Festival europeo di poesia ambientale

Carlo Pulsoni intervista Claudio Damiani

Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Roma dall’infanzia.
Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete,1987), La mia casa (Pegaso, 1994, Premio Dario Bellezza), La miniera (Fazi, 1997, Premio Metauro), Eroi (Fazi, 2000, Premio Aleramo, Premio Montale, Premio Frascati), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006, finalista Premio Viareggio, Premio Mario Luzi, Premio Violani Landi, Premio Unione Lettori), Sognando Li Po (Marietti, 2008, Premio Lerici Pea, Premio Volterra Ultima Frontiera, Premio Borgo di Alberona, Premio Alpi Apuane), Il fico sulla fortezza (Fazi,  2012, Premio Arenzano, Premio Camaiore, Premio Brancati, finalista vincitore Premio Dessì, Premio Elena Violani Landi)Ode al monte Soratte, con nove disegni di Giuseppe Salvatori (Fuorilinea 2015), Cieli celesti (Fazi, 2016, Premio Tirinnanzi), Endimione (Interno Poesia, 2019).
Nel 2010 è uscita un’antologia di poesie curata da Marco Lodoli e comprendente testi scritti dal 1984 al 2010  (Poesie, Fazi, Premio Prata La Poesia in Italia, Premio Laurentum).
Ha pubblicato di teatro: Il Rapimento di Proserpina (Prato Pagano, nn. 4-5, Il Melograno, 1987) e Ninfale (Lepisma, 2013).
Ha curato i volumi: Almanacco di Primavera. Arte e poesia (L’Attico Editore, 1992); Orazio, Arte poetica, con interventi di autori contemporanei (Fazi, 1995); Le più belle poesie di Trilussa (Mondadori, 2000).   E’ stato tra i fondatori della rivista letteraria Braci (1980-84) e, nel 2013, di Viva, una rivista in carne e ossa. Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue (tra cui principalmente spagnoloingleseserboslovenorumeno) e compaiono in molte antologie italiane (anche scolastiche) e straniere. Ha pubblicato i saggi La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia, Lantana Editore, 2016, L’era nuova. Pascoli e i poeti di oggi, a cura di Andrea Gareffi e Claudio Damiani, Liber Aria Edizioni, 2017 e recentemente, con Arnaldo Colasanti, La vita comune. Poesie e commenti, Melville Edizioni, 2018.
Suoi testi sono stati interpretati da numerosi attori, tra cui Nanni Moretti, Piera Degli Esposti e Roberto Herlitzka.

Claudio Damiani parteciperà all’EcoReading del Festival europeo di poesia ambientale, che avrà luogo venerdì 5 novembre alle 21 (ora italiana). A lui, come agli altri ospiti dell’evento, ho rivolto le medesime domande.

«Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i nostri genitori e poi quelli che ci stanno accanto; la letteratura apre all’infinito questa possibilità d’interazione con gli altri e ci arricchisce, perciò, infinitamente. […] Al di là dall’essere un semplice piacere, una distrazione riservata alle persone colte, la letteratura permette a ciascuno di rispondere meglio alla propria vocazione di essere umano» scriveva pochi anni fa Cvetan Todorov (La letteratura in pericolo, Garzanti, 2008). Nella sua esperienza, in che modo ritiene che la letteratura abbia contribuito alla sua formazione da un punto di vista umano?

“Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri”, sono molto d’accordo, e penso alle piante che ci hanno donato l’aria, e senza di loro non saremmo esistiti. Ecco penso che la letteratura sia per tutti noi, e non solo per quelli che la leggono, come l’aria, ossia qualcosa di assolutamente indispensabile. Come dice il nostro Galimberti, la letteratura non solo arricchisce il linguaggio e ci sviluppa pensiero e conoscenza, ma, soprattutto, ci fa conoscere i sentimenti. Perché noi sentiamo, ma i nostri sentimenti non li conosciamo. Quindi la letteratura è essenzialmente educazione, e l’educatore uno che mostra e guida nella letteratura, come il pastore guida le pecore sui prati migliori.
Per me la letteratura è osservazione della natura (gli antichi dicevano “imitazione”, e non sbagliavano), e libro della natura e libro della letteratura sono la stessa cosa. O meglio, noi non leggiamo su un solo libro, ma su tutti e due nello stesso tempo.

Che cosa significa per lei, in veste di poeta, l’ambiente e quanto quest’ultimo ha inciso e incide attualmente nella sua produzione poetica? 

Il mio primo libro, del 1987, si intitola Fraturno, e è il nome di un piccolo lago della Sabina non lontana da Roma. Fin dall’inizio ho scritto sulla natura e sui luoghi, come esseri vivi, persone che hanno loro modi di essere e di pensare, quando parlare di queste cose in poesia faceva storcere il naso a molti, recuperando e incentrandomi su autori di cui allora poco si parlava tra i poeti: Petrarca, Pascoli, D’Annunzio, soprattutto nella relazione tra natura e lingua, in un tempo in cui la lingua era concepita come qualcosa di non naturale e non viva e vivente come io l’ho sempre pensata.
Ora che è a tutti evidente che alla natura dobbiamo ritornare (attenzione: non dico “possiamo”, o “vogliamo”, ma “dobbiamo”), che il nostro allontanarcene è stato oltre che sbagliato anche illusorio, perché anche noi siamo natura, e ci siamo solo divertiti come ragazzini a allontanarci da noi stessi, ora sono convinto che la strada che avevo preso non era sbagliata. Anzi, adesso che ci penso, ne ero convinto pure allora.

Ritiene che la poesia ambientale possa avere un ruolo sociale? 

Come Pascoli disse, in quel capolavoro di teoria dell’arte che è Il fanciullino, che non esiste la poesia civile ma esiste la poesia, e ogni vera poesia è poesia civile; così potremmo dire che ogni vera poesia è poesia ambientale. Perché lei, sