avvenimenti · In primo piano

Miti, vestigia, inganni. Dialogo con Stefano Marinucci  

Un’opera nata da un’inchiesta a puntate, come accadeva anni fa, sulle riviste cartacee. Nell’era del web lo spazio si è fatto impalpabile, è un luogo a tratti aspro, inospitale, votato all’ipertrofia. Facile perdersi in questo magma, quando le coordinate sfuggono e i sentieri si moltiplicano, articolandosi in molti rivoli. Stefano Marinucci però ha avuto pazienza. Ha messo insieme le fasi della sua indagine (pubblicata sul sito Abitarearoma.it) e ne ha fatto un libro di valore, con un apparato iconografico composto da immagini varie, che accompagnano il lettore lungo percorso esistenziale, di riscoperta della memoria alla ricerca, in fondo, del senso del luogo.

Reportage, racconto di viaggio, riflessione sul tempo e sulla storia. C’era una volta la Collatina Antica è un testo di confine, uno di quegli accessi ‘laterali’ attraverso cui comprendere non solo la materia – il nucleo del lavoro – ma anche molto del suo autore. Quanto c’è di lei in questo libro?

Un racconto di Durrenmatt aveva un incipit significativo e forse irripetibile: ci sono ancora delle storie possibili, storie per scrittori?

Un tratto esplicativo dell’opera sulla Collatina Antica potrei definirlo come una forma di smaterializzazione e osmosi, che consiste nella scomposizione del proprio essere dal luogo fisico dell’azione presente, e la successiva ricomposizione nei luoghi dell’immaginazione, del racconto, della narrazione storica. Anche per descrivere la personalità o la psicologia di un personaggio lo scrittore deve in un certo senso smaterializzarsi, denudarsi, entrare in un altro vestito. Stesso discorso vale per un luogo. Che sia stato visitato geograficamente o che sia stato letteralmente inventato. La Collatina Arnica ha intersecato i miei luoghi d’infanzia, i corsi d’acqua – poi ricoperti per la costruzione del quartiere moderno. Queste forme mutanti hanno rappresentato inconsciamente un accesso laterale per comprendere le trasformazioni di un paesaggio. Non soltanto su un piano prettamente urbanistico, architettonico. Ma anche interiore, fisiologico. La riflessione sulla descrizione di uno spazio comunitario, paesaggistico, non riguarda soltanto la tecnica compositiva, o l’utilizzo di un topos letterario – ma ha una valenza del tutto esistenziale.

Uno dei fuochi dell’opera la memoria: fragile, filtrante, episodica. Molte persone che lei incontra, nel corso sul suo percorso, non ricordano o non sanno, appaiono testimoni di un tempo stratificato, fatto di tracce che emergono disorganiche. È stato difficile mettere insieme questi tasselli? Come è possibile ricostruire una memoria archeologica che implichi ricordi personali, umani, e impronte materiali?

Il viaggio lungo l’antico tracciato della Collatina è un percorso nella contraddizione dell’universo frammentato che si è costituito intono a concetti chiave come corpo, ecosistema, identità. È un itinerario che ha attraversato i limiti dell’urbanistica contemporanea, posizionandosi in una zona di frontiera e di confine. In questo senso la memoria, che fino a qualche anno fa poteva rappresentare ancora un cardine tra una generazione e un’altra, oppure poteva ancora rispecchiarne un luogo, oggi sembra investita di un processo irreversibile. Senza ritorno. La memoria frammentata dei personaggi rispecchia tale crisi: spinta a cercarsi nei propri doppi, nelle immagini moltiplicate del digitale, creando un vero e proprio mercato di intermittenze. L’aspirazione utopica è sostituita da una temporalità fine a sé stessa. D’altronde tutti i monumenti rinvenuti, alcuni ingabbiati, vivono la stessa forma di obnubilamento.

Lo stato degli ecosistemi è un altro tema centrale. Il massacro del patrimonio ambientale, il consumo di suolo, la gestione dei rifiuti; tutto, nella sua riflessione, si intreccia a un’idea di antropizzazione selvaggia. C’è, in questo, una coscienza ecologica che, da un lato, richiama le riflessioni dei grandi intellettuali del Novecento (da Thoreau a Calvino, da Rigoni Stern a Franzen), dall’altro si situa in un periodo in cui il danno ambientale è un’urgenza inderogabile. Cosa può fare la letteratura, in tal senso?

