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Fra Dante Alighieri e l’Ōjōyōshū di Genshin: la società come Inferno nell’opera di Fukuzawa Ichirō, pittore umanista e misantropo

  1. Ichirō Fukuzawa: pittore surrealista, moralista, umanista, misantropo, dantesco

Nel dipinto del 1949 intitolato Viaggio a Occidente il pittore giapponese Ichirō Fukuzawa ci mostra due personaggi incappucciati che attraversano un ponte in mezzo alle montagne. Il titolo parrebbe richiamare il classico cinese che descrive in modo divertente e fantasioso un viaggio di iniziazione ispirato a quello del monaco buddhista cinese Xuánzàng (in giapponese Sanzō). Ma l’atmosfera è cupa, e i corpi ammassati vicino al fiume, osservati a distanza dalle due enigmatiche figure sul ponte, evocano piuttosto le situazioni di un altro viaggio iniziatico: quello di Dante, in particolare secondo l’interpretazione grafica di Gustave Doré. Il senso di mistero che aleggia sugli elementi del dipinto lascia intuire che alla composizione sia affidato un messaggio profondo, che va al di là della giustapposizione di tradizioni culturali diverse.
Andiamo con ordine. Il pittore Ichirō Fukuzawa (1898-1992) si trova definito, in articoli e recensioni rintracciabili on-line o su cartaceo, come ‘surrealista’, ‘moralista’, ‘umanista’, e anche ‘misantropo’. E in effetti Shōgo Ōtani, curatore della mostra dedicata a Fukuzawa e autore di saggi e schede in Laugh Off This Hopeless World: Fukuzawa Ichiro (catalogo della mostra del MOMAT / The National Museum of Modern Art, Tokyo, March 12 – May 26 2019, a cura di Shōgo Ōtani, Ryō Furutate, Reiko Nakamura, Tokyo, MOMAT, 2019), lo definisce in modo apparentemente paradossale ‘umanista misantropo’, mettendo in rilievo come l’etichetta di ‘surrealista’, forse appropriata a inizio carriera (fu proprio Fukuzawa a promuovere il Surrealismo di matrice francese in Giappone), non può che andare stretta a un artista assai poliedrico. Per il pubblico italiano Fukuzawa si presenta come pittore enigmatico quanto interessante, soprattutto perché molta della sua riflessione socio-politica, applicata senza risparmio di colpi alla realtà giapponese, appare ispirata da un confronto con la Commedia dantesca.
L’approccio più immediato a Dante è, in effetti, di tipo iconografico, ovvero filtrato dalla vasta tradizione europea che arrivò in Giappone soprattutto con le riproduzioni dei dipinti di William Blake (1757-1827) e delle stampe di Gustave Doré (1832-1883). Tuttavia Fukuzawa non mancò di approfondire la lettura del testo (ovviamente in traduzione), ricavandone spunti di riflessione sui concetti di umanità, di sofferenza e di Male, che cercò di riprodurre per via simbolica in due importanti fasi della sua carriera. L’interesse del ‘moralista’ Fukuzawa per gli aspetti più universali della Commedia, ma anche per le modalità di esemplificazione di tali aspetti tramite personaggi e situazioni contemporanee, lo portò a un suggestivo confronto con il più importante testo ‘infernale’ giapponese, l’Ōjōyōshū (985), sulla base del quale compose una serie di dipinti raffiguranti le pene infernali applicate al mondo moderno.
La mostra del MOMAT approfondiva tutte le fasi dell’esperienza artistica di Fukuzawa, anche quelle primitiviste ed esotiche che in questa sede non posso riferire approfonditamente. L’allestimento si disponeva in senso cronologico attraverso 10 sezioni, riprodotte nel catalogo, dal quale deduco i titoli in inglese e i rispettivi numeri di pagina: I. Misanthropy: Studying in Paris (pp. 26-33); II. Surrealism and Satire (pp. 34-49); III. After Returning to Japan (pp. 50-55); IV. Activism (Active Humanism) (p. 56-73); V. Wartime Avant-garde (pp. 74-79); VI. Myths Reflecting Social Conditions of the Time [1] (pp. 80-93); VII. Primitivism as Criticism on Civilization (pp. 94-105); VIII. In U.S.A. (pp. 106-105); IX. Myths Reflecting Social Conditions of the Time [2] (pp. 116-129); X. Warnings to the Twenty-first Century (pp. 130-137). Le pagine del catalogo, contenenti le riproduzioni a colori dei lavori in mostra, sono arricchite da schede in doppia lingua giapponese e inglese, e due interessanti saggi arricchiscono il volume: Shōgo Ōtani, A Misanthropic Humanist – On the Present-Day Significance of Fukuzawa Ichiro (vers. giap. pp. 8-15; ing. pp. 174-181); e Ryō Furutate, Painting a Wall, Painting on a Wall – Fukuzawa Ichiro and Mexico (vers. giap. pp. 16-24; ing. pp. 182-189). Una List of Works si trova a pp. 190-195. Il catalogo consta complessivamente di 204 pagine in bianco e nero e a colori.

