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Pontiggia: nitore e bibliofilia

In copertina una dedica di Pontiggia all’autore dell’articolo

C’è un’eleganza nella brevità, nel gusto di costruire un saggio accostando singoli frammenti, e di costruire un libro accostando molti di quei saggi. È un dandismo che Pontiggia ha applicato nel suo stile saggistico, lasciandoci nel dubbio sulla forma di flânerie applicata: se si è attardato a congiungere tra loro brani nati in occasioni diverse o se invece ci ha intenzionalmente donato la sorpresa delle pause reiterate. Tuttavia, mediante la brevità e l’interruzione riusciamo a capire meglio e di più – e forse questo è il carattere che concilia lo stile dello scrittore con la sua salda inclinazione verso i classici.

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Il rischio nel rapporto coi classici è un tema su cui Pontiggia s’è attardato. Trascorsa l’epoca della lotta contro i classici, è ora subentrato l’oblio. Il nemico che aveva fino a ieri affrontato i classici, ora li minaccia diversamente: li ignora. Non c’è tanto oggi il rischio di un capovolgimento della gerarchia tra classico e non-classico, ma del totale annullamento. Un rischio che ci sembra meno pericoloso quando lo stesso Pontiggia riconosce che non sono i classici a essere inattuali, ma noi, «perché siamo noi che ci industriamo di esistere, loro sono vivi»; è nostro compiacimento rivisitarli, ma «sono piuttosto loro che ci visitano, magari nottetempo». E le visite nottetempo sono quelle dell’amante. Col quale – per non sopprimere sul nascere il piacere della trasgressione – va sempre osservata la distanza. Si tradiscono infatti i classici accentuando o viceversa abolendo la distanza con loro, che invece richiede un’attesa paziente, un’attenzione durevole: «Solo la coscienza della distanza può avvicinare il classico e insieme conservarlo nella sua lontananza». Ecco perché il confronto che si apre coi testi classici resta vivo. Esperienza simile anche coi testi di Pontiggia: stimoli a un confronto che si realizza sulle idee e sulla scrittura.

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Scrisse una volta Pontiggia che la sobrietà – carattere dei migliori – è «sorniona e sapiente». Il nitore della sua scrittura non è infatti asettico, non è un esercizio che cerca nella trasparenza il senso del proprio esistere. Quel nitore, paradossalmente, è uno stimolo ardente al pensiero: la sua frase è una pista su cui slittare prima di spiccare il salto nel vuoto. Non che quel nitore sia sorgivo, la sua costruzione esige una retorica cosciente. Pontiggia lo afferma così: «In arte la sincerità esige invenzione e si misura secondo la verità dello stile». E quella invenzione, che mira al nitore, è il più alto esercizio di vita che l’uomo possa tentare di mettere in atto. La naturalezza in arte è il supremo degli artifici. Questa è la consapevolezza di chi conosce l’uomo come creatura razionale, e perciò innaturale.

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Come coniugare artificio e naturalezza se non pensando all’inevitabilità della maschera? «Tutto ciò che è profondo ama la maschera», disse una volta Nietzsche esprimendo l’inafferrabile segreto dell’arte classica, che giace nella «simultaneità di sincerità e simulazione, coppia di apparenti contrari che ricalca quella di necessità e libertà, di naturalezza e artificio». Esaminando la chiarezza di René Daumal, Pontiggia rilevò qualcosa che a lui stesso si attagliava: il linguaggio chiaro ha una potenzialità enigmatica, solo la chiarezza è dotata di inesauribile complessità, l’oscurità sottrae all’esistenza proprio la sua oscurità, «come il segno meno, moltiplicato per un altro meno, dà il più di una conferma».

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L’orizzonte del bibliofilo è disseminato di volumi; il suo tempo libero è irresistibilmente associato coi libri; la meta inconfessata dei suoi inquieti percorsi urbani è la ricerca di vecchie librerie. In mancanza di queste, una semplice rivendita di soli tascabili, semmai ingialliti dal tempo, è già una valvola di sfogo. Pontiggia condivide il sogno di Bachelard: che il paradiso sia un’immensa biblioteca. Questo è il sogno ricorrente dei bibliofili: una sterminata biblioteca di libri, anche se si potrà godere soltanto della loro copertina, e si dovrà differire la lettura a chissà quando, forse a mai. Godersi la copertina… La lettura del bibliofilo avviene secondo modi professionali, «altrimenti non avremmo letto tutti i libri che abbiamo letto». Si legge procedendo per scorci, per sequenze, per attacchi e conclusioni: è sufficiente la sola presenza fisica dei libri per ottenere un effetto su chi li possiede. Si legge, infatti, anche per osmosi: il significato emerge allora non solo dalla lettura del libro, ma dal libro come oggetto. La lettura avviene anche guardando e toccando la copertina, osservandone i colori, aprendo una pagina a caso e rubandone una frase. Leggere quel poco è infatti come leggere il tutto; condizione che a suo modo conosce anche il buon narratore, il cui sogno è «l’equilibrio misterioso tra il minimo che si dice e l’immenso che non si dice».

