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L’alterazione come radice della poesia

Una vocazione certamente lirica trova conferma in questo Prossimo e remoto (peQuod, Ancona 2022, pp. 69), quarta stazione di un percorso di poesia che si segnala per energia e originalità. Eleonora Rimolo concentra in non molte pagine di componimenti preferibilmente brevi un paesaggio di allarme, di forze in aspro confliggere, di irrisolvibili aporie. La stimolante nota critica di Milo De Angelis, in postfazione al libro, ne propone una lettura alla luce della nozione di Alterazione che “non è la metamorfosi” ovidiana, ma da esperienza “drammatica, a volte terribile, ci getta in luoghi che non conosciamo, che sono stati sconvolti nella loro essenza e non parlano più la nostra lingua.” È una lettura che va al cuore di una materia quanto mai mossa e al tempo stesso di sofisticata strutturazione metrica. Si può dire anzi che proprio questo contrasto tra temperatura lirica e qualità sorvegliata della sua mise en page costituisca uno dei suoi principali motivi di fascino.

La frattura interiore, il senso acuto della perdita, il considerare classicamente l’incidenza degli astri si fronteggiano con le maschere, ma si direbbe a volte con i fantasmi di Eros, con “l’amore / che non parte – che non dovrebbe mai partire / per il rischio feroce dello spreco.” E questo in quanto lo stesso desiderio appare come “uno scucirsi dall’altro subito dopo il rammendo / della tela”. Dominano in questi versi un fondo oscuro e insieme la luce dell’alea: dado è forse non per caso tra i lemmi più ricorrenti.

La raccolta si dà divisa in tre sezioni omogenee, ma in realtà due, Microcosmo e Macrocosmo, separate dai colori e dai riverberi di Isola, la sezione più breve che contiene immagini di corrusca luminescenza e penso in primo luogo al notevole ritorno mattutino dalla pesca con quella “rete gonfia” trainata “sulla roccia che taglia le viscere, sfila / le maglie, trascina le squame raschiate / dall’addome tenute calde e adesso scorie, / memorie di altre culle”. Un’immagine come si può vedere a un tempo sontuosa e drammatica, di gusto post caravaggesco.

Difficile davvero trascegliere in un volume la cui compattezza tematica e stilistica risulta fuori dall’ordinario, in cui i moti interiori trovano corrispondenza nell’ordine della Natura (Microcosmo / Macrocosmo) e dove una griglia poetica concentratissima permette di leggere la “realtà” senza venir meno al proprio mandato: “Questo è l’anno senza luce, senza il fiato / che scalda la faccia mentre dormi: mesi / fa era una cellula urgente a svegliarci, era / quasi alba senza disco, era quasi musica / suonata dalle tue dita in dicembre e poi / a gennaio la rivoluzione si spense / dopo la collisione con muto scontro.”

Tutto si mostra allora in questo libro strettamente connesso, quasi un racconto di corrispondenze segrete che vengono improvvisamente in luce per subito dileguare, dramatis personae di verità irriducibili, ma anche aperture altrettanto improvvise cui è bello affidarsi “mentre / corre la processione del giglio e nel cuore / bruciano grandi preghiere di paglia.”

L'autore

Marco Vitale
Marco Vitale
Marco Vitale (Napoli 1958) vive a Milano dove al lavoro in biblioteca unisce la traduzione letteraria e le collaborazioni editoriali. Tra le sue traduzioni le Lettere portoghesi, Bur 1995, Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand, Bur 2001, Stanze della notte e del desiderio di Jean-Yves Masson, Jaca Book 2008, Miseria della Cabilia di Albert Camus, Nino Aragno Editore 2011. La sua poesia è raccolta nel volume Gli anni (Nino Aragno Editore 2018, premio Luciana Notari e premio Dino Campana 2019, premio internazionale Gradiva 2020) e comprende cinque volumi di versi.

È stato tradotto in tedesco da Maja Pflug (Ein Winter, Josef Weiss Editore, Mendrisio 2008) e in inglese da Barbara Carle (Emblems of Sleep, Gradiva, New York 2020). Collabora a “Cenobio”, a “Poesia”, a “Succedeoggi” e fa parte della redazione delle Edizioni di poesia Il Labirinto.

(foto di Dino Ignani)