazione il terzo anno del corso di Disegno pubblicitario, corso legalmente riconosciuto che si teneva a Bologna presso il mitico Istituto professionale femminile “Elisabetta Sirani”»

Sebbene mai incardinata in strutture né pubbliche né private – per sua indole preferiva essere freelance – Anna ha lasciato segni profondi soprattutto nella casa editrice Zanichelli. Numerose sono infatti le copertine da lei ideate per ‘vestire’ particolari libri,  come il nuovo Zingarelli, famoso vocabolario italiano, edito a più riprese dalla casa bolognese. (Colgo l’espressione da Conservare il Novecento: i vestiti del libro: Convegno nazionale, Ferrara, Salone internazionale dell’arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali, 26 marzo 2004, atti / a cura di Giuliana Zagra, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2005).

Anna lavorò infatti soprattutto per la Zanichelli, la editrice gestita da tre generazioni degli Enriques, nella quale ha profuso il massimo impegno, guadagnandosi l’amicizia della famiglia che ancora ne ha il timone, e la stima dei colleghi anche della sua stessa specialità per la sapienza collaborativa con cui partecipava a ‘vestire il libro dentro e fuori’.
Nel catalogo storico della Zanichelli, i suoi primi lavori hanno copyright 1969. Si tratta dei 5 volumi del Trattato di chimica industriale e applicata di Alberto Girelli, Leno Matteoli, Federico Parisi che nel database della casa editrice, registra: “Copertina di Duilio Leonardi, realizzata da Anna Zamboni”.
In Castelli di carte (Zanichelli 1959-2009 una storia, Bologna, il Mulino c. 2008), testo che fa ancora parlare di sé per la felice metodologia con cui è impostato e la nuova concezione che il suo autore, Federico Enriques, ha impresso alla storia dell’editoria, si colgono, dall’interno, aspetti relativi a tutti i settori di produzione. Enriques, infatti, ha affrontato la storia della casa editrice Zanichelli, anche facendo esprimere i maggiori personaggi che vi hanno lavorato o che erano ancora attivi alla data di pubblicazione del libro, 2009, con l’inserire cammei delle rispettive specialità editoriali. Il filo della narrazione non si spezza, ma anzi si prolunga negli inserti dei collaboratori: flash che animano la cornice del racconto. Si tratta sempre di alte testimonianze, come quella di Laura Lisci, che permette di cogliere aspetti salienti anche del lavoro di Anna Zamboni.
La Lisci, chiamata nel 1983 a dirigere l’Ufficio stampa, in sostituzione di Rinaldo Forti deceduto prematuramente, sottolinea le difficoltà dell’editoria dello scolastico, molto diverse da quelle dell’editoria di varia, soprattutto nell’allestire un programma di propaganda commerciale, considerato che un manuale o anche un dizionario, non si leggono ma si compulsano e devono ‘piacere’ in primis agli insegnanti. E dicasi altrettanto per la loro veste grafica: la copertina non deve colpire l’immaginario ma essere una sobria presentazione ispirata a una linea rigorosa e, nel contempo, severa.
Vale la pena ritornare, accompagnati sempre dalla Lisci, all’undicesima edizione del 1983 dello Zingarelli, Dizionario della lingua italiana, a cura di Miro Dogliotti e Luigi Rosiello, che fece molto parlare di sé per la numerosa presenza di neologismi, generando perfino un acceso dibattito su molti giornali e riviste. Sia il pro sia il contro della critica contribuirono a un successo di vendite che consentirono alla casa editrice di varare altri importanti progetti scolastici.

È ad Anna che si deve la ‘magica’ copertina dello Zingarelli dell’’83, con pochi segni e giocata sui due colori, il rosso e il nero, in ricordo di un intervento di Raimondo Biscaretti (1937-2006), il quale fu alla guida, per molti anni, del settore grafico della Zanichelli. Nell’ammirare questa copertina e le numerose altre, più di duecento, che la presero a modello

,non si può non ricordare che per la Zanichelli lavorò Albe Steiner (1913-1974), ‘partigiano’ pure del segno grafico, improntato alla maggiore linearità possibile, dovuta anche alla lezione del Bauhaus. In una ‘scheda’ di Castelli di carta sono riportate le pagine di Delfino Insolera su Steiner e l’essenza del suo segno che sposta l’attenzione «da ciò che è ornamentale a ciò che è significante». (Si ricordi ancora, Marzio Zanantoni, Albe Steiner, cambiare il libro per cambiare il mondo : dalla Repubblica dell’Ossola alle Edizioni Feltrinelli, Milano, Unicopli, 2013).
Steiner tracciò un solco indelebile nella comunicazione per la stampa, il cui conforto alimentò anche in Anna un’inventiva rafforzata dalle proprie capacità di progettazione.