  1. La mostra del MOMAT

Il primo capitolo, Misanthropy, Studying in Paris, sottolinea la formazione letteraria di Fukuzawa presso l’Università Imperiale di Tokyo, pur se interrotta per approfondire la pratica artistica. Interessato all’arte europea, a partire dal 1924 Fukuzawa avrà modo di approfondire a Parigi quella ricerca di profondità specultativa che non riusciva a rintracciare nell’ambiente astistico giapponese. Proprio a Parigi entrò in contatto con l’incipiente onda surrealista, nell’ambito della quale apprezzò in modo particolare i collage di Max Ernst, che assieme a una ricognizione dell’arte antica (e in particolare di quella di Peter Paul Rubens) costituirono la base delle sue prime opere di successo. Fukuzawa infatti dipinse a olio una serie di quadri le cui diverse componenti derivavano da immagini e riviste di argomento vario e disparato, finendo per generare quadri suggestivi ed enigmatici (cap. II, Surrealism and Satire).
Ritornato in Giappone, Fukuzawa espose le sue opere e scrisse numerosi libri di arte e tecnica artistica, dei quali il più influente fu quello dedicato al Surrealismo (Atorie-sha, 1937). Siamo in pieno regime militarista, e dal 1934 (Showa 9) i movimenti culturali e artistici proletari erano soppressi. Questo non impedì a molti intellettuali giapponesi di cercare altre vie per esprimere un attivismo politico. In questo ambito Fukuzawa si distinse per dipinti satirici che mettevano in ridicolo le mille ipocrisie della società moderna, nipponica e non solo (cap. III, Returning to Japan), mentre in ambito letterario Kiyoshi Komatsu (1900-1962) introdusse in Giappone le riflessioni antifasciste di André Malreaux e André Gide, cercando nuovi sbocchi per un possibile attivismo dei letterati giapponesi, definito ‘Umanesimo attivo’. Simpatizzando per l’approccio attivo e problematico alla realtà contemporanea sostenuto da Komatsu, Fukuzawa tradusse in simboli e riferimenti culturali un’analisi politica difficilmente compatibile con le prescrizioni di regime (cap. IV, Activism): uscito dall’associazione artistica Dokuritsu Bijutsu Kyokai, della quale faceva parte dal 1931, fondò assieme ad alcuni giovani seguaci l’associazione Bijutsu Bunka Kyokai, fortemente legata agli stilemi del Surrealismo.
Ma proprio la vicinanza al Surrealismo, considerato vicino al Comunismo, portò la polizia politica a interessarsi alla nuova associazione, decretandone la fine: il 5 aprile 1941 Fukuzawa, assieme al poeta Takiguchi Shūzō, fu arrestato per aver violato la cosiddetta Legge di preservazione della Pace, varata nel 1925 per censurare la libertà di espressione. Rilasciato nel novembre dello stesso anno, il pittore dovette però accettare di produrre arte di propaganda a favore dell’imperialismo nipponico (cap. V, Wartime Avant-garde). Come vedremo sotto, furono gli eventi bellici (dall’occupazione della Manciuria, alla catastrofe finale) ad avvicinare Fukuzawa a una riflessione connotata in senso dantesco sulla realtà contemporanea come Inferno (cap. VI. Myths Reflecting Social Conditions of the Time [1]).
Assieme alla ripresa economica del Giappone Fukuzawa iniziò una serie di lunghi viaggi che lo portarono a visitare Brasile, Messico, India, Australia, e Nuova Guinea. Qui scoprì l’energia espressiva di forme artistiche considerate primitive, e cercò di appropriarsi di nuove soluzioni visive da inserire in un discorso complessivo sulla bellezza e le infinite contraddizioni e sofferenze dei tanti popoli del mondo.
Dai tardi anni Cinquanta, tornato in Giappone, inserì nei suoi dipinti suggestioni legate all’arte informale, ad esempio aggiungendo gesso e sabbia per enfatizzarne la materialità (cap. VII. Primitivism as Criticism on Civilization). A metà degli anni Sessanta, in viaggio negli USA, dipinse numerosi quadri a tema sociale, trattando in particolare dei movimenti dei diritti civili dei cittadini afroamericani. L’occhio del pittore giapponese coglieva la più grande delle contraddizioni del mondo occidentale, sorprendendo nelle capitali della nazione più ricca e potente del mondo disuguaglianze e ingiustizie che non accennavano a risolversi in modo pacifico (cap. VIII. In U.S.A.).
Negli anni Settanta, a seguito di un nuovo e intenso periodo europeo, Fukuzawa propose a una sintesi della sua ormai decennale riflessione civile e morale, tramite una rivisitazione più sistematica dell’Inferno dantesco. È in questo periodo che, con operazione coscientemente comparatista, affianca l’Inferno dantesco con quello dell’Ōjōyōshū. In dipinti che aumentano di frequenza e di ampiezza, anche grazie all’uso dei colori acrilici, studiò le gerarchie morali degli inferni delle tradizioni occidentali e orientali (con ulteriori suggestioni derivanti dalle mitologie greca e ebraico-cristiana, nonché dal folclore est-asiatico e giapponese), ritrovandone l’essenza etico-sociale nel mondo contemporaneo. Emerge così con forza il Fukuzawa politico e morale, che si guadagna il suo epiteto di umanista misantropo descrivendo il destino di un’umanità cupamente infelice e immorale (cap. IX. Myths Reflecting Social Conditions of the Time [2]). L’ultimo Fukuzawa sembra sempre più pensare, in senso quasi millenaristico, a un futuro di implosione della civiltà, sotto il peso di ingiustizie tanto più nascoste e represse quanto più laceranti (cap. X. Warnings to the Twenty-first Century).
Ormai anziano gli viene riconosciuto il titolo di ‘Persona di Merito Culturale‘, con ingresso nell’Ordine della Cultura nel 1991: destino paradossale quello di divenire Cavaliere della Cultura giapponese, dopo aver sperimentato le patrie prigioni per attività sovversive.