Nel settembre del 1966, in Problemi urbanistici del nostro tempo, Antonio Cederna scriveva: “è la stessa nozione di paesaggio e natura che deve mutare, se vogliamo che le cose cambino (e qui risalta tutta la immaturità di coloro che hanno le maggiori responsabilità nella formazione della opinione pubblica): occorre considerare la natura come oggetto di utilità pubblica; litorali, monti, boschi, laghi, campagne come patrimonio della società e accessibile a tutti; il verde ai vari livelli (urbano e territoriale) come servizio pubblico indispensabile, essenziale alla salute, alla ricreazione, alla cultura, al migliore impiego del tempo libero della intera collettività nazionale”.

È piuttosto bizzarro che in mezzo secolo di storia si sia tutelato il nostro patrimonio archeologico e paesaggistico in modo davvero fluttuante, con risposte tardive, a volte inutili, altre volte soltanto grazie alla spinta di associazioni, volontari, gruppi di cittadini. Penso ai Contratti di Fiume, oppure alle Riserve naturali protette grazie alle mobilitazioni e alla tenacia dei Comitati. La scrittura dovrebbe ritornare a essere uno strumento di indagine e inchiesta, una specie di scandaglio per denunciare episodi gravi, soprattutto in ambito ambientale. Anche solo per far emergere una coscienza ecologica fin troppo maltrattata.

Non ho usato a caso il termine letteratura. C’era una volta la Collatina Antica ha un titolo che ricorda l’incipit delle favole, è un testo costruito per immagini vivide, tattili, un racconto a più voci, dallo stile narrativo, denso di figure di senso e suono. A cosa si deve questa scelta?

La scelta di questo genere ibrido ha a che fare sicuramente con l’aver vissuto per tanti anni all’interno della Casa della Studentessa di Casalbertone – dove passava la via Collatina Antica: un tratto è stato rinvenuto per la costruzione del nuovo mercato di quartiere e dopo tanti anni aspetta ancora di essere musealizzata. È da questo luogo che ha inizio una sorta di postmodernismo culturale, cioè un nuovo genere letterario che parte dalla mescolanza di diversi flussi narrativi per arrivare a un processo infinito di sincretismo. Anche dalla ristrutturazione radicale delle forme di espressione, si può giungere a una forma alternativa rispetto a quella dei prodotti industriali in serie. La natura letteraria ormai sembra colonizzata da fenomeni di mercato. E in questa ottica forse la scelta di un non-genere potrebbe nobilitare e veicolare i messaggi che sono stati registrati durante il nostro viaggio lungo la Collatina Antica.

Nei ringraziamenti lei cita una frase di Montanari: «La battaglia educativa è perciò imprescindibile per costruire una possibile idea di avvenire per l’Italia». Senza scadere nella banalità, cosa può fare la scuola sul piano della conservazione dell’identità e del patrimonio storico-ambientale che possediamo?

Avere un’attenzione verso i beni culturali cosiddetti minori, o periferici, spesso dimenticati e lasciati al proprio destino, dovrebbe essere un impegno di enti pubblici e comitati di cittadini. Organizzare eventi che possano promuovere attività di sensibilizzazione, con progetti di ricerca, tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Un esempio concreto: grazie al finanziamento della Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma, la Villa Romana di Podere Anna è stata interessata da lavori di messa in sicurezza, pulizia e preconsolidamento.

È un sito che si trova ai confini con il quartiere di S. Basilio e da molti anni è stato “adottato” dal vicino I.C. Nicolai. Ogni anno questo istituto dedica al sito archeologico parte dei propri programmi formativi, nell’ambito della scuola primaria e della secondaria di primo grado. Un luogo può realmente trasformarsi da ricettacolo di accampamenti e degradazioni a un momento di riscatto culturale, per non sentirsi ripetere un’altra volta la famosa frase di Goethe: questi uomini lavorarono per l’eternità ed avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che son venuti dopo ed innanzi ai quali tutto doveva cedere.

L'autore

Costanza Pulsoni
Amante della lettura ed economista per professione. Nuotando alterna lo stile libero e la rana, ma non ama giocare a carte.