Il 26 aprile avrebbe compiuto 100 anni Luciana Stegagno Picchio, originaria di Alessandria. Credo che sia la prima volta in assoluto che parlo degli anni della Stegagno. Quando era viva nessuno era in grado di dire che età avesse e, oltretutto, lei odiava parlare del passato, amando vivere con passione il presente.
Proprio in quel corridoio di destra del terzo piano della facoltà di Lettere della “Sapienza”, dov’era il suo studio, fu segnato il mio cammino. La Stegagno era un professore universitario (non le piaceva essere chiamata professoressa, diceva di non insegnare al liceo…) che si amava a prima vista o la si evitava. Alla vigilia degli esami, molti ne tessevano le lodi più sperticate, mentre altri affermavano che era una persona assolutamente imprevedibile. Di fatto la Stegagno si trovava esattamente a metà strada tra l’una e l’altra affermazione, dolce e comprensiva con gli amici o con chi riteneva tale, ma impenetrabile con chi non le andava a genio. Forte senso del dovere, derivato in parte da quel rigore filologico, nato probabilmente all’indomani dell’amicizia e collaborazione con Roman Jackobson, nelle sue lezioni di letteratura portoghese soffiava un vento nuovo anche sulle pagine di quel Romanceiro Tradicional Portugues, in cui lei argomentava con disinvoltura sia tra le versioni più arcaiche, che tra le ricostruzioni romantiche di Almeida Garrett. È bene ricordare che alla fine degli anni ’80, la lingua e la cultura portoghese erano abbastanza sconosciute agli italiani, solo un ristrettissimo gruppo di specialisti ne conosceva l’esistenza. Fu infatti solo dopo il film di Wenders, Lisbon story (1994), che il Portogallo si mostrò agli altri paesi europei, entrando anche tra le rotte turistiche degli italiani. Sempre tra la fine degli anni 80 e i primi anni 90, incominciarono a circolare con piú frequenza le traduzioni di Tabucchi del suo amato Pessoa, si quel Tabucchi che, di fatto, era un altro “figlio” della Stegagno.
L’impressione che si desumeva, frequentando le sue lezioni di lingua e letteratura portoghese, era quella di un Portogallo, che assieme alla penisola iberica, fosse diverso da tutto, staccato dagli altri paesi, proprio come vuole la bella metafora di Saramago in Jangada de Pedra, una zattera-paese, appunto, che si stacca dal resto dell’Europa.
Ma Luciana Stegagno amava anche il Brasile, forse più come memoria di un primo amore. Una volta tornata da un lungo viaggio – ne faceva almeno due all’anno – mi disse “ il Brasile è per i giovani, non va bene per chi non è più giovane” (era il 1989). Al momento non compresi cosa volesse dire, ma ora che sono andato avanti negli anni anch’io, dopo ventidue anni di vita carioca, mi rendo conto che aveva ragione: il Brasile è un paese giovane, in tutti i sensi, lo spirito delle persone non vanta pretese storiche, si vive il momento, l’immediato, come se non ci fosse un domani.
Grazie a Luciana Stegagno venni a conoscere l’unico ramo florido del futurismo italiano, quello germogliato nella settimana di arte moderna di S. Paulo nel 1922, poeti straordinari come Manuel Bandeira, Mario de Andrade, anche se poi il mio preferito in assoluto divenne Drummond. Un altro grande merito di Luciana Stegano fu nel far riscoprire Murilo Mendes, sia in Brasile che ovviamente in Italia. Questo poeta e scrittore mineiro, nato a Juiz de Fora nel 1901 (morirà a Lisbona nel 1975), nel 1952 conosce il padre del surrealismo a Parigi, André Breton, e parteciperà anche ai suoi funerali nel 1966. Per questo Murilo Mendes sarà considerato prevalentemente come uno scrittore surrealista. L’incontro che ebbe nel 1957 con la Stegagno darà vita a un mutuo scambio tra Brasile e Italia, al punto che nel 1978 uscirà, un libro postumo di poesie in italiano di Murilo Mendes, intitolato Ipotesi. Anche se delle traduzioni delle sue opere se ne erano occupate persone del calibro di Ungaretti e di Jacobbi, fu della Stegagno l’organizzazione della Poesia completa e prosa (Rio de Janeiro, Nova Aguilar, 1995), ma anche il merito d’aver ricordato, in una delle sue ultime riflessioni (Murilo Mendes, l’occhio del poeta, Roma, Gangemi Editore, 2001), che Mendes scrisse, durante il suo periodo romano, un catalogo per le esposizioni dei suoi amici artisti, sensibile com’era al messaggio universale dell’arte.
Della Stegagno ricordo, nel centenario dalla nascita, non solo le onorificenze ricevute in Italia e all’estero (la laurea honoris causa dell’Università di Lisbona del 1997, la nomina come membro corrispondente della “Accademia Brasileira de Letras”, e così via), ma soprattutto il merito d’avermi aperto un mondo bellissimo, un ponte da percorrere tra il Portogallo e il Brasile, attraverso il quale mi ha guidato con allegria, serietà e profonda umanità.
L'autore
- Guido Alberto Bonomini, è nato a Roma e insegna Lingua e Letteratura italiana presso l’ Universidade Federal Fluminense (UFF) di Niterói, Rio de Janeiro, dal 2002. Proviene dalla Sapienza di Roma, dove ha seguito i corsi di filologia romanza col prof. R. Antonelli ma si è poi laureato in Letteratura Brasiliana con la Prof. Luciana Stegagno Picchio. Ha un Master in linguistica applicata ottenuto presso l’Universidade Federal do Rio de Janeiro (UFRJ) e un dottorato in Letterature Comparate della Universidade Federal Fluminense (UFF). Si occupa prevalentemente di studi storici linguistici e teoria della traduzione.
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