  1. L’inferno del Giappone militarista: una via ‘dantesca’ all’Umanesimo attivo

L’interesse di Fukuzawa nei confronti della cultura italiana, soprattutto di quella umanistica e rinascimentale (includendosi nel concetto di ‘Rinascimento’ anche il Trecento e Dante, come da prassi giapponese), è già fortemente presente nella critica sociale e poi politica degli anni Trenta.
Interessante ad esempio lo studio dell’opera di Masaccio che emerge dal confronto di due delle figure testimoni della Distribuzione delle elemosine e morte di Anania della Cappella Brancacci (1425-1428) con quelle riprodotte in Doppia immagine (cat. 32 – 1937, MOMAT): Fukuzawa fissa la propria attenzione non sui protagonisti dell’azione (Pietro e il defunto Anania), ma su personaggi in secondo piano che osservano gli eventi in corso.

In senso più esplicitamente politico memorie masaccesche ricorrono in Onna (Donna, cat. 31 – 1937, Tomioka City Museum, Fukuzawa Ichiro Memorial Gallery), dipinto a seguito del viaggio in Cina, che rappresenta una donna nuda che cammina a testa bassa coprendosi alla meglio, richiamando le figure derelitte della Cacciata dei progenitori dall’Eden della Cappella Brancacci (1424-1425).

