Tatsunori Kano è nato nel 1954 a Hiroshima, nella città che, ancora ferita, offre la tragica testimonianza dei bombardamenti atomici, compiuti dagli Stati Uniti nel 1945, sul finire della Seconda guerra mondiale. Kano resterà sempre colpito dallo sconcerto di avere saputo, e avere visto, coi propri occhi, i terribili segni dei danni che sono stati inflitti a persone, case, scuole, aziende. Sulle spalle di Kano graverà per sempre il peso della città martoriata, così come si vede e si può cogliere in molte sue opere. Terminati gli studi alla Nihon University of Fine Art di Tokyo e specializzatosi in pittura nel 1977, inizia la sua carriera artistica ed espone nel gruppo Kokugakai. Attratto dalla storia dell’arte occidentale, vince nel 1980 una borsa di studio del Governo italiano, e si trasferisce in Europa. Visita i principali musei e ne studia dal vivo i capolavori. Si stabilisce a Bologna e si diploma nel 1985 all’Accademia di Belle Arti, impadronendosi così di una consapevolezza artistica pienamente italiana. Sempre a Bologna, Tatsunori trova la compagna della vita e con lei si sposa, dando luogo a una famiglia con tre figlioli. Anche la moglie è artista molto conosciuta: Clementina Mingozzi è infatti una affermata papirografa, già intervistata in questa sede.
Tatsunori è artista a tutto campo: dall’incisione, alla pittura a olio, alla ceramica, si cimenta con creazioni d’arte che gli consentono di esprimere una poetica sempre coerente anche con le sue origini. Dai primi anni della sua permanenza in Italia ad oggi è stata intensa l’attività espositiva di Tatsunori Kano, sia in Italia che all’estero. Molte e significative sono state le sue mostre personali, e molte anche le personalità della cultura che ha incontrato e che hanno saputo apprezzare la sua opera. Ha stabilito rapporti di duratura amicizia con personaggi di rilievo anche del suo paese, da Haruki Morokawa, Giancarlo Piretti, Yasunari Takada, Katsuhide Takahama, Giovanni Peternolli, tutti ancora in vita, a Eiko Kondo, raffinata studiosa di arte orientale, vissuta a lungo in Italia e scomparsa da qualche anno, a Dino Gavina (1922-2007), designer, editore italiano, imprenditore e artista, difficile da inquadrare professionalmente, ma conosciutissimo non solo a livello europeo per la sua indiscutibile genialità.
Dopo la laurea a Tokyo ti sei iscritto a Bologna all’Accademia di Belle Arti. Quali le differenze e quali le analogie?
Premetto, in Giappone nel 1972 l’Università di Belle Arti in stile occidentale era come una accademia dell’800 europea: quattro anni di ore intensive, dalla mattina alla sera, di studio del nudo dal vero, di disegni a carboncino delle copie di grandi dimensioni di sculture greche e romane e studi della storia dell’arte giapponese e occidentale a completamento. Solo dopo si poteva cercare di superare le selezioni per fare parte di gruppi accademici e fare parte del mondo artistico con un percorso espositivo; era un sistema molto strutturato e rigido, piramidale. Ma la domanda ‘cosa vuol dire espressione’ era soffocata dal duro guscio dell’esercizio accademico. Ho imparato all’università giapponese a dipingere con passione, in tutte le tecniche più importanti, soprattutto ad olio, ma non avevo ancora imparato ad approfondire l’espressione personale. L’Accademia di Bologna non era allora una struttura così rigida come quella Giapponese, si lavorava poco e si lasciavano agli studenti tutte le libertà. Vivere l’esperienza bolognese fu uno shock culturale che mi spronò a cercare con molta e maggiore determinazione la mia strada. Qualche anno dopo essere arrivato a Bologna, avevo bisogno di capire le mie intenzioni, la mia identità.
Che cosa hai maturato dapprima nel tuo esprimerti molto lontano dalla tua precedente formazione?
Lo scontro delle due culture ha formato la mia maturazione. Devo conciliare i miei sentimenti al modo di vivere nel mondo reale. Sicuramente dovevo modificare alcune cose. Era stato ampliato il mio orizzonte. Dovevo creare le basi per la mia sensibilità, trovare la mia nuova visione. È stato importante il fatto di avere già una preparazione pittorica accademica, trascinatami da Tokyo. Così come fui consapevole che dovevo lasciare andare il guscio accademico in mezzo al mio percorso di crescita.
Quando hai avvertito che fosse giunta a compimento la tua personale ricerca artistica e sei stato consapevole di come questa si sia presto differenziata dall’essere nutrita della sola ispirazione occidentale, combinando invece insieme l’altra tua cultura, quella nipponica?
È una bella domanda! Rispondo con un paragone: tale fusione di esperienza culturale si potrebbe immaginare come un paesaggio ordinato da un giardiniere. Il giardiniere vive a Bologna, e sono io, Tatsunori.
