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La polvere sui biancospini della “Strada di Morandi”

Attilio Bertolucci mi raccontò di essere andato a visitare Giorgio Morandi nella casa bolognese di Via Fondazza insieme a Roberto Longhi, del quale era allievo, e di non aver accettato, per incertezza e forse riserbo, l’invito a scegliere un’opera, che il pittore gli aveva generosamente offerto. Se ne rammaricò nel corso del tempo, ma mitigò il rimpianto entrando nel cuore della sua pittura, seguendo con particolare interesse le esposizioni sin dalle Biennali di Venezia del 1948 e del 1950, scrivendone in pagine luminose e vere. Era una verità che coglieva «il miracolo» e l’incanto delle variazioni su due o tre temi e «il messaggio discreto dei muri dorati e dei silenti alberi verdi» di quel «raro ma assoluto paesista». Il poeta intervenne ancora sul «Gatto selvatico», la rivista dell’Eni che diresse dal 1955 al 1963, in una controcopertina (Lezioni d’arte. Giorgio Morandi), nella quale, muovendo da Cezanne, la cui geometrizzazione della natura interessò Morandi, esaltò la ricreazione compositiva e cromatica degli «oggetti più quotidiani e polverosi della casa», l’intensità degli accordi di colore e dello spazio, ora lirico ora drammatico, che ritmando l’ambiente e gli oggetti, profondamente sentiti, li rendeva monumentali, donando loro la severa misura dell’arte italiana prima del Cinquecento.

Ma già nel 1949, a proposito di una mostra al Ridotto del Teatro Regio di Parma, l’aveva definito «poeta assoluto», emozionandosi di fronte agli «scorporati grigi ed azzurri» di una piccola Natura morta, registrando il valore universale della poesia del quotidiano, che era anche sua. Considerò poi con favore, ricordando anche la prolusione di Longhi all’Università di Bologna (1934-35) dedicata Momenti della pittura bolognese e chiusa con la definizione di Morandi come di «uno dei migliori pittori viventi d’Italia», il Morandi di Arcangeli (Il romanzo di Francesco Arcangeli), un «romanzo italiano, solare, con pausate ombre», un romanzo «avvolgente, generoso», infine «stupendo», grazie anche all’alta qualità della scrittura, che coniugava «Longhi, da cui Arcangeli partì, e Ruskin, cui Arcangeli arrivò».

Sappiamo però che Morandi non apprezzò il saggio lungo e appassionato di Arcangeli, come ci racconta nel suo Un aquilone, perché Luigi Lambertini, che fu testimone del dissidio tra lo storico dell’arte e il pittore, un dissidio di dominio pubblico e tanto grave da impedire al suo autore di pubblicare la monografia. Quello che Morandi non aveva potuto accettare «era che Arcangeli, nel tracciare un dettagliato quadro storico, avesse dato largo spazio a correlazioni tra personaggi e opere di altri artisti, con diretti paragoni o richiami ai suoi dipinti e viceversa; avesse trascurato le sue osservazioni nel corso dell’opera e soprattutto lo avesse messo alla pari di certi grandi maestri:[…] “Lo sa che ha perfino scritto che certi miei quadri stanno al passo con quelli di Picasso e di Braque? E lo sa che Braque ha sempre risposto ai miei auguri di Natale? Dica lei, posso lasciare una cosa del genere nella mia monografia? Braque cosa ne penserebbe”». Lo avevano irritato soprattutto le affermazioni nei confronti di Cesare Brandi e Giulio Carlo Argan, i critici che, esprimendosi sulla sua arte, avevano meritato da lui considerazione e rispetto.
Il ritratto, che Lambertini fa, è assai vivo ed è quello di un pittore che sembra, per modestia o per orgoglio, rifiutare la grandezza che Arcangeli, nella sua autonoma visione di studioso e nel desiderio di dare una dimensione nuova al proprio lavoro critico, desiderava sottolineare, accostandolo ad artisti e a movimenti, soprattutto all’informale padano letto in chiave naturalista, al centro dei suoi interessi. Roberto Tassi osserva tuttavia che il libro, che Arcangeli stava elaborando, era giunto al culmine di un approfondimento che, oltre a canoni estetici e formalistici, mirava cogliere il «peso e significato d’esistenza nell’opera d’arte». Per questo il tonalismo di Morandi, che viene, non tanto glorificato, ma interpretato in rapporto al tempo storico, non è «soltanto il segno di una misura, di una suprema quiete, di una cristallizzazione formale assoluta, ma può diventare in Morandi addirittura l’opposto, il tramite di un’inquietudine, di un’angoscia agitata, di una disperazione profonda, può dar vita, fantomatica, ma vera, alle ombre dell’inconscio». (La vita e il tempo di Morandi. Come un eroe di Conrad. Il sodalizio con Francesco Arcangeli). Era forse questo racconto critico e inventivo, esistenziale, che voleva «intender Morandi non soltanto come pittore e come artista…ma anche come uomo», come si lesse nella premessa, a dispiacere al pittore? D’altra parte Bertolucci, che, oltre ad essere finissimo poeta, era anche storico dell’arte, non definisce il Morandi «romanzo», indicando il carattere creativo e originale, per la compresenza di sostanza autobiografica e d’interpretazione dell’arte? È certo peraltro che, se il rapporto tra il critico e l’artista precedentemente era stato molto amichevole e affettuoso, come racconta Andrea Emiliani (Il “Morandi” di Arcangeli: Lo specchio infranto), la lettura del saggio in progress fece esplodere una frattura irrimediabile, accentuando la ritrosia e la diffidenza del pittore.
Non minore appare la fama di riservatezza di Morandi nella Bologna del tempo in un altro racconto dallo stesso Lambertini (Carta carbone), benché cortesia e confidenza, dopo un iniziale approccio, non vengano meno tra il maestro e il giornalista esordiente, impegnato in un’intervista. Durante la conversazione, ricreata dallo scrittore, il pittore sembra compiacersi di parlare della natura appenninica e della pioggia autunnale, che aveva lavato «dai biancospini la polvere delle strade», polvere che rendeva la strada per Grizzana, dove Morandi trascorreva l’estate, «bianca come se si camminasse «in un’acquaforte». A quest’immagine pittorica (ricordiamo che Morandi fu uno straordinario incisore) sono tornati, per un omaggio all’amico Luigi Lambertini, Giulia Napoleone e Marco Vitale.

Ed ecco, in una raffinata plaquette delle Edizioni Il Bulino, riapparire La strada di Morandi e ispirare un disegno dell’artista, che nel tondo in copertina, simbolo di armonia e perfezione, sparge, sull’impalpabile ombreggiatura di un fitto tratteggio, memore delle tessiture delle incisioni di Morandi, bianchi semi, mobili, aerei, allusivi ai fragili petali dei biancospini dalle foglie impolverate, mentre il poeta affida ai versi, «il tratto lieve opaco della polvere». Sono versi lievi e intensi nel dire il corso del tempo, la sua misura tra «un prima e un dopo», che solo nella durata dei romanzi «forse» si illuminano di «luci prospettiche», mentre la strada della vita in realtà «sale», come «sale» la strada bianca di polvere; ma anche come i sublimano «gli oggetti polverosi», poveri e quotidiani di Giorgio Morandi, divenuti, con Proust e con Bertolucci, «tempo allo stato puro» nell’assoluto dell’arte.

gabriella.palli@tiscali.it

 

L'autore

Gabriella Palli Baroni
Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).