L’iconologia (per così dire) del dipinto di Fukuzawa la si intende meglio nel contesto della situazione politica e militare dell’Asia orientale: la protagonista del dipinto rappresenterebbe infatti una donna cinese, di quella Manciuria che Fukuzawa aveva visitato nel 1935. Dal 1931 la Manciuria (dal 1932 chiamata Manchukuo) era occupata illegalmente dall’esercito imperiale giapponese, che poi nel 1937 inscenò il cosiddetto “Incidente del ponte di Marco Polo” come casus belli per invadere il resto della Cina. Durante il suo viaggio in Manciuria Fukuzawa aveva potuto verificare in prima persona la distanza fra la narrazione imperialista che veniva propagandata ai cittadini giapponesi, convinti che con il Manchukuo fosse sorta una sorta di nazione ideale e pacifica, e una realtà fatta di guerra e violenze.
Tale dicotomia è alla base di uno dei suoi quadri più famosi, Ushi (Buoi, ing. Oxen; cat. 29 – 1936, MOMAT), che rappresenta due maestosi buoi che si stagliano in primo piano di fronte a un paesaggio colorato.

In realtà i due animali, se osservati attentamente, appaiono ‘bucati’, e si rivelano una sorta di cartone bidimensionale che nasconde un paesaggio nel quale mucchi non meglio distinguibili di persone paiono coinvolti in una lotta convulsa, che parrebbe uno stupro di massa. Similmente il riferimento alla Eva della Cacciata di Masaccio accentua l’impressione di mortificazione e di sconfitta (e probabilmente anche di violenza fisica) di Onna. In questo senso il cosiddetto ‘Umanesimo attivo’ di Fukuzawa, ovvero la prospettiva critica nei confronti delle dinamiche politiche contemporanee, si traduce in simboli e riferimenti che, una volta decifrati, rivelano una devastante carica antagonista.
Ma fu la fine del conflitto bellico e il collasso del regime che diede a Fukuzawa la libertà e gli strumenti per esprimere al meglio la sua visione dell’essenza del militarismo, e del conseguente disordine sociale e morale nel quale era piombato il Giappone a lui contemporaneo. Tale visione si concretizza in fiumi infernali, che paiono usciti dall’Inferno di Doré, attorno ai quali si accalcano masse di umani sofferenti. Il cat. 45 (Museum of Modern Art, Gunma) si intitola d’altronde Dalla Divina Commedia di Dante (Dante Shinkyoku yori).

Il fiume del dolore (cat. 44 – 1946, Itabashi Art Museum) è un’altra variazione stigia, nella quale le tonalità rosso-fuoco sottolineano la disperazione di masse umane che vanno immergendosi nel fiume.

Di soggetto analogo altri quadri come il cat. 46, Senza titolo (1946, Museum of Modern Art, Gunma) e il cat. 47, Gruppo incompleto (1946, Takasaki Museum of Art).
Relitti di umanità non meglio identificabile ricorrono anche, oltre che nel già citato Viaggio a Occidente (cat. 53; 1949, Iseaki City), in illustrazioni come quella per la rivista Atelier, n. 246 (1947), oppure nell’illustrazione di copertina del romanzo di Yōko Ōta, sopravvissuta all’apocalisse di Hiroshima e successivamente definita ‘scrittrice della bomba atomica’, intitolato La città dei cadaveri (Shikabane no machi, 1948).

 

Fukuzawa rappresenta la sofferenza dell’umanità a lui contemporanea sforzandosi di non identificarla con eventi o personaggi troppo specifici, come afferma nel Chusho gusho to watakushi (L’astratto, il figurativo, e io, «Atelier», luglio 1951). Spetta alla squallida nudità di gruppi informi, spesso bloccati in spasmodica congestione, descrivere l’animus di una nazione schiantata.

