Se indugio sulla prima parte del curriculum di Marco Fiori, oggi unanimemente apprezzato conoscitore raffinato d’arte, in particolare, di grafica, è perché il tratto che contraddistingue la sua vita giovanile può sembrare molto distante da come si è venuta profilando la sua personalità. Il suo approdo nell’arte è frutto di grande passione in un percorso che può essere definito quello di un self made man. Affido pertanto la narrazione alle sue stesse parole: «A 11 anni ho iniziato a frequentare le tre classi dell’avviamento industriale alle Aldini Valeriani in via Zamboni e in via Castiglione per le esercitazioni di officina. A 15 anni ho iniziato a lavorare come apprendista operaio alla GD che, negli anni, sarebbe diventata leader mondiale nella costruzione di macchine automatiche per la produzione e l’impacchettamento delle sigarette. A 17 anni mi sono iscritto all’ “Istituto Tecnico Industriale Serale Sessennale Aldini Valeriani” con sede in via Castiglione a fianco del Liceo Galvani. Di giorno lavoravo in GD e per sei anni tutti i giorni dal lunedì al sabato dalle 19,30 alle 23,30 più la domenica mattina dalle 8,30 alle 12,30 ero a scuola. A 22 anni mi sono diplomato Perito Industriale; era il 1970 e lo stesso anno mi sono sposato e diventato padre. Passato nella categoria impiegatizia, sempre in GD sono entrato in Ufficio Tecnico iniziando una carriera professionale che nell’arco degli anni mi ha portato ad essere responsabile come Quadro direttivo di uno degli uffici tecnici. A 54 anni, con 39 anni di anzianità aziendale, sono andato in pensione e ho iniziato a dedicarmi a tempo pieno all’arte, in particolare alla grafica che, fin dall’età di 22 anni coltivavo con passione sia come collezionista che come “studioso” autodidatta».
Oggi, Marco Fiori entra nelle scuole, invitato dai Presidi per trasmettere agli studenti il bagaglio di conoscenze, di cui è necessario dotarsi se ci si vuole avvicinare non solo agli artisti contemporanei; è chiamato in consessi in cui si discute del passato e del futuro soprattutto della grafica contemporanea; è tenuto in considerazione nell’allestimento di mostre e non solo quelle dell’ALI (Associazione Liberi Incisori) di cui è Presidente fin dalla fondazione, ed è costantemente interpellato per le sue vastissime conoscenze dai collezionisti di grafiche anche in libri d’artista. Oggi il Perito Industriale Marco Fiori è fra gli astri dei collezionisti, fra quelli che conoscono a fondo ciò che con divinatio ma anche con piena consapevolezza hanno adunato nel tempo, ed è una voce fra le più ascoltate del difficile mondo della grafica d’arte.
I tuoi 22 anni coincidono con il tuo diploma, il matrimonio e, se non sbaglio, con una tua matura considerazione dell’arte alla quale cominciavi allora ad interessarti. È così? Se questo è l’esordio puoi dirci come poi sei riuscito a tenere insieme lavoro e passione per la grafica, in particolare per quella contemporanea?
Un collega di lavoro, molto più anziano di me, quasi cinquantenne, frequentava il DAMS, era sicuramente un “metalmeccanico atipico” a quell’epoca e iniziai ad utilizzarlo come consulente per le infinite curiosità legate al mondo dell’arte in tutte le sue sfaccettature. Come tanti curiosi mi ero “svezzato” sul classico volume La storia dell’arte raccontata da E. H. Gombrich particolarmente adatto agli autodidatti per la chiarezza delle spiegazioni e per il supporto iconografico previsto per ogni opera descritta, e il collega mi consigliò alcuni testi che dovevo assolutamente leggere per formarmi una m base minima di conoscenze. Ricordo fra questi Le avanguardie artistiche del Novecento di Mario De Micheli, Ultime tendenze dell’arte di oggi di Gillo Dorfles, Scritti di Picasso a cura di Mario De Michelis, e Arte e Anarchia di Edgar Wind. Iniziai con questo collega, ogni sabato pomeriggio, a girare per le principali Gallerie d’Arte di Bologna e per le librerie del centro, in particolare la Feltrinelli perché, scoprii, che si poteva stare anche delle ore nel reparto dei libri d’arte a sfogliarli con cura senza che nessuno ti disturbasse o chiedesse alcunché. Fu grazie a queste visite che entrai in contatto per la prima volta con l’universo dei libri e dell’editoria specialistica, e fu grazie a questo maturo collega che classificai le principali Gallerie bolognesi, a secondo delle “specialità” delle correnti e degli artisti solitamente trattati. Fu nel novembre del 1971 che per la prima volta acquistai un’incisione. In quegli anni lavoravo insieme ad altre quattro persone nella Sala Esperimenti della GD e da poco ero passato dalla qualifica di operaio a quella di impiegato. Un collega mio coetaneo, prossimo alle nozze, mi invitò ad accompagnarlo a vedere delle acqueforti in casa di un amico che, diceva, le aveva in conto vendita da una stamperia d’arte bolognese che realizzava cose bellissime: la Sanleonardo. Sulle pareti di quella casa vidi stampe affascinanti, dalle cartelle mi arrivò per la prima volta il profumo della carta inchiostrata, incontrai un’incisione di Luciano De Vita con un groviglio di neri che brillavano attraverso la cornice. Tornai a casa con una acquaforte di Carlo Leoni, non lo conoscevo e non era nemmeno una immagine accattivante per un principiante ma andò cosi: quello fu il primo foglio della mia collezione.
