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Peladan lettore di Dante

Le seguenti pagine costituiscono un’anticipazione di un più ampio articolo intitolato Dante esoterico e Dante essoterico nella Parigi di fine Ottocento: i Saloni della Rose Croix e la statua di Dante di Jean-Pail Aubé, in corso di pubblicazione sulla rivista «Dante e l’Arte» della Universitat Autònoma de Barcelona.

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Joséphin Péladan, nato a Lione nel 1859 dal giornalista e letterato Adrien, si formò presso i collegi gesuiti di Avignone e Nimes. Negli anni settanta dell’Ottocento cercò di fondare un culto devoto alla settima ferita di Cristo, in seguito si trasferì nella capitale francese iniziando a lavorare per la rivista L’Artiste e per la banca Crédit Francais. Parallelamente, nel vivace ambiente parigino, riuscì ad intraprendere la carriera di critico d’arte e scrittore. Personaggio emblematico della fine del XIX secolo, Péladan ha lasciato un’opera piuttosto ampia: un ciclo di 19 romanzi; diversi saggi di estetica; alcune tragedie; numerosi articoli polemici. È proprio rendendo manifesto un occultismo divenuto molto alla moda in quel periodo che Péladan, con il suo dandysmo orientalizzante, divenne uno dei cardini del movimento simbolista.
Nel 1888, insieme a Gérard Encausse (noto con lo pseudonimo di Papus), fondò l’Ordine Cabalistico della Rosa-Croce. Tuttavia, nel 1890, decise di abbandonare l’Ordine per fondare un proprio movimento denominato Rosa-Croce Cattolica del Tempio e del Graal o Rose Croix Esthétique. Lo scopo della Rose Croix Esthétique era di promuovere, nell’arte e nella chiesa, il ritorno a una bellezza ideale indispensabile per la salvezza della corrotta civiltà occidentale. Il fondatore riteneva che si fosse verificato un deplorevole divorzio tra l’arte e la fede, tanto da affermare: “Eh bien! Depuis la Divine Comédie de Dante, on attendait l’heure de réconciliation et c’est Wagner, grand prêtre de l’Art qui l’a accomplie”.[1] Dante e la Divina Commedia affiorano presto come modello fondante, o meglio, come modello che in qualche modo Péladan voleva assimilare alla tradizione di cui si faceva portavoce.
Il Salone della Rosacroce aprì le sue porte dal 1892 al 1897. In sei anni, nei suoi Salon ospitò come ‘discepoli’ duecentotrenta tra pittori, scrittori e compositori, provenienti da Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Italia, Olanda, Spagna, Stati Uniti e Svizzera.[2] Tutti dediti a forme d’arte le cui tematiche, legate a mitologia, immaginario e mistero, trovavano riferimenti negli ideali e stili del Trecento e Quattrocento toscano, negli stereotipi della ‘femme fatale’ o ‘fragile’, nelle leggende arturiane, nella poetica di Charles Baudelaire.[3] La vocazione estetica del movimento è espressa nel primo Catalogue du Salon de la Rose † Croix: Geste esthétique del 1892. Gli aspiranti adepti all’ordine dovevano raccogliersi dinanzi alle opere di Shakespeare, Eschilo, Fidia, Palestrina, e altri membri di una confraternita di geni, in seno alla quale emerge una triade ideale composta da Dante, Leonardo e Wagner, considerati da Péladan dei veri iniziati.

Sempre nel primo catalogo, nelle pagine riservate all’esortazione all’artista, risuona la seguente invocazione a Dante:

Tout est pourri, tout est fini, la décadence lézarde et fait tremble l’édifice latin: et la croix esseulée n’a plus même auprès d’elle l’épée des Guise, le fusil d’un chouan. Pleure, Grégoire VII, ô pape gigantesque, toi qui eus tout sauvé, pleure du haut du ciel sur ton Eglise, enténébrée, et toi, vieux Dante, lève-toi de ton trône de gloire, Homère catholique, et mêle ta colère au désespoir du Buonarroti.[4] (Catalogue du Salon de la Rose † Croix, 1892, pp. 8-9)

Ad ulteriore dimostrazione della rilevanza della figura del poeta fiorentino per la Rose Croix Esthétique, e della volontà di ricondurlo alla tradizione rosacruciana, basterà esaminare due affiche che pubblicizzavano i rispettivi saloni espositivi.