In quali opere, nella varietà delle tue proposte artistiche, ti senti più portato a scoprire il bagaglio culturale e la particolare ispirazione che ti sono proprie?
La pittura e scultura in ceramica le sento di base, ma mi capita spesso di alternare le tecniche per rinfrescare la mente con schizzi e acquerelli di studio. Le performance nascono dalla necessità di coinvolgere e condividere un mio sentimento con immediatezza, viverlo insieme al pubblico. Le installazioni e la stampa di incisioni, in varie tecniche di acquaforte, nascono da esigenze poetiche particolari.
Ti sei, non da molti anni, dedicato anche al libro d’artista. Pensi che tali manufatti possano avere un seguito tra le tue proposte culturali e li consideri una tua evoluzione, che ti conduce ad aprirti a rapporti di collaborazione con poeti e/o altri autori di prosa, o hai, invece, dei ripensamenti?
Accetto molto volentieri di esplorare il dialogo con altre arti, soprattutto con la prosa e la poesia. Nel 2015, spinto dalla richiesta di collaborazione con un amico poeta, ho esplorato la tecnica dell`acquaforte per realizzare un libro d’artista. Desideravo riuscire a trovare una espressione che potesse essere coerente con la riproduzione in stampa. Si sa che la scelta di una tecnica è intimamente legata al carattere espressivo dell`artista, perciò non avrebbe avuto senso riprodurre direttamente una mia opera pittorica acrilica o di ceramica su una lastra di incisione. Desideravo intervenire, incidere, modificare la lastra, affinché emergesse una espressione a me ancora sconosciuta. Ho lottato duramente esplorando la tecnica per mesi; sono nati spunti che mi hanno dato in seguito nuove vie da indagare anche in pittura. Il libro è nato curato in ogni particolare, ne sono molto soddisfatto.
Molto differente è stata la nascita del Libro del tea, ispirato al Libro del Tea dell’esteta e intellettuale Okakura Kakuzoo. La vocazione interculturale di questo libro lo rende unico nel suo genere. È stato un tema in cui mi sono ritrovato per sensibilità e ricerca, anche in una bellissima giornata di viaggio a Venezia con la Prof.sa Kondo e il Professore Takada (allora docente a Cambridge di letteratura antica medioevale). La forma a leporello mi ha aiutato a dare una libertà temporale e spaziale.
Come ho detto presentandoti, porti le cicatrici del martirio della tua città di nascita ed è sempre più evidente in ciò che continui a fare con l’obiettivo di cooperare, anche con la tua arte, alla pace, aspirazione che di giorno in giorno si fa sempre più utopica. Mi riferisco alla tua recente performance e con l’occasione quali le tue prossime iniziative artistiche legate alla Pace?
È stato inevitabile che le differenze culturali mi abbiano fatto riflettere sulla Pace. Per questo le opere in mostra alla Galleria d’Accursio di Bologna, con il titolo La forma dell’anima (2009), esprimevano già le corrispondenze e le fratture di questo dialogo, non solo mio, ma della società intera. Vivevo la storia contemporanea, i suoi cambiamenti più drammatici con i piedi in una Europa apparentemente protetta ma in via di grandi trasformazioni – la caduta del muro di Berlino, la guerra in Jugoslavia – e il cuore di Hiroshima.
Sto preparando per l’iniziativa Percorsi di Pace, a fine settembre, in occasione della commemorazione dell’eccidio di Marzabotto-Monte Sole, l’installazione aerea Requiem – Consolare le anime è dare speranza nel futuro, installazione che sarà esposta nell’atrio del Municipio di Marzabotto.
Molti sono gli artisti che hanno saputo rimodellarsi alla luce delle nuove tecnologie. Qual è il tuo rapporto con l’automazione?
La tecnologia ci aiuta a compattare il tempo, ma questo tempo lo usiamo malamente, poco per ossigenare lo spirito e la mente. Come in un pendolo, il movimento è costrittivo, non trasformativo, ed è sempre più compattato con lo spazio. Vorrei agire, non subire la tecnologia: applicarmi nell’esercizio di interpretare l’attualità alla ricerca di una risposta; esplorare e coltivare un nuovo spazio. La nostra Rinascita è tutta da vedere.
L'autore
- M. G. Tavoni, già professore ordinario di Bibliografia e Storia del libro, è studiosa con molti titoli al suo attivo. Oltre a studi che hanno privilegiato il Settecento ha intrapreso nuove ricerche su incunaboli e loro paratesto per poi approdare al Novecento, di cui analizza in particolare il libro d’artista nella sua dimensione storico-critica. Diverse sono le sue monografie e oltre 300 i suoi scritti come si evince dal suo sito www.mariagioiatavoni.it
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