Se il primo dipinto del dopoguerra, Sesō gunzō (cap. 42, in inglese da catalogo Group-Imaged Phases of Lives, ma io tradurrei Rappresentazione a gruppi della condizione umana – 1946, Tomioka City Museum, Fukuzawa Ichiro Memorial Gallery, riportato sopra), metteva in scena corpi sofferenti in primo piano, ma pareva al tempo stesso indicare una ‘via d’uscita’ a sinistra (dove un piccolo gruppo in controluce sembra camminare unito), una prospettiva simile appare in Ricostruzione, sempre del 1946 (cat. 43 – coll. privata), dove personaggi nudi scavano una pianura desolata che mostra sullo sfondo rovine che ricordano quelle di Hiroshima. La via della rinascita, forse possibile e necessaria, condanna i sopravvissuti a scavare nel deserto di una coscienza collettiva nuclearizzata.
A proposito di un dipinto come cat. 50, Gruppo di figure sconfitte in battaglia (1948, Museum of Modern Art, Gunma), Ōtani scrive: «The title of this painting when it was first presented was Monument to Defeat. Nude men are piled up as if to indeed form a monument… This attitude of treating people like objects may seem unlike Fukuzawa, who was referred to as a humanist, but perhaps he was unable to take a step forward after the war without abandoning old-time humanism once» (p. 89). Il ‘monumento alla sconfitta’ è costituito da una montagna di corpi muscolosi quasi fusi l’uno sull’altro. Corpi che un tempo erano umani e che ora sono oggetti aggrovigliati e indistinguibili.

Questo Gruppo di figure sconfitte in battaglia è sicuramente una delle opere più significative di Fukuzawa, per la lucidità con la quale il pittore visualizza l’essenza di tutte le vite ed energie catastroficamente sprecate in guerra. È una lucida riflessione sul Male, rappresentato non come un mostro, un demone, o un nemico reale o immaginario, ma come la perdita irreparabile di ogni dignità e identità umana, con corpi reificati in un sforzo immane quanto inutile. Proprio nell’Inferno di Doré osserviamo il Male del peccato rappresentato anche come conflitto fra la bellezza del corpo umano e la condizione dei dannati, che si traduce in nudità di carni sofferenti e contorte in posizioni innaturali. È la lezione che Doré derivava, fra l’altro, dal Michelangelo del Giudizio sistino, ma anche dalla ricerca ‘violenta’ del Manierismo del Rosso Fiorentino (Mosè difende le figlie di Jetro) e del Pontormo (Undicimila martiri).
Questa rappresentazione anti-eroica e tragica della forza virile e del sacrificio personale e collettivo contrasta direttamente con la retorica di regime, peraltro non solo giapponese o fascista: si prenda come esempio paradossale la celebre foto Raising the Flag on Iwo Jima di Joe Rosenthal, trasformata in monumento ai caduti nel 1954, celebrata proprio perché non mostra in modo evidente i volti dei soldati che innalzano la bandiera americana. In questo senso il lamento della condizione presente si eleva a critica di ogni regime strutturato che chieda il sacrificio in nome di ‘ideali’ di conquista o di gloria patria. A posteriori della devastazione del Giappone e del mondo Fukuzawa si sforza di immaginare possibili forme di rinascita senza per questo rinunciare a confrontarsi e a meditare sulla più grande catastrofe della storia dell’umanità.
Mi pare quindi che questa meditazione sull’essere umano e sulla disumanizzazione si riallacci con dolorosa coerenza agli ideali umanistici e anche illuministici di Fukuzawa, con la mediazione dell’icastica iconografia infernale del Dante di Doré.

  1. L’Inferno come male sociale: ritorno a Dante

La ‘rinascita’ del Giappone, come sappiamo, fu rapida e clamorosa, tanto che nel giro di pochi anni al posto delle città devastate dalle bombe sorsero metropoli fra le più popolose e ricche del mondo. Questo non impedì a Fukuzawa di insistere nella propria critica alla società giapponese, sempre inquadrata in una meditazione para-letteraria di origine classica e, soprattutto, dantesca. Nel 1970 Fukuzawa visitava la Grecia, da dove assorbì idee e tematiche mitologiche che rifuse in numerosi dipinti, come il cat. 69 Pan e Ninfe (The Museum of Modern Art, Gunma, 1970, sotto); e cat. 70 Pan e Ninfa (1970, coll. priv.).

Dal 1971 passò in Italia, dove approfondì la conoscenza di Dante, riprendendo poi a lavorare su una serie più sistematicamente basata sull’Inferno. Le composizioni di Doré offrono ancora la struttura a molti di questi dipinti, ma colori e sensazioni sono debitori del periodo primitivista e dei viaggi in America Latina. Si vedano i catt. 71, Dante entra nella Foresta Oscura (1971, The Museum of Modern Art, Gunma), 72, Perché tieni, Perché burli? (1971, The Museum of Modern Art, Gunma), 73,  Farinata (1971, The Museum of Modern Art, Gunma).