Il manifesto del secondo salone, tenutosi nel 1893, è una litografia intitolata Beatrix opera di Aman-Jean. Il titolo, inscritto nella composizione, suggerisce la diretta analogia con Beatrice. La figura fluttua nello spazio sorreggendo una lira che sembra porgere a qualcuno al di fuori dell’immagine, mentre un angelo la attira verso il lato sinistro. Entrambi i soggetti sono incorniciati fra gli archi e le colonne di un portico, elementi architettonici normalmente presenti nelle annunciazioni quattrocentesche. Nell’angolo inferiore destro della litografia spunta una corona d’alloro. La rappresentazione nel suo insieme sembra alludere all’ispirazione poetica, e artistica in senso lato, collegandola alla sfera mistica e sovrannaturale. La profondità evocativa che Aman-Jean voleva infondere all’opera è determinata dalla misteriosa inafferrabilità di questa Beatrice che porge la lira ad un artista per noi invisibile, e che l’inconoscibile mistero celeste, rappresentato dall’angelo, trascina via.
In rapporto a questo secondo Salon è interessante leggere un trafiletto pubblicato su La Chronique des arts et de la curiosité, supplemento della Gazette des Beaux-Arts, il 1 aprile 1893: sotto la voce Expositions diverses, il cronista recensisce la mostra offrendo la descrizione di un ambiente immenso e suggestivo (lo spazio di trenta metri, sotto la cupola centrale del Champ-de Mars), e afferma che l’esposizione è posta sotto l’invocazione di Wagner e di Dante, i cui busti, collocati su dei piedistalli con i colori dell’Ordine, fiancheggiano l’ingresso della galleria:

Le grand-maître de cet Ordre officie maintenant dans la Galerie de trente mètres, sous le Dôme central du Champ-de-Mars : dans cette vaste chapelle, on a pu réaliser facilement le rêve des peintres ; il y a de la cimaise pour tout le monde. L’Exposition est placée sous l’invocation de Wagner et de Dante, dont les bustes, placés sur des piédistaux pavoisés aux couleurs de l’Ordre, flanquent l’entrée de la Galerie ; au fond se dresse un petit théâtre surmonté d’une frise égyptienne : on y entendra, dans quelques jours, une tragédie en quatre actes du Sâr Péladan, intitulée Babylone.[5] (La Chronique des arts et de la curiosité, 1893, p. 98)

Dunque, nella seconda edizione del Salon è affidato a Dante un ruolo simbolico molto importante: se ne vedono le tracce nel manifesto in cui campeggia la figura di Beatrice, nella presenza del busto del poeta posizionato all’ingresso del salone, e nell’invocazione, testimoniata dal catalogo, di cui dà conto anche la stampa.
La locandina dell’esposizione seguente, svoltasi nel 1894, coinvolge nuovamente l’Alighieri:

Nell’immagine, opera di Gabriel Albinet, Giuseppe d’Arimatea, primo gran maestro del Graal, è ritratto sotto le sembianze di Leonardo da Vinci, e Hugues des Payns, primo maestro dell’ordine dei cavalieri templari, sotto quelle di Dante. I due personaggi fanno da scorta all’angelo che tiene il calice con la rosa e la croce. L’esatta descrizione dell’immagine è riportata nel catalogo del 1894.[6]
Anche nel secondo catalogo, datato 1893, Dante è citato e accostato a Giuseppe d’Arimatea e Hugues de Payns (come si è visto nell’affiche dell’anno successivo: “Nous, par la miséricorde divine et l’assentiment de nos frères – Grand Maître de la Rose † Croix du Temple et du Graal; En communion catholique romaine avec Joseph d’Arimathie, Hugues des Paiens et Dante […]”, Ordre de la Rose † Croix (1893), p. xxv),[7] e la stessa associazione torna alcune pagine dopo, nella Rosae Crucis Templi et Spiritus Sancti Laici Ordinis Charta Esthetica Seconda:

