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Emily Dickinson, Antonia Pozzi e Cristina Campo tra arte e vita

Matteo M. Vecchio tenne tra gennaio e febbraio 2022 presso la Galleria Boragno di Busto Arsizio un ciclo di laboratori dedicati a tre autrici, Emily Dickinson, Antonia Pozzi e Cristina Campo, che definì, mutuando e volgendo al femminile un titolo di quest’ultima, Tre imperdonabili (Le Cáriti Editore, Firenze 2020) per la radicalità e la purezza della loro scrittura intrecciata indissolubilmente alla vita. Le lezioni, allora registrate, si leggono ora a cura di Silvia Giacomini, che sottolinea come il critico manifestasse esattezza filologica e appassionato amore per gli autori, al fine di “restituire dignità a una vita e a una morte” e comprendere il valore di un’esistenza riversatasi nell’opera, attraverso una “dimensione etica bruciante”, che coniugava fine sensibilità e rigore di studioso. L’essere “imperdonabili” significava trovare nella scrittura la propria vocazione, la propria libertà da condizionamenti e preconcetti, l’essenza al di sotto della scorza delle cose.

Ecco Dickinson ricercare la parola perfetta, aderente a ciò che si vuole delimitare, rivelare, sottraendosi all’esterno e ai giudizi di critici illustri, come Thomas Higginson, cui si rivolse con ironia. Consapevole di essere sola nella “ribellione”, celava una forma di autismo, ma soprattutto inseguiva il sovvertimento dei valori dell’epoca, scegliendo una distanza cosciente, l’immersione dentro le cose interne alla vita: «Se potrò bloccare un Cuore dallo spezzarsi/Non sarò vissuta invano/Se potrò alleviare di una Vita il soffrire/O smorzare una Pena// O aiutare un languente Pettirosso/Di nuovo verso il suo Nido/Non sarò vissuta invano». In questa luce le poesie, sulle quali si era soffermato Vecchio, io sono Nessuno!; L’Anima- Mi accusò- Ed io tremai-; Ero la più minuta della Casa-e altre come Chi sei tu Molta follia è il più divino senno, rivendicano obliquità di sguardo e una condizione esistenziale privilegiata nel rivendicare la “nessunità”, colta in un mondo di piccoli esseri come il pettirosso caduto dal nido. Ma più importano a Vecchio i temi della morte (Morii per la Bellezza-è un celebre incipit) e della solitudine, declinati spesso con ossimori («infinità finita» è explicit di Ha una solitudine lo spazio), mentre non giustifica un’interpretazione metafisica, essendo presenti in lei fisicità e sensualità.

Pure in Antonia Pozzi poesia e vita sono inscindibili, «negare a lei la poesia significava negare la vita»; privarla di quelle «povere parole asciutte e dure come i sassi e come gli ulivi». Il critico sa restituirci il conflitto drammatico tra la sacralità della parola poetica, la nostalgia della sua pienezza e aderenza rispetto alle cose (si ricordi il verso di Vittorio Sereni, vicino a Pozzi negli anni universitari, di Un posto di vacanza:  «Chissà che di lì traguardando non si allacci nome a cosa»), gli amori finiti, il futuro che si nega: «Oh, tu bene mi pesi/l’anima, poesia:/tu sai se io manco e mi perdo, /tu che allora ti neghi/ e taci» (Preghiera alla poesia, vv. 1-5). Il percorso di Pozzi appare indagato attraverso i suoi studi alla scuola milanese di Antonio Banfi, gli incontri e gli amori (su tutti quello per il docente liceale Antonio Maria Cervi), un’indubbia marginalità nell’ambito intellettuale,  la sua tragica fine, anticipata nell’intrecciarsi di poesia ed esistenza da questi versi di Sgorgo: «Per troppa vita che ho nel sangue/tremo/nel vasto inverno» e dalla lettera a Tullio Gardenz del gennaio 1933:«Perché la poesia ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore  che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l’immensità della morte è una catarsi della vita».

La poesia è «preghiera» anche per Cristina Campo ed è fonte di verità. Lo comprendiamo attraverso le lettere a Mita, l’amica Margherita Pieracci Harwell , interessata come lei a Simone Weil, che illumina zone profonde del suo pensiero alla luce di un cristianesimo attento alle ingiustizie sociali. Inserita nel tempo, negli anni dell’avanguardia, Cristina Campo è accostata, per l’autenticità della parola e la critica alla società contemporanea, a Pasolini da Matteo M. Vecchio, che propone, come testimonianza della sua visione, le poesie liturgiche, Missa Romana e Nobilissimi ierei, che altro non sono che un dialogo interiore con sé stessa. Campo, non lontana da Dickinson, ha un doppio sguardo sulla realtà e sente di non appartenere a questo mondo, del quale ha avvertito la caducità esprimendola dapprima in Passo d’addio e rifugiandosi, quando si avvicinò al collegio ortodosso Russicum e alla liturgia bizantina, in Diario bizantino: «Due mondi – e io vengo dall’altro». Scrittrice elegante, affilata, severa, mistica offre una «lezione di gioia, della sacra, intangibile gioia» (lettera a Mita, 4 dicembre 1975?), che la rende unica e irripetibile nel panorama novecentesco.

Nelle sue pagine, spesso cordiali e colloquiali, ma sempre attente al vero della vita e dell’arte, Matteo M. Vecchio ha riconosciuto alle «tre imperdonabili» un’alta qualità creativa, intrisa di valori intellettuali ed esistenziali, sottratta a mode e a esibizioni narcisistiche, fedele alla ricerca di una più profonda e personale realtà.

gabriella.palli@tiscali.it

 

 

 

 

 

L'autore

Gabriella Palli Baroni
Gabriella Palli Baroni laureata in Lettere Classiche a Pavia, allieva di Lanfranco Caretti, perfezionata a Chicago e a San Diego sul pensiero scientifico rinascimentale e su Machiavelli, vive a Roma. Scrittrice e saggista, è studiosa di letteratura dell’800 e del 900 ed è critica di letteratura contemporanea. Collaboratrice di «Strumenti Critici», «L’Illuminista», «Il Ponte» e di altre riviste italiane e straniere, si è dedicata in particolare ad Attilio Bertolucci, del quale ha curato il Meridiano Mondadori Opere, le prose Ho rubato due versi a Baudelaire, gli scritti sul cinema e sull’arte, e a Vittorio Sereni, del quale ha curato i carteggi con Bertolucci (Una lunga amicizia. Lettere 1938-1983, Garzanti 1993) e con Ungaretti Un filo d’acqua per dissetarsi. Lettere 1949-1969, Archinto, 2013). Ha inoltre pubblicato l’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (Istituto Poligrafico dello Stato 2000) e Tavolozza di Emilio Praga (Nuova SI, 2008). È autrice di saggi sulla poesia di Amelia Rosselli e ha collaborato al Meridiano L’opera poetica, uscito nel 2012 e al numero monografico XV, 2-2013 di «Moderna» (Serra, 2015). Nel 2020 ha pubblicato di Attilio e Ninetta Bertolucci, Il nostro desiderio di diventare rondini. Poesie e lettere (Garzanti).