Negli anni successivi Fukuzawa compì un ulteriore passo in senso intellettuale, comparando lo studio dell’essenza e della struttura dell’Inferno dantesco con i volumi dell’Ōjōyōshū (往生要集 – Raccolta di istruzioni indispensabili per la rinascita nella Terra Pura), scritti nel 985 dal monaco Genshin (942-1017). L’opera di Genshin, destinata ai fedeli della dottrina buddhista della Terra Pura, fornisce un’accurata descrizione degli inferni destinati ai peccatori, per poi passare a descrivere la beatitidine del paradiso della Terra Pura e le pratiche necessarie per la rinascita in tale paradiso. Come nel caso del poema dantesco, al quale molta bibliografia nipponica moderna lo affianca (spesso per un malinteso orgoglio dell’ego primus, dovuto alla precedenza cronologica dell’insegnamento di Genshin), gli inferni dell’Ōjōyōshū sono regolati da una rigida legge del contrappasso. Le descrizioni assai vivide delle pene infernali sono state oggetto nei secoli di innumerevoli riscritture e, soprattutto, interpretazioni pittoriche e grafiche, tanto che i topoi elaborati da Genshin arrivano al XIX secolo con una solida tradizione iconografica, peraltro oramai svuotata di contenuto morale e religioso e versata in parodia (su tutto questo si veda Maria Chiara Migliore, Intercessione dei bodhisattva e svuotamento dell’inferno in Giappone, in Inferni temporanei. Visioni dell’aldilà dall’estremo Oriente all’estremo Occidente, a cura di Maria Chiara Migliore e Samuela Pagani, Roma, Carocci, 2011, pp. 21-39, disponibile on-line su Academia.edu). La tradizione degli ukiyoe, citata in manga molto popolari (come ad esempio quelli di Rumiko Takahashi), ha contribuito a diffondere anche in Italia parte di questa stratificata iconografia.
Fukuzawa dal canto suo eredita le visioni infernali dell’opera di Genshin per il tramite della tradizione iconografica grottesca degli ultimi secoli. Si vedano i catt. 75, Inferno (1972, coll. priv.), 76, Diavoli impiccano i dannati (1972, coll. priv., sotto), 77, Il diavolo Gaki beve acqua avidamente (1972, coll. priv.), 78, Inferno del massacro (1973, Museum of Modern Art, Gunma).

Ciò non implica che rappresentare gli inferni buddhisti fosse, per Fukuzawa, un semplice divertissement. In un’intervista per il Mainichi Shimbun dell’8 luglio 1974 intitolata I miei dipinti dell’Inferno (Watakushi no jigokue) affermava che «anche le condizioni sociali dei nostri giorni sono un inferno. Sia l’Ōjōyōshū che l’Inferno della Divina Commedia erano riflesso delle condizioni sociali del tempo, quindi credo che sarà più interessante se, per rapprentare l’Inferno, osserverò con attenzione il mondo circostante e lo dipingerò con quanta più libertà possibile».
Fukuzawa deriva così dalla sintesi delle due tradizioni l’interesse per la sostanza immutabile dell’eterno dolore, da una parte, e per la concreta esperienza biografica e sociale dei due letterati, dall’altra: sia Genshin che Dante rispondevano, con i loro libri, alla crisi dei rispettivi mondi. Dalle due opere e dalle rispettive tradizioni iconografiche Fukuzawa deriva strumenti assai diversi di analisi della realtà: dall’iconografia dell’Ōjōyōshū assimila la parodia grottesca dei miti e dei ruoli sociali, mentre la caustica verve politica di Dante e il carattere epico della tradizione iconografica della Commedia autorizzano l’assalto frontale al mondo contemporaneo.
È proprio Dante a spingere Fukuzawa oltre alla risata distorta della satira dei costumi, fino al fondo tragico della sostanza, etica ed economica, dell’inferno sociale della vita di tutti i giorni. Esempio assai noto è il dipinto L’inferno della carta igienica (cat. 79 – 1974, Museum of Modern Art, Gunma), che rappresenta un’umanità affannata e scomposta che cerca di arraffare disperatamente quanti più rotoli di carta igienica possibile. È evidente la parodia dell’ossessione giapponese per la precisione e la pulizia (peraltro profetica, data la scomparsa della carta igienica nei giorni di massima crisi del Covid), ma è anche più forte la satira tragica del consumismo ossessivo-compulsivo del mondo contemporaneo.