Sous le Tau, la Croix grecque, la Croix latine ; devant le Graal, le Beauséant et la Rose Crucifère ; en communion catholique romaine avec Joseph d’Arimathie, Hugues des Païens et Dante, Nous, par la miséricorde divine et l’assentiment de nos frères, Grand-Maître de la Rose † Croix du Temple, très humble serviteur de l’idéal dieu, A tous ceux de Notre Ordre et à tous ceux auxquels il appartiendra d’y entrer ou d’y aider, Salut et Gloire éternelle.[8]

Lo vediamo comparire, inoltre, come patrono dei Templari nelle Constitutiones Rosae Crucis Templi et Spiritus Sancti Ordinis riprodotte sempre nel catalogo del 1893 (“je le jure devant Monseigneur Dante Alighieri, patron des Templiers”).
Non si può chiudere questo excursus su Péladan senza menzionare il suo opuscolo La doctrine de Dante. Il saggio, pubblicato nel 1908, quando l’attività dei saloni espostivi era già terminata, non contiene nessuna particolare novità interpretativa. Lo scopo di svelare il segreto iniziatico, coperto dall’oscurità del testo, è il medesimo di altri commentatori, così come non nuova è l’esaltazione della grandezza di Dante, definito Omero dell’era cristiana, nonché il più grande di tutti i poeti:

Parmi les œuvres admirables que l’humanité a élevées au-dessus des autres comme synthétiques d’une période, aucune n’égale en beauté littéraire celle de Dante Alighieri. Homère de l’ère chrétienne, c’est le plus grand de tous les poètes. Découvrir sa doctrine, la dégager du symbole vieilli, semble une entreprise téméraire.[9] (Péladan, 1908, p. 6)

È evidente che la figura di Dante, e l’eco delle sue opere, trovano un posto considerevole nel quadro del dibattito intellettuale e artistico della Parigi di fine Ottocento. Dando consueta prova di vorace eclettismo, la tradizione esoterica, nel pieno di una stagione per lei particolarmente propizia, si appropria di Dante annoverandolo fra i padri del proprio pensiero: lo scopo ideologico della Rose Croix Esthétique è di disegnare le illustri fondamenta dell’Ordine.

(Il testo è stato letto nel ciclo delle Conferenze della Fondazione Carletti Bonucci)

 

[1] Péladan, J. Les Héroïnes de Wagner, manoscritto autografo, Bibliothéque de l’Arsenal, ms 13.205.

[2] Gaetano Previati, Carlos Schwabe, Fernand Khnopff sono solo alcuni degli artisti che presero parte ai Saloni della Rosacroce.

[3] Fondamentali anche i riferimenti musicali, individuati principalmente in Erik Satie e Richard Wagner.

[4] Ordre de la Rose † Croix (1892), pp. 8-9.

[5] A. de L. (1893, 1er avril), p. 98.

[6] “ Joseph d’Arimathie, premier grand-maître du Graal, sous les traits de Léonard de Vinci et Hugue des Paîens, premier maître du temple, sous le masque de Dante, forment escorte à l’Ange romain tenant le calice à la Rose Crucifère enorante”, Ordre de la Rose † Croix (1894), p. 9.

[7] “Nous, par la miséricorde divine et l’assentiment de nos frères – Grand Maître de la Rose † Croix du Temple et du Graal; En communion catholique romaine avec Joseph d’Arimathie, Hugues des Paiens et Dante […]”, Ordre de la Rose † Croix (1893), p. xxv.

[8] (1894) Catalogue du second Salon de la Rose † Croix avec la règle esthétique et les constitutions de l’ordre. Paris: Librairie Nilsson, p. xl.

[9] Péladan, J. (1908). La doctrine de Dante. Paris: H. Sansot, p. 6.

L'autore

Silvia Argurio
Silvia Argurio
Silvia Argurio si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza, dove si è perfezionata anche in Storia delle Religioni. Ha conseguito il dottorato presso RomaTre con un progetto sulla retorica dell’impossibilità nella lirica medievale italiana ed europea. Attualmente è assegnista di ricerca presso l’università Sorbonne Nouvelle Paris3 dove collabora con il progetto DHAF (Dante d’hier à aujourd’hui en France) sulla diffusione e l’influenza dell’opera dantesca in Francia. Ha da poco pubblicato il primo commento integrale alla silloge Scintille poetiche di Giacomo Lubrano.

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