Dalla passione all’accumulazione, come è avvenuto il passaggio e come si è configurata dapprima la tua collezione? Chi ti ha dapprima indirizzato? Hai seguito un iter cronologico e/o tematico o importante è stato possedere il meglio di vari autori? Quali le tue preferenze iniziali e quali quelle attuali?
Il primo desiderio fu quello di possedere opere degli incisori – escludendo Morandi già fuori da ogni possibilità economica – dei quali più si parlava in quegli anni a Bologna: Manaresi, Minguzzi, Romagnoli; ma innanzitutto Luciano De Vita del quale comprai l’incisione che avevo visto incorniciata e che divenne così il secondo ingresso della collezione. Per De Vita provavo un interesse enorme, le opere giovanili risultavano introvabili e in particolare alcune del periodo informale dai titoli accattivanti come Il nucleo, La goccia, Il Margheritone le avevo idealizzate come irraggiungibili. Se qualcuno a quei tempi avesse pronosticato che un giorno avrei avuto in collezione la quasi totalità delle incisioni di De Vita lo avrei preso per matto. All’inizio di questa passione mi era complice un carissimo amico, conosciuto sui banchi delle Aldini, col quale capitava di partecipare alle aste della Galleria “Il Nettuno” negli stessi ambienti di via D’Azeglio dove oggi c’è la “Galleria Maggiore”. Con questo amico (divenuto negli anni dirigente in una piccola azienda) avevamo trovato per entrambi un lavoretto di limatura da fare dopo cena, nella cantina di casa, per racimolare mensilmente una piccola somma da spendere in stampe senza intaccare il bilancio familiare…
Cominciai in quel periodo a frequentare il Circolo Artistico di via Clavature dove, saltuariamente, poteva capitare con un po’ di fortuna e molta attenzione di fare acquisti importanti. Ricordo per esempio una magnifica litografia di Vedova, un solo esemplare avvolto nella velina dall’artista stesso che lo aveva spedito a sostegno delle iniziative culturali del Circolo. Insieme all’amico di scuola, che a quell’epoca lavorava in una grande azienda elettromeccanica cittadina, entrai in contatto con un agente delle edizioni di Gian Alvise Salamon che, a sua volta, era un appassionato collezionista di stampe e libri d’arte. Si allargava sempre più un piccolo ventaglio di conoscenze, informazioni e contatti. Il collega di lavoro che stava per laurearsi al DAMS con una tesi su Georges Rouault, mi sconsigliava di avventurarmi come collezionista di stampe o di opere d’arte in generale. “Vedi, mi diceva, bene che vada nell’arco di una vita persone come noi potrebbero acquistare al massimo cento opere, non sono nulla ed è meglio neanche iniziare”. Non gli diedi ascolto, in quegli anni il mercato delle stampe d’arte era di moda e, nonostante le iniziative truffaldine di alcuni editori di stampe fotomeccaniche spacciate per originali, cercai di gestirmi al meglio approfondendo la conoscenza e i contatti con gallerie, editori e stamperie specializzate nella grafica di qualità. Compresi che il patrimonio più grande di un serio collezionista fosse quello di crearsi una rosa di venditori affidabili coi quali creare rapporti di reciproca fiducia e rispetto. Risalgono alla fine degli anni Settanta i contatti più o meno saltuari ma stabili e duraturi con Gallerie e Case di vendita come Stamparte, la de Foscherari, Prandi, Il Bisonte e altri, che negli anni hanno portato a una scelta di acquisizioni meditate e soddisfacenti. Credo che poter scegliere il meglio di ogni autore sia fondamentale, e questo è possibile quando si è interpellati per primi da chi desidera vendere. Avere insomma a disposizione “la prima scelta” è una conquista molto importante per un collezionista.
So che sei un collezionista ordinatissimo: quali i criteri a cui ti sei ispirato per ordinare le tue stampe e i tuoi tanti libri d’artista?
Ho sempre avuto un rapporto di grande amore e rispetto per i libri. Prima ancora di appassionarmi ai libri d’artista ho cercato nei limiti del possibile di acquisire i cataloghi ragionati degli incisori. Credo che una collezione d’arte in generale ma soprattutto di stampe si senta orfana se non è coadiuvata da un apparato bibliografico che la possa documentare al meglio. Ogni stampa acquisita, piccola o grande che sia, aldilà del valore e dell’importanza storica, la fotografo o, quando possibile, la scansiono con risoluzioni di alta qualità che conservo in ordine alfabetico dell’autore nel computer e in una memoria esterna. Inoltre di ogni opera faccio una scheda sulla quale riporto la foto dell’opera, i dati identificativi come dimensioni, carta, numero esemplare e le informazioni estratte dai cataloghi ragionati, listini di vendita o altro. Inoltre, registro tutti i dati riferiti all’acquisto, provenienza ecc. Le schede le stampo e le conservo in forma cartacea in una serie di raccoglitori. Mi riprometto da tanto di digitalizzare tutte le schede ma è un lavoro lungo. Le stampe sciolte sono conservate in apposite cassettiere, per le quali alcuni anni fa feci costruire una serie di raccoglitori in tela di due formati diversi per ogni lettera dell’alfabeto, atte a contenere la maggior parte delle stampe singole. Le stampe edite in cartelle complete le conservo nella loro veste editoriale in verticale, come fossero dei grandi libri, e spesso affiancati a libri di grandi dimensioni. Per i libri d’artista seguo un analogo criterio. Da una certa data li fotografo, dalla copertina al colophon alle pagine principali. Ho un lavoro arretrato per i libri acquisiti da molto tempo.
Spesso si dice che il collezionista aduna in silenzio il suo grisbì. Non è così che invece tu ti poni nei confronti di chiunque ti chieda pareri e desideri vedere la tua collezione. Pensi che il collezionista sia bene che partecipi le proprie conoscenze? È così che ti poni nell’agone dello specialismo?
No, assolutamente, non nutro nessuna forma di gelosia nel mostrare la mia raccolta o a parlarne. Credo di essere un collezionista atipico perché l’unica condizione che pongo è che esista un reale interesse per ciò che faccio vedere. Non sono in tanti a interessarsi di grafica d’arte. Sarei felicissimo di scoprire un giorno che almeno uno dei miei due nipoti (attualmente 12 e 17 anni) mostrassero segnali positivi al riguardo. Quando iniziai ad appassionarmi a queste cose se non avessi avuto i riferimenti, che ho prima ricordato, non avrei maturato in modo consapevole questa passione.
A proposito di libri d’artista come si sono imposti nella tua collezione? Prima è venuto l’amore per le stampe sciolte o quello per le espressioni grafiche nelle pagine? E come fai per mantenerti aggiornato in entrambi i settori?
Credo che le due cose si compensino a vicenda. Fin da bambino, quando sfogliavo dei libri illustrati le immagini disegnate mi colpivano più di tante anonime fotografie. Così come le locandine e i manifesti dei film, sempre a colori anche quando le pellicole erano girate in bianco e nero, alimentavano curiosità e fantasia. Negli anni Ottanta iniziai a frequentare con regolarità mercatini e fiere di libri d’arte ogni volta che ne avevo occasione. Cominciai così a trovare qualche stampa originale inserita in un libro, che magari conoscevo perché l’avevo visto pubblicato sui cataloghi di Prandi. Poi un amico gallerista mi propose l’acquisto di due libri meravigliosi con pagamento dilazionato, erano Terre d’Emilia di Bacchelli-Manaresi e L’inverno del signor d’Aubigné con le tre incisioni di De Vita. Fu l’inizio di una nuova impegnativa passione che si affiancava alla raccolta di sole stampe. Mi sembrava incredibile che tanti libri d’artista fossero stati letteralmente “cannibalizzati” staccando le stampe d’arte inserite per venderle singolarmente dentro una cornice; stessa sorte per riviste come “XX Secolo” o “Derrière le miroir”, che cercavo sempre integre e perfettamente conservate. Credo che collezionare libri d’artista sia un deterrente per questa pratica orrenda. Essere aggiornati delle novità in campo librario e delle proposte di vendita è oggi abbastanza facile. Ricevo regolarmente da librerie, piccoli editori e stamperie cataloghi e proposte librarie di vario genere. Senza dimenticare, inoltre, la malinconica realtà di questi tempi dove collezioni di libri e stampe vengono spesso disperse in fretta e furia da eredi inadeguati, i quali, al solo scopo di liberare in poco tempo un immobile, alimentano un sottomercato parallelo a quello delle librerie specializzate, gestito senza competenza e passione, danneggiando in egual misura collezionisti, artisti ed editori.
Quando hai avvertito il bisogno di affiancare alla passione per l’arte anche un’attività strettamente a essa congiunta, che oggi ti fa essere un collezionista sui generis proiettato nello stesso mondo di cui sei avido cultore/possessore di espressioni soprattutto grafiche?
Luciana Tabarroni, grande collezionista di stampe d’arte moderne e contemporanee, nella prefazione del catalogo Prandi del 1991 citava una riflessione dello scrittore moscovita Jurij Nabigin che diceva: “collezionare cose è un sotterfugio atto a mettere insieme una personalità disgregata”. Poi aggiungeva “Le gioie e le soddisfazioni che provengono da questo mestiere-vocazione sono così intense e così particolari che – pur dando ragione al signor Jurij Nagibin – ci si sente ben felici di avere avuto la fortuna di nascere con «una personalità disgregata»”.
Non ho mai trovato una definizione più appropriata per definire un collezionista, né un motivo logico e razionale per il quale una persona decida di passare la vita vincolato a un perenne impegno mentale ed economico se non, appunto, la convinzione di avere avuto la fortuna di nascere con questo difetto. I sintomi di questa febbre li ho avvertiti subito dopo i primi acquisti in giovanissima età, poi sono progrediti rapidamente insieme all’acquisizione di una sempre maggiore competenza, di fortunati incontri e fondamentali conoscenze e amicizie con artisti, collezionisti e operatori culturali. Mi capitò di scrivere che la distinzione fra collezionisti, appassionati o acquirenti di grafica è quanto mai opportuna. Conosco persone che raccolgono stampe da tantissimi anni ma non si definiscono “collezionisti” in quanto, volta per volta, acquistano solo le opere delle quali ritengono gradevole circondarsi. Il collezionista vero è diverso: nasce con una particolare predisposizione e, quando compra, cerca essenzialmente di riempire degli spazi, delle caselle vuote che si è creato nella mente. In definitiva, se ad un collezionista in vena di acquisti chiediamo cosa gli interessi trovare è probabile che risponda, sinteticamente, “cose importanti” che, non necessariamente, corrispondono a opere con elevato valore di mercato.
Come sei pervenuto alla presidenza dell’ALI e come si configura la tua collaborazione con un critico d’eccezione quale Marzio Dall’Acqua, con il quale hai dato vita a due collane di libri che narrano la storia dell’ALI e dei suoi numerosi iscritti e ‘nobili’ sostenitori?