L’Inferno dei Politici (cat. 80 – 1974, Iseaki City) è altrettanto corrosivo nel rappresentare i politicanti come uomini nudi in fila che a causa dell’asimmetria dei loro arti deformi sanno inchinarsi solo dalla parte della propria auto-rappresentazione (ovvero la bandiera politica alla loro destra). Sullo sfondo si riconosce l’edificio del Parlamento nipponico (la Dieta Nazionale), con riferimento diretto, quindi, alla situazione giapponese.

Gli ultimi quadri di Fukuzawa approfondiscono questa vena di critica sociale, rivolgendosi a un futuro descritto a tratti con toni da profezia apocalittica: dall’Arca di Noè (cat. 85, 1984 – Tomioka City Museum, Fukuzawa Ichiro Memorial Gallery), alla Caduta di Icaro (cat. 86, 1985-1986 – Fukuzawa Ichiro Memorial Foundation), alle immagini di rivolta anti-governativa di Wa (Giappone) in Tumulto (cat. 83, 1980 – Tama Art University Museum), Ribellione in Wa (Giappone), (cat. 84, 1980 – Tama Art University Museum), e Sorgerà il Voltaggio Cattivo nel XXI secolo? (cat. 87, 1986, Tomioka City Museum, Fukuzawa Ichiro Memorial Gallery), tutte le esperienze pittoriche di Fukuzawa, dal Surrealismo, al primitivismo, ai riferimenti mitologici, infernali, e apocalittici, sono rielaborati in rappresentazioni grandiose che oscillano dall’afflato rivoluzionario al terrore di un futuro devastato e decivilizzato, come quello che si intravede nello sfondo a destra di Sorgerà il Voltaggio Cattivo nel XXI secolo?: alberi secchi al posto degli sfarzosi grattacieli.

Anche le visioni del futuro si traducono, quindi, in rappresentazioni infernali, al servizio di un’ideologia ‘di sinistra’, evidentemente anti-capitalista e anti-establishment, che però non si identifica in movimenti politici definiti. Fukuzawa rimane infatti pessimista nei confronti di ogni possibilità di miglioramento dell’umanità: non crede nella dialettica storica alla base del Comunismo o di altre ideologie strutturate. Il messaggio di Fukuzawa è in fondo una riflessione politico-filosofica sull’essenza del Male, concepito a livello metastorico come desiderio inappagabile che genera peccato, sofferenza e sconfitta. Tale Male è connaturato all’esperienza umana, e, come si vede dalla comparazione della tradizione occidentale, rappresentata da Dante, e di quella orientale, rappresentata da Genshin, è ricorrente in ogni luogo e in ogni tempo. Anche il futuro, quindi, promette nuove varietà di Inferno.
Fukuzawa fu autore poliedrico, di grande cultura e profondità speculativa. Si può ben dire che tale profondità, nata sotto la spinta dell’attivismo surrealista, seppe divenire pienamente politica grazie all’innesco della Commedia dantesca: se, infatti, la riflessione sul Male non risparmia nessuna cultura e nessun luogo, e trae spunto tanto dall’Ōjōyōshū quanto da Dante, è proprio il poeta fiorentino a suggerire quell’uso attualizzante dei paradigmi eterni del mondo infernale che definisce la Commedia come testo molto più che teologico, ma anche e soprattutto politico. L’uso di Dante si diversifica peraltro in una modalità più attivista, come quella del periodo bellico e post-bellico, e una più metastorica ed etico-sociale, come quella delle fasi più tarde.
È questo scarto rispetto alla tradizione nativa del Giappone, compiuto grazie al suo dantesco ‘viaggio a occidente’, a definire Fukuzawa come quel pittore singolarissimo e scomodo che ebbe in vita il doppio onore di essere prima incarcerato per attività sovversive, e poi celebrato con i massimi riconoscimenti pubblici come uno dei grandi della pittura giapponese di stile occidentale.

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