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La terra della discordia

As bestas è un film con diversi livelli di lettura, come ogni buona opera d’arte. Possiamo guardarlo come una riflessione sull’ambiente e sui danni che l’uomo sta arrecando alla casa in cui vive. Allo stesso modo, è una riflessione sulla vita di chi si guadagna il pane con il lavoro dei campi e l’allevamento, non le grandi produzioni o l’allevamento intensivi, ma chi ancora lavora in prima persona guadagnandosi appena di che sopravvivere. Infine, o forse no, ci mette di fronte a due diverse, opposte, concezioni della vita.

Siamo in Galizia, la campagna della Galizia, una realtà per alcuni versi lontana da quella omologa italiana, per altri assai simile. Diversa perché è difficile per noi intendere gli agglomerati rurali tipici della Galizia e più in generale della Spagna. Chi di noi è nato in campagna, anche qui in Umbria, pensa ad una piccola realtà fatta comunque di 5.000 abitanti. Sono pochissimi i comuni con meno di 1.000 abitanti, mentre in Spagna siamo a oltre cinquemila comuni con meno di 1.000 abitanti, spesso frazionati in parroquias che contano tre o quattro famiglie in totale, che significa realtà abitative di meno di venti persone, come è il caso del film. Questo crea in chi è nato in tale contesto una certa diffidenza verso l’esterno, verso chi viene da fuori e anche condizioni di vita spesso simili a quelle di qualche secolo fa.

Ed è in uno di questi contesti che arriva una coppia di francesi che decide di stabilirsi in questo ridottissimo agglomerato galego, sconvolgendo l’equilibrio degli abitanti del posto. In particolare, gli autoctoni non riescono a capire perché i nuovi arrivati non votino a favore dell’installazione, da parte di una multinazionale straniera dell’energia, di impianti eolici nell’area circostante. Soprattutto perché la multinazionale sarebbe disposta a pagare bene i residenti, instillando in molti di loro il sogno di incassare quei soldi e lasciare finalmente la dura vita dei campi, andandosene a vivere in una città più grande senza dover più sudare sangue ogni giorno. Gli scontri più violenti sono con due fratelli, proprietari di una piccola fattoria confinante con la loro, che arrivano a danneggiare la loro proprietà e a alzare sempre di più il livello dello scontro.

Il film ha creato parecchie polemiche in Galizia, in quanto è stato visto come una pessima pubblicità per il Paese, quando non un insulto esplicito verso la sua realtà rurale e chi la abita. Ma in questo io vedo invece i punti di contatto con l’Italia cui accennavo sopra, ma più in generale con le piccole realtà rurali di tutta Europa, forse non solo dell’Europa. Potremmo spostare i protagonisti nell’entroterra umbro, o pugliese, calabrese, veneto, e il film funzionerebbe perfettamente, senza cambiare una riga della sceneggiatura.

Al di là dei contenuti, la bellezza del film risiede anche in splendide panoramiche sulla campagna galega, sui suoi toni di verde che sono una leggenda anche all’interno della Spagna, sulla perfetta illustrazione della fatica di lavorare la terra a livello familiare. La fotografia ci mostra in maniera eccellente una campagna tanto meravigliosa quanto profondamente diversa da quella italiana. Poi c’è la bravura dei protagonisti, in particolare di Luis Zahera, attore galego reso famoso da Netflix, dove è protagonista di un paio di serie di successo internazionale, che qui ci regala una delle sue migliori interpretazioni.

Il film è ispirato a un fatto di cronaca nera realmente avvenuto nel 2010 a Santoalla, una parroquia civil appunto come dicevo all’inizio, nel comune di Petín, in Galizia. Nel fatto di cronaca autentico i due “stranieri” che vanno a vivere in Galizia non sono francesi ma olandesi. Per il resto è molto fedele alla cronaca giudiziaria, compreso il ritardo e le modalità di svolgimento dell’inchiesta, che non voglio anticipare.

In un’intervista il regista e autore del film Rodrigo Sorogoyen ha sottolineato che voleva anche mettere in evidenza la paura dello straniero e la terribile realtà dello spopolamento delle piccole realtà territoriali, sia detto per inciso comune tanto alla Spagna quanto all’Italia, ci mette di fronte a due opposte visioni del mondo che si trasformano in una lotta per la sopravvivenza. Assai interessante è che però non prende posizione, non si schiera con nessuna delle due visioni, semplicemente ce le mostra, entrambe con i loro pro e i loro contro, e lascia allo spettatore, eventualmente, di propendere per l’una o per l’altra; oppure per nessuna, come fa lui, lasciandoci a riflettere come non necessariamente nella vita reale ci sia una divisione tra buoni e cattivi, tra scelte giuste o sbagliate. Entrambe, nel film, hanno le loro ragioni.

As Bestas ha vinto un premio ai Cesar, ha ottenuto 2 candidature e vinto un premio ai Lumiere Awards, 16 candidature a Goya. In Italia al botteghino ha incassato 264 mila euro e oltre 10.000.000 in tutto il mondo, buon risultato per un film che è comunque costato 3.500.000 euro.

attilio.castellucci@uniroma1.it

L'autore

Attilio Castellucci
Attilio Castellucci
Attilio Castellucci è laureato in Filologia Romanza presso la Sapienza, Università di Roma, materia nella quale ottiene anche il Dottorato di Ricerca. In seguito si trasferisce per cinque anni a Santiago de Compostela, dove lavorerà presso il centro di ricerche umanistiche “Ramón Piñeiro”. Attualmente lavora come tecnologo all'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, dove si occupa di comunicazione e realizza documentari; in passato ha esercitato anche con la qualifica di direttore di biblioteca. Per svagarsi, insegna alla Sapienza, Università di Roma, dove impartisce Lingua e Letteratura Galega ma, all'occorrenza, anche Filologia Romanza e Lingua Spagnola; materia, quest'ultima, che ha insegnato anche presso l'Università degli studi della Basilicata. Quando può, si dedica alla traduzione, con un discreto numero di titoli tradotti al suo attivo, soprattutto dal galego e dallo spagnolo, ma senza disdegnare altre lingue, quali il francese e l’inglese. È responsabile dell'accordo tra la Xunta de Galicia e la Sapienza, Università di Roma: dal 1999 dirige il CEG di Roma, il Centro di Studi Galeghi. Dal 2019 al 2022 ha fatto parte del Consiglio direttivo dell’AIEG, l’associazione internazionale di studi galeghi; attualmente, nella stessa associazione, fa parte del Consiglio Scientifico.