L’ALI, l’Associazione Liberi Incisori, venne fondata nel 2009 a seguito della chiusura dell’A.I.E.R., l’Associazione Incisori Emiliano Romagnoli fondata da Giuseppe Zunica nel 1997 e della quale ero presidente in carica da gennaio 2008. Marzio Dall’Acqua, allora Soprintendente Archivistico dell’Emilia Romagna, incuriosito aveva manifestato il desiderio di conoscermi e lo incontrai per la prima volta nella nuova sede degli uffici in Strada Maggiore a poche centinaia di metri dalle Due Torri. Ci piacemmo subito, entrambi siamo più portati ad agire che ad impiegare il tempo in lunghe disquisizioni, e già dal primo incontro programmammo la mostra che avrebbe dopo pochi mesi inaugurato la nuova sede archivistica e la nuova associazione. In seguito alla mostra nacque anche la prima pubblicazione dell’ALI, non in veste di catalogo, dal titolo Dialoghi d’amore fra carte e inchiostri che evocava benissimo il connubio fra la nuova dimora di “vecchie e antiche carte” e la neonata associazione. In seguito abbiamo realizzato per ALI ventisette pubblicazioni nell’arco di dieci anni, pubblicazioni che mettono in primo piano una cinquantina di artisti associati, calcografi e xilografi di ogni regione italiana, con il contributo di scrittori, poeti, critici e storici dell’arte. Fra le pubblicazioni citate, cinque fanno parte della serie dei “Quaderni”, e la trattazione è affidata di volta in volta a specialisti degli argomenti in oggetto. Dopo il primo Quaderno, di carattere tecnico sui metodi d’incisione atossici, ne sono seguiti fino ad oggi altri quattro su argomenti di vario spessore e con collaboratori di grande prestigio fra i quali Andrea Emiliani, al quale abbiamo dedicato il Quaderno n° 5 interamente impostato su Luciano De Vita. Credo che questa pubblicazione, uscita dopo L’Arte nell’Anarchia, Collezionare grafica d’arte e Andrea Emiliani: scritti sull’incisione e altro, sia stata come impegno organizzativo fra le cose più importanti edite dall’ALI. Di prossima uscita, il Quaderno ALI n° 6, Storia della xilografia in Italia nel Secolo XX, realizzato da Gianfranco Schialvino. Presto inizieremo a parlarne. Tutto ciò naturalmente è reso possibile dall’appoggio di un discreto numero di soci sostenitori, persone perspicaci e curiose fra le quali diversi collezionisti e personalità del mondo dell’arte e della cultura, i più “attenti” osservatori delle opere degli artisti associati. Tutte le pubblicazioni, annuari, cataloghi e quaderni, vengono distribuite gratuitamente in centinaia di copie ad enti pubblici e privati in ogni zona d’Italia, e ai soci sostenitori sono destinate le copie di testa con inserita un’incisione appositamente realizzata per loro oltre, naturalmente, a una cartella annuale di grande formato in edizione esclusiva e fuori commercio.
Negli ultimi anni l’ALI è vissuta anche sotto l’ala protettrice di Andrea Emiliani, uno ‘sponsor’ culturale di rinomanza internazionale. Come ricordi quel periodo e quale l’eredità nella grafica che vorresti poter continuare per perpetuare il magistero di Emiliani?
Oltre all’ammirazione per la rilevanza storica e scientifica dello studioso, per oltre mezzo secolo Andrea Emiliani ha trasmesso a molti della mia generazione una soggezione, quasi inconscia, per la sua autorevolezza. Lo frequentai con regolarità solo negli ultimi anni della sua vita, sempre lucido e sagace, spesso ironico, e mi resi conto di quanto avessi perso sul piano umano a non averlo incontrato anni prima. Nel 2017, nell’ambito di una mostra dell’ALI all’interno di Palazzo D’Accursio, venne organizzata una conferenza presso la “Sala degli Anziani”, dove Emiliani era l’oratore più atteso. In quella occasione io e Dall’Acqua annunciammo il progetto di realizzare un Quaderno dedicato a De Vita e chiedemmo ad Emiliani di esserne il curatore. Lui accettò, poi il progetto slittò di un anno per far coincidere l’evento con i novanta anni di De Vita. Pensammo allora di realizzare il Quaderno dedicato agli scritti di Emiliani sull’incisione con la sua totale e fattiva collaborazione. Fu un periodo piacevole, almeno una volta al mese ci incontravamo nel suo ufficio, sede dell’Accademia Clementina all’interno della Pinacoteca Nazionale di Bologna e poi, dopo le tredici e trenta, andavamo a mangiare alla vicina “Cambusa” con amici e docenti dell’Accademia di Belle Arti. Gli ultimi ricordi sono dell’ultima volta che andai a trovarlo al Sant’Orsola, mi chiese come stava andando la pubblicazione su De Vita, che non aveva dimenticato… Emiliani è stato sicuramente un notevole “sponsor” culturale per l’ALI e non escludo che in futuro si possa progettare qualche cosa che ne coinvolga il lavoro e la memoria.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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