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Poesia italiana cavafiana

Alla fine degli anni ’90 il Centro di Lingua Greca ha condotto una ricerca su ‘Le ‘conversazioni’ poetiche di Cavafis’. Il risultato di questa ricerca ha portato alla stesura di un volume, contenente poesie che ‘dialogano’ con il poeta alessandrino dal titolo: ‘Συνομιλώντας με τον Καβάφη, Ανθολογία ξένων καβαφογενών ποιημάτων, Επιμέλεια Νάσος Βαγενάς, Κέντρο Ελληνικής Γλώσσας, Θεσσαλονίκη 2000’. Questo volume comprende 152 poesie scritte in 19 lingue, da 134 poeti provenienti da 29 paesi. I poeti italiani sono i seguenti: Pablo Luis Avila, Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Alfonso Gatto, Silvia Lagorio, Vittorio Lingiardi, Mario Luzi, Dante Maffia, Eugenio Montale, Fabio Doplicher, Roberto Pazzi, Sandro Penna, Alessandro Ricci, Valeria Rossella, Maria Luisa Spaziani. La fascia d’età dei poeti è notevolmente ampia. Con Cavafis non dialogano solo poeti maturi che, quando lo lessero per la prima volta, avevano completato la formazione della loro fisionomia poetica, come il premio Nobel italiano Eugenio Montale, nato nel 1896, ma anche molto più giovani, la cui voce poetica non si era ancora pienamente formata quando il volume è stato pubblicato nel 2000, poeti come i cileni Alejandro Zambra e Jorge Matteo, i più giovani del volume, nati nel 1975. Il poeta italiano Pietro Fratini, nato nel 1996, ha pubblicato la sua terza silloge dal titolo L’imperatore è morto ad Adrianopoli, nel giugno del 2019.

Nell’ ultima raccolta di poesie di Eugenio Montale Quaderno di quattro anni, edita nel 1977 e contenente componimenti del periodo 1973 – 1977, c’è la poesia Leggendo Cavafis, ispirata alla poesia I passi dell’Alessandrino.

Mentre Nerone dorme placido nella sua
traboccante bellezza
i suoi piccoli lari che hanno udito
le voci delle Erinni lasciano il focolare
in grande confusione. Come e quando
si desterà? Così disse il Poeta.
Io, sovrano di nulla, neppure di me stesso,
senza il tepore di odorosi legni
e lambito dal gelo di un aggeggio
a gasolio,
io pure ascolto suoni tictaccanti
di zoccoli e di piedi, ma microscopici.
Non mi sveglio, ero già desto da un pezzo
e non mi attendo ulteriori orrori
oltre i già conosciuti.
Neppure posso imporre a qualche famulo
di tagliarsi le vene. Nulla mi turba. Ho udito
lo zampettìo di un topolino. Trappole
non ne ho mai possedute.

L’interesse di Eugenio Montale per Cavafis risale al 1946, quando pubblicò una sua traduzione della poesia ‘Aspettando i Barbari’. Le sue fonti furono la traduzione inglese di Mavrokordatos e la traduzione francese di Papoutsakis, mentre la sua curiosità fu suscitata e acuita dalle testimonianze di Giuseppe Ungaretti e dagli articoli del neogrecista Filippo Maria Pontani sul poeta greco. L’interesse, però, non fu passeggero. Si confermò alcuni anni dopo, quando nel 1955 sul Corriere della Sera pubblicò un testo critico sulla poesia di Cavafis dal titolo Un poeta alessandrino. Nel 1958, in un testo sulle traduzioni italiane di poesie greche (Antologie bilingue), lo cita a parte. Nel 1962, dopo una visita in Grecia, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene, torna a Cavafis, pubblicando nuovamente un articolo sul Corriere della Sera, in seguito inserito nella collana delle impressioni di viaggio ‘Fuori di casa’, questa volta intitolato ‘Un poeta Greco’. Montale entrò in contatto con l’opera di Cavafis attraverso le traduzioni italiane dei neogrecisti Bruno Lavagnini, Mario Vitti e Filippo Maria Pontani pubblicate dalla metà degli anni ’50 fino al ’62. Non è infondato ritenere che Montale sia stato influenzato dalla poesia di Cavafis. Questa riflessione non scaturisce tanto dall’andamento prosastico della sua poesia ‒ un’infinità di altri autori avrebbero potuto influenzarlo‒ – ma piuttosto perché nella loro produzione poetica ci sono elementi sorprendentemente comuni.

Nei primi cinque versi Montale presenta con un discorso denso le emozioni espresse nella poesia di Cavafis, per poi confrontarle con la propria situazione emotiva. Osserviamo fin dall’inizio che, mentre la poesia di Cavafis funziona in modo implicito, la poesia di Montale funziona in modo esplicito. Quanto alla scelta delle parole che esprimono i significati fondamentali, l’Alessandrino utilizza molti aggettivi in ​​questa poesia, mentre il poeta genovese ne fa un uso parsimonioso, scegliendo verbi e sostantivi ‘forti’. Vediamo che i suoni funzionano da supporto delle immagini e contribuiscono alla creazione dell’atmosfera poetica, contrapponendo l’ epoca e il personaggio storico al personaggio del poeta-narratore.

I ‘prestiti’ dei simboli di Cavafis nei primi cinque versi (v. 3 Lari, v.4 Erinni, v. 5 focolare) e le convenzioni letterarie che li accompagnano, da un lato danno una dimensione teatrale, e dall’altro fanno in modo che la poesia di Montale acquisisca una dimensione storica. D’altra parte, le immagini della vita quotidiana contrappongono nuovamente il personaggio storico a quello del poeta-narratore. Possiamo ragionevolmente porci la domanda: perché Montale ha utilizzato la poesia di Cavafis a sostegno del suo discorso poetico? E inoltre: come funziona la poesia di Cavafis all’interno della poesia di Montale?

La prima risposta che potremmo dare è che Montale ‘prende in prestito’ dal discorso di Cavafis alcuni simboli la cui rilevanza è considerata scontata. Nerone, i Lari, le Erinni. Dietro a questo ‘prestito’, visibile ad occhio nudo, ci sono un insieme di questioni più profonde, che definiscono le affinità teorico-estetiche tra i due poeti. In particolare, Montale sembra appropriarsi di quello che Eliot chiamava il ‘sentimento storico’ del poeta. Questo prestito fornisce elementi per l’espressione di emozioni più oggettive, cioè fornisce situazioni e personaggi, attorno ai quali si sono cristallizzate emozioni comuni e attraverso le quali l’emozione del poeta può essere rievocata con maggiore facilità. Qual è la sua funzione? Sembra essere una forma di matrice oggettiva, un tentativo di confronto con la realtà moderna. Contribuisce, potremmo dire, a far acquisire alla poesia di Montale una ‘dimensione storica’, a dispiegare, su un piano parallelo al piano ‘storico’, le esperienze personali del poeta. I passi fungono da cordone ombelicale tra i due poeti e il lettore, richiamando ricordi e proiettando esperienze comuni. In questo modo si rafforza una teatralità, poiché dietro al discorso poetico si sviluppa il ‘confronto drammatico’. Atmosfera scenica, plasticità, energia, espressione teatrale del discorso (quella che Seferis chiamava ‘poesia destinata a essere recitata’) in questo testo abbondano. Potrebbe essere considerato un monologo teatrale.

Diversi decenni dopo, nel giugno del 2019, Pietro Fratini, nato nel 1996, epigrafista e ricercatore presso l’Università di Torino, pubblica la sua ultima raccolta di poesie intitolata ‘L’imperatore è morto ad Adrianopoli’. Questa, che io sappiaè la testimonianza più recente della poesia italiana che si può definire cavafiana, un dialogo con il poeta alessandrino che inizia con quattro versi tratti dalla poesia Cesarione.

Ecco, tu sei venuto col tuo fascino
incerto. La storia ti concede
poco spazio; dunque, a maggior ragione,
libero nella mente io ti ricreo.

E come premessa alla raccolta segue la poesia dallo stesso titolo. Anche essa è accompagnata da due versi della poesia di Cavafis ‘Aspettando i barbari’ che rendono evidente il parallelo fra i due componimenti:

L’imperatore è morto ad Adrianopoli

«E ora che faremo senza barbari?»
(Era una soluzione come un’altra,
dopo tutto)

KAVAFIS, Aspettando i barbari

Adesso che l’imperatore è morto
a Adrianopoli per noi sarà la fine.
Chi ci difenderà da questi barbari?
Non vedete che le piazze si riempiono
di uomini incolti e senza legge,
buoni solo per il taglio della spada?
Dove sono i senatori e i cavalieri,
le legioni con i loro comandanti?
Sono morti tutti quanti a Adrianopoli.
Adesso che l’imperatore è morto
che ne è delle tenute di campagna?
Dove potremo ancora bere il vino?
Che ne è della poesia e della retorica,
del nostro bel latino, dei costumi
degli antichi? Non li difenderemo?
Dove sono i consoli e i pretori
e le loro toghe rosse scintillanti?
Sono morti anche loro a Adrianopoli.
Adesso che l’imperatore è morto
dovremo insegnare a questi uomini
a pensare, a scrivere e a contare
e dovremo spiegargli che la storia
è una ed è la nostra, che il pensiero
è solo quello di chi vince.
E il pontefice massimo dov’è?
Insegnerà le leggi ed i costumi?
Anche il pontefice è morto a Adrianopoli.
Senza l’imperatore che faremo?
Ne nomineranno un altro i senatori
e lo porteranno a Roma nel trionfo.
Anche Roma è morta a Adrianopoli.
E allora, senza Roma che faremo?
Ci saranno nuove usanze, nuovi nomi,
nuove lingue e nuovi porti?
È la prova che siamo tutti morti?

È noto che nella poesia di Cavafis il contesto storico ha varie funzioni. Lo stesso sembra accadere nella poesia del giovane poeta italiano. Persino quando non gli fornisce direttamente l’ispirazione e il materiale per le sue poesie, agisce come in Cavafis come un alibi per creare una situazione che, sebbene non storicamente reale, è poeticamente valida e gli consente di esprimere efficacemente i suoi pensieri, le sue preoccupazioni. Il poeta Alessandrino compose le sue poesie storiche vivendo l’atmosfera di una città che divenne un crocevia di civiltà durante il periodo ellenistico. In questa sua poesia Pietro Fratini sceglie la città della Tracia orientale, che Adriano chiamò Adrianopoli, e che ora appartiene alla Turchia, sotto il nome di Edirne, un’alterazione del nome Adrianopoli, la città di Adriano. Pietro Fratini segue le orme di Cavafis, facendo il miglior uso possibile della storia per attingere a comportamenti, vicende e fatti che possono potenzialmente fungere da portatori di messaggi importanti per il lettore contemporaneo. Persino quando non trova eventi realmente accaduti che possano essere utili alla sua idea poetica, come Cavafis non esita a ricreare il contesto storico che desidera.

Nikolaos Kalas, il poeta e critico letterario greco che per primo riconobbe l’importanza della poesia di Cavafis, nel 1932 scrisse sulla rivista ‘Kyklos’, che ‘strappando il velo della storia nell’opera di Cavafis, abbiamo un’immagine della vita contemporanea’. Sembra che la stessa cosa stia succedendo con la poesia di Pietro Fratini. Il giovane poeta si immerge nell’avventura, nella tragicità dell’esistenza umana. Il suo tema è un epitaffio. Pietro sceglie, senza eccezioni, di tornare alle fonti antiche. Non in maniera fine a sé stessa, ma come valore morale. I suoi testi sanno come deviare dagli approcci poetici della sperimentazione modernista e del postmodernismo letterario. La sua poesia non vuole ricostruire il passato. Vuole renderlo rilevante, ma senza sminuirlo in uno scenario. La sua poesia non è un pilastro dentro le rovine (qualcosa di interno, discreto) ma funziona come un’impalcatura (esterna, visibile). Ogni morte coincide con la morte di un’intera civiltà, non solo in questo poema ma in tutta la silloge. I suoi messaggi sono intensi. Ci spingono a pensare alla fine di ogni civiltà. Ogni preludio alla fine diventa un anello di una catena ininterrotta della civiltà che, in effetti, si rinnova costantemente, nonostante i mormorii degli studiosi e delle persone al potere. Pietro Fratini sembra indicarci la strada per non avere paura del futuro: le persone (o i suoi personaggi) muoiono, ma la loro voce si può preservare, se sappiamo custodirne la memoria.

Oltre a Cavafis, nel 20° e 21° secolo, non c’è nessun altro poeta la cui poesia abbia ispirato e continui a ispirare così tanti poeti stranieri. Nasos Vayenàs, il poeta, saggista, traduttore e professore universitario che ha curato il volume aveva sottolineato la parola poesia, in un suo articolo prima della pubblicazione del volume. Vayenàs aveva giustamente scritto che le poesie scritte su Majiakovski e Lorca, che sono forse, insieme a Cavafis, i poeti più ‘acclamati’, sono scritte principalmente in occasione o sul tema della loro morte (il suicidio del primo e la fucilazione del secondo). Cavafis ispira i poeti non per qualche evento scioccante della sua vita, ma principalmente con la sua poesia. La sua immagine poetica inizia con la sua poesia e ritorna ad essa.

Traduzione dei testi in greco

gkarvunaki@gmail.com

 

L'autore

Giorgia Karvunaki
Giorgia Karvunaki è nata in Grecia, a Creta, a Canea. Ha studiato in Italia Lingua e cultura italiana per stranieri, Scienze Politiche - Indirizzo Internazionale, Insegnamento dell'italiano come LS, Sceneggiatura e in Grecia Traduzione  - Traduttologia. È membro associato e National Convener per la Grecia dal 2007 della Commissione internazionale per la storia delle istituzioni rappresentative e parlamentari (ICHRPI), Rappresentante accreditata del Nosside, Premio Internazionale di Poesia (Unesco) e Membro dell'International Theatre Institute (ITI). Vive ad Atene dove lavora come insegnate, traduttrice, promotrice culturale e ricercatrice storica. Le sue traduzioni, le sue interviste e i suoi articoli, sono stati pubblicati in riviste cartacee ed elettroniche in Grecia, in Italia e in Romania. Le sue traduzioni di opere teatrali sono state messe in scena in Grecia e in Italia. Nel 2018 è stata premiata dall'Istituto Italiano di cultura di Atene con il ‘Premio Luigi Pirandello’.