Sempre in tema di design, ancora dal database del catalogo storico della Zanichelli, si coglie la continuità che Anna riservò a lavori impostati da Steiner come i volumi della Fisica di Berkeley. Così infatti si legge: «Impaginazione di Anna Maria Zamboni su progetto di collana di Albe Steiner».
Ad impreziosire l’arte di Anna fu anche la vicinanza di Bruno Munari (1907-1998), che dal 1979 curò per Zanichelli la collana “Giocare con l’arte. Quaderni per l’educazione alla comunicazione visiva”, nella quale brillavano anche suoi titoli. Ebbi la fortuna di conoscere Munari proprio tramite Anna, andando insieme con un’altra amica di antica data, Alessandra Pesante, a Milano nell’atelier del maestro, dove restammo ore e ore mentre Munari ci introduceva con pazienza in alcune sue opere.
Anna, pur facendo molta fatica a impratichirsi, quando il computer stava diventando strumento importante anche per la grafica editoriale, vi si adattò e, studiando la capacità di dare movimento al segno, ne condivise l’uso diventato dopo gli anni Novanta una necessità.
Fu anche questo suo apprendimento a permettere che il rapporto di lavoro con la Zanichelli continuasse anche dopo gli anni che, per molti, costituiscono il traguardo della giubilazione. Ancora il database del catalogo storico dell’azienda registra come ultimo titolo, cui Anna ha collaborato, Oplepiana, apparso nel 2002.
Ma, come riportato in Castelli di carte, Anna proseguì nel dare il proprio contributo oltre quella data, soprattutto con l’ufficio stampa e pubblicità e rimase costantemente vicina alla famiglia Enriques anche quando il testimone passò a Irene, figlia di Federico.
Nel segno Anna fu una profonda innovatrice, capace di straordinarie intuizioni, con il pensiero tuttavia rivolto sempre alle forme lineari.
Altri, più competenti, potranno rilevare nuove e diverse tracce del suo impegno, rendendo ad Anna giustizia soprattutto come designer grafica. Chi avrà tempo, potrà interrogare questo sito http://www.donbosco-bo.it/cont2.php?id=6498, che non è completo e non si deve alla Zanichelli, ma aiuta ad avere un quadro abbastanza esauriente della partecipazione di Anna a progetti zanichelliani.
Non posso dimenticare che Anna fu l’amica che venne sempre in mio soccorso quando ero nei ruoli universitari, e che continuò a dare il suo aiuto, sempre disinteressato, al mio successore Paolo Tinti.

Nel 1987, fui trasferita a Bologna all’Alma Mater dall’Università di Pisa, e potei dedicarmi con lena a molti nuovi progetti, che si indirizzarono verso ricerche prevalentemente sul Settecento e sul paratesto editoriale. Non c’è mia pubblicazione di quegli anni che non sia stata seguita con interesse e professionalità da Anna, a cominciare da Il banco del libraio e lo scaffale del giurista, uscito nel 1993 per la Pàtron, casa editrice che accolse anche la collana di libri di miei allievi, dal pregnante e significativo titolo, Lyceum, edita, a partire dal 2000, con la ricerca di Carla di Carlo, Il libro in Benedetto XIV. Per tale collana Anna scelse, fra le mie varie acqueforti di Manaresi, quella con un libro e una lampada metafora di grande chiarezza, espressa dall’ incisione, ora in possesso dell’allieva Federica Rossi.
Preme ancora ricordare momenti delle iniziative mie e della sodale équipe dei miei collaboratori: l’allestimento di due mostre presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, con a corredo due cataloghi che vantano il pregio di rimanere, ancora oggi, fonte di apprendimento e, per certi interventi, pure di documentazione primaria. Entrambe le mostre furono portate a compimento con fondi ministeriali insieme ad altre unità universitarie con i rispettivi docenti (Genova, Anna Giulia Cavagna; Messina, Giuseppe Lipari; Calabria, Carmela Reale; Roma la Sapienza, Marco Santoro; Bologna, Maria Gioia Tavoni; Verona, Giancarlo Volpato), di cui l’unità di Roma, la Sapienza, capeggiata dal collega Marco Santoro, aveva il compito di coordinare le varie fasi del programma complessivo.
Fu nella prima di queste iniziative che demandammo ad Anna il progetto grafico del catalogo, che prevedeva l’utilizzo di bellissime foto scattate da Andrea Samaritani, altro caro amico che ci ha lasciato.
La mostra e il suo catalogo ‘parlante’ venivano a soddisfare parte del disegno ambizioso che, insieme con le altre unità accademiche, varammo per far conoscere in Italia di più e meglio il paratesto editoriale, che un famoso testo dello strutturalista Gerard Genette, Seuils, uscito in Francia nel 1987, tradotto in Italia nel 1989 (Soglie: I dintorni del testo, tr. Camilla Maria Cederna, Torino: Einaudi, 1989), ci aveva indotto a rendere maggiormente manifesto.

Il catalogo di corredo alla mostra tenutasi a Bologna nel 2004, scorrendo il quale provo emozione nel vedere uniti i tanti collaboratori che in quegli anni gravitavano sul mio insegnamento, ebbe tutte le ‘cure’ possibili da parte di Anna, che ‘inventò’ una coperta di plexiglas che fa trasparire la P maiuscola di Paratesto e a bandiera tutto il titolo Sulle tracce del paratesto, con in alto i tre loghi delle istituzioni che ebbero a sostenere l’iniziativa. Ogni dettaglio fu da Anna opportunamente vagliato e il risultato, sempre su base unicamente amicale, portò ad un manufatto che ancor oggi riveste interesse, non solo per i suoi contenuti ma pure per l’impostazione grafica complessiva.

Se per quel catalogo, riuscimmo a persuaderla a comparire nel colophon, Anna pose invece il veto a essere nominata nell’altro catalogo, Il libro illustrato a Bologna nel Settecento, che con la direttrice della Biblioteca Universitaria, Biancastella Antonino, e i suoi migliori bibliotecari, soprattutto Franco Pasti, gli allievi più motivati, docenti di fama, quali Vera Fortunati e Giuseppe Olmi, e grazie al forte impegno di Paolo Tinti, riuscimmo a varare nel 2007, come singola unità del progetto complessivo sul Settecento, che annoverava le medesime forze del precedente impegno collettivo.
Di quel catalogo Anna lasciò che tutto il merito dell’impaginato e di tutto il progetto grafico fosse riconosciuto a Roberto Bagnoli, altro interprete delle nostre impegnative istanze.
A Pieve di Cento, piccola ma importante cittadina, Comune ora di Bologna città metropolitana, stava il tipografo che seguì tutto il progetto per poi mandarlo in stampa a Cento. Anna veniva con noi, ovvero, con Giuseppe Olmi, Paolo Tinti e la sottoscritta, in quel di Pieve e con mano sicura correggeva errate impostazioni, distribuiva consigli sempre ottimi sul posizionamento delle immagini, coglieva i difetti di impaginazione.
Nel mio intervento riuscii, quasi a sua insaputa, a ringraziare Anna e con lei gli altri amici che vennero in nostro soccorso, sempre senza mai percepire nulla, concedendoci il piacere di varare un catalogo che, fin dalla copertina, s’impone ancora anche per la sua veste elegante.
Così mi congedai dalle pagine che misero in luce i molteplici campi di ricerca, la fruttuosa collaborazione fra bibliotecari, docenti, allievi, e le molte novità espresse dai curatori delle sezioni, e il tracciato storico-artistico che ci aveva ispirato:

Le risicate risorse economiche hanno indotto amiche e amici a venirci incontro con la loro eccezionale professionalità: a Zina D’Innella, a Pasquale Susca e a Mirna Boncina non saremo mai sufficientemente grati per il loro appassionato “dono”, così come ad Anna Maria  Zamboni che come sempre ha voluto, seppur dietro le quinte, offrirci il suo impareggiabile contributo.

Anche Zina D’Innella, designer di grandissima qualità soprattutto di arredi, di mobili di forte impatto visivo, e con la quale si era stabilito un rapporto familiare, non è più.
Nei miei primi anni della giubilazione, potei vedermi più spesso con Anna, sebbene lei non amasse tanto spostarsi dalla propria casa di via Malaguti che dovette tuttavia abbandonare per la difficoltà che incontrò nel fare le scale.
Non amò neppure l’altra casa di via Mascarella, in cui fu costretta a riparare, sebbene anche in quell’appartamento avesse profuso il suo intelligente e armonioso gusto estetico e, nonostante fosse vicinissima a via Irnerio 34, dove dagli anni Trenta risiede la mitica Casa editrice Zanichelli, il cui richiamo, per chi vi ha lavorato, è da considerarsi corale.
Ad Anna devo profonda riconoscenza per avermi insegnato ad amare, capire, e sostenere le buone progettazioni dei libri “vestiti dentro e fuori.”
I miei pochi cenni sono rivolti a chi non ha avuto la fortuna di conoscere di persona Anna Maria Zamboni e per permettere, all’ampio raggio dei suoi amici soprattutto colleghi, di promuoverne un più meritato ricordo.

Ringrazio la nipote di Anna, Meris Zamboni, per avermi facilitato nelle ricerche e la dottoressa Maddalena Giordani, per essere stata prodiga di notizie sulla Casa editrice Zanichelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'autore

Maria Gioia Tavoni
Maria Gioia Tavoni
M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it