Quella che viviamo oggi è un’epoca di grandi cambiamenti. Basti pensare all’avvento della modernità e all’accelerazione dei processi di mutamento. Tale epoca è stata definita dagli studiosi post-moderna, anche se il dibattito circa il suo inizio è ancora aperto. Nella sua componente elementare, la post-modernità contiene una ribellione contro l’eccessiva fiducia della modernità e l’ingresso in un mondo molto più plurale e indeterminato (Cfr. Gallagher, Una freschezza che sorprende: il Vangelo nella cultura di oggi, Bologna, 2010, 26). Bauman afferma che «La liquidità o la fluidità sono metafore pertinenti allorché intendiamo comprendere la natura dell’attuale nuova fase nella storia della modernità e che la vita liquido-moderna è una quotidiana rappresentazione della transitorietà e della fugacità. Ciò di cui gli abitanti del mondo liquido-moderno si accorgono rapidamente è che nulla in questo mondo è destinato a durare, tantomeno a durare per sempre» (Bauman, Conversazioni sull ‘educazione, Trento, 2012, 29).
Stiamo assistendo a tutto ciò che già cinquant’anni fa Pasolini dichiarava: il progresso, le scienze, il consumismo psicotico non potevano non generare implosioni e involuzioni nella società stessa. Anche la Chiesa Cattolica negli ultimi anni è stata quasi “costretta” a guardare con più attenzione il fenomeno delle grandi mutazioni sociali, a tal punto che con l’elezione al soglio pontificio di Papa Francesco (13 marzo 2013), quando a tutto il mondo è stata presentata la sua linea programmatica della Chiesa, in molti hanno visto finalmente quella tanto attesa e sospirata “aria di rinnovamento” che il Concilio Vaticano II aveva timidamente avviato.
Così, il 24 novembre 2013 il Sommo Pontefice sente l’urgenza di pubblicare un’enciclica magisteriale dedicata ai credenti e la intitola Evangelii Gaudium, nella cui parte iniziale viene sottolineato proprio «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata […] Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Città del Vaticano, 2013, 3).
Parole, queste, che ancora una volta sembrano ricordare quelle del nostro amato poeta di Casarsa, quando in “tempi non sospetti” giudicava il consumismo della società del suo tempo la radice di tutti i mali.
Interessante, a proposito, è il primo capitolo del documento che affronta il tema della riforma ecclesiologica in una prospettiva ad gentes. Secondo l’interpretazione di Mons. Fisichella: «La Chiesa è chiamata ad “uscire” da sé stessa per incontrare gli altri. Il Papa, come ormai siamo abituati, indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice. Tra tutte quella di “praecedere”; cioè Dio ci precede nell’amore indicando alla Chiesa il cammino da seguire. Essa non si trova in un vicolo cieco, ma ripercorre le orme stesse di Cristo (cfr. 1 Pt. 2,21); pertanto ha certezza del cammino da compiere. Questo non le fa paura, sa che deve “andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un inesauribile desiderio di offrire misericordia”. Perché questo avvenga, Papa Francesco ripropone con forza la richiesta della “conversione pastorale”. Ciò significa passare da una visione burocratica, statica e amministrativa della pastorale a una prospettiva missionaria; anzi una pastorale in stato permanente di evangelizzazione. Ciò evita di cadere nel pericolo di una presentazione della fede fatta solo alla luce di alcune questioni morali come se queste prescindessero dal loro rapporto con la centralità dell’amore. Fuori da questa prospettiva, “l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte e questo è il nostro peggior pericolo”. Può accadere, a volte, che la rigidità con cui si intende conservare la precisione del linguaggio, vada a danno del contenuto, compromettendo la visione genuina della fede» (Cfr. R. Fisichella, in Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Cinisello Balsamo, 2014, 1-5).
Ecco, dunque, come la figura di Pasolini potrebbe, oggi, diventare non solo una risposta per la Chiesa, che con papa Francesco sembra essersi ripresa la bellezza dell’essenziale, ma anche una conferma per quanti, come lui, oggi lottano per la difesa delle proprie idee al servizio della collettività e del bene comune, soprattutto contro coloro che i “potenti di turno” continuano ancora ad ignorare ed evitare.
Quando Pasolini scriveva che la chiesa dovrebbe negare sé stessa, per riconquistare i fedeli (o coloro che hanno un ‘nuovo’ bisogno di fede), «con “negare sé stessa” Pasolini intende dire che la Chiesa dovrebbe abbandonare quelle incrostazioni temporali che nel corso della storia hanno spesso rischiato di deturparne il volto» (Carnero, Pasolini e la Chiesa di Papa Francesco).
«La tentazione oggi appare frequentemente sotto forma di scuse e recriminazioni, come se dovessero esserci innumerevoli condizioni perché sia possibile la gioia. Questo accade perché «la società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia». Posso dire che le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone molto povere che hanno poco a cui aggrapparsi. Ricordo anche la gioia genuina di coloro che, anche in mezzo a grandi impegni professionali, hanno saputo conservare un cuore credente, generoso e semplice». (Papa Francesco, Evangelii Gaudium, (a cura di) R. Fisichella, Cinisello Balsamo, 2014, 8). Mi piace vedere scritto nella lista di queste “persone povere” citate da Papa Francesco in questo scritto estratto dall’enciclica già citata anche il nome di Pasolini che per amore del suo ideale ha lottato fino alla fine, custodendo con i suoi principii la dolcezza del “profumo del pane fatto in casa”, simbolo di una civiltà ormai scomparsa che non sa più chi è.
Secondo quanto scrive Carnero: «Il cardinal Bergoglio, parlando agli altri porporati prima di entrare in Conclave, aveva detto di avvertire la necessità che la Chiesa «esca da sé stessa» per andare «verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche le periferie esistenziali». E Bergoglio in periferia è subito andato da Papa per celebrare la Messa in Coena Domini con i ragazzi del carcere minorile di Casal del Marmo: una delle direzioni immaginate da Pasolini, il quale, quarant’anni fa, lanciava alla sua maniera una semplice provocazione. Eppure forse Pasolini aveva intuito, da non (più) credente, una verità che oggi papa Francesco sta rendendo comprensibile a molti: molti aspetti della vita ecclesiale sono frutto di secoli di storia e di cultura e perciò valgono, ma che l’essenziale è il depositum fidei, il Vangelo» (Carnero, Pasolini e la Chiesa di Papa Francesco).
L'autore
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Michele La Rocca nato a Matera il 6 maggio 1977. Ordinato sacerdote il 26 giugno 2004.
Antropologo con Laurea Magistrale in Antropologia Teologica, conseguita nel 2004, e Dottore in Lettere con curriculum in Filologia Moderna, dopo aver conseguito Laurea Triennale in Letteratura, Arte, Musica e Spettacolo con curriculum Letterario. Attualmente, presta il suo servizio pastorale nell'Arcidiocesi di Matera-Irsina, ed è docente di Filosofia e Antropologia del Territorio e Seminario pratico di Religiosità Popolare presso ISSR "Pecci" di Matera. Svolge un lavoro di ricerca di stampo antropologico, in qualità di Assistente ecclesiastico presso l’Università degli Studi della Basilicata, ed è Coordinatore della Consulta diocesana delle Aggregazioni laicali. Responsabile dell’Ufficio Diocesano per la Causa dei Santi, e Delegato Arcivescovile per la Cultura, la Pastorale della Scuola, dell’Università e la Pastorale del Laicato.
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