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Sebbene il predominio del libro sia eroso giorno dopo giorno, il compito non è più quello di «difendere una esclusiva impossibile, ma una idea di cultura nella quale una civiltà si riconosce». L’immagine di cultura da difendere è quella che il libro esprime rispetto a altre fonti di sapere; è ciò che si esprime nella lettura «come esperienza che non coltiva l’ideale della rapidità, ma della ricchezza, della profondità, della durata». Una lettura che ama gli indugi e i ritorni sui propri passi, aperta non tanto alle scorciatoie, ma «ai cambi di passo che assecondano i ritmi della mente e vi imprimono le emozioni e le acquisizioni».

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All’ingresso del labirinto di Pontiggia è incisa sull’architrave questa massima: «Una biblioteca non è una raccolta di libri, ma un uomo che li legge». È dunque un uomo a stagliarsi sulla soglia della camera che raccoglie i libri, è alla sua vita che il mondo dei libri allude e ne reclama spiegazione. Per alcuni ciò risulta incomprensibile: a coloro che sacrificano tutto alla cosiddetta vita. È un tema che Pontiggia sfiora, e che tuttavia è ben dispiegato nelle sue pagine, in tutto ciò che non è detto, nelle allusioni e nei sottintesi. La qualità della sua scrittura rende palpabile l’indigenza di coloro che, davanti al bivio «vivere o scrivere», non solo scelgono di vivere ma denigrano tutto ciò che si riferisce al mondo dei libri. Ma poi li si scorge tirare avanti, leggiucchiare qualche libro di consumo, restare presi dall’azienda o dal partito. E questo chiamano «vivere».

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Pontiggia ama ricordare il paradosso di Wilde secondo il quale per essere un narratore basta il talento, ma per essere un critico ci vuole il genio. Non che egli intenda essere definito un genio, eppure nella sua opera non sfodera solo il talento del narratore. Ci guida su una strada non ben conosciuta, forse indefinibile; un tragitto che scatena non poco disagio tra chi ritiene invalicabili i confini dei due generi – narrazione e critica – così accortamente mescolati invece, come due gradi del medesimo agire, in Giuseppe Pontiggia, di professione bibliofilo.

Nota
L’articolo si avvale di citazioni e suggestioni tratte dai seguenti scritti di Pontiggia:

Da L’isola volante (Mondadori, 1996): Inferno e paradiso della libreria antiquaria; Leggere; La lotta di Manzoni e l’Anonimo; Carducci visionario; Van Gogh e Collodi; Aspetti del romanzo; Hesse e la biblioteca universale.

Da Il giardino delle Esperidi (Adelphi, 1984): La “chiarezza” di Daumal; Pessoa e i suoi io; Classici e anniversari.

Da Prima persona (Mondadori, 2002): Fallo di carta; Il libro come esperienza.

La rimozione dei classici, accolto in Di fronte ai classici (Rizzoli, 2002).

(Già apparso in «Cartapesta», n. 8, luglio-dicembre 2002, pp. 12-13, l’articolo è stato ora rivisto e corretto)

castronuovo.medlav@gmail.com

 

L'autore

Antonio Castronuovo
Antonio Castronuovo è saggista, traduttore e bibliofilo. È nelle redazioni delle principali riviste italiane di bibliofilia e scrive per il domenicale della «Gazzetta di Parma». Ha fondato l’opificio di plaquette d’autore “Babbomorto Editore”, dirige le “Settime diminuite” per l’editore Pendragon e le “Edizioni Libreria Galliera”. I suoi ultimi lavori: Dizionario del bibliomane (Sellerio), I luoghi di Pinocchio (in Pinocchio: un bugiardo di successo, La Nave di Teseo), Il male dei fiori: Baudelaire a processo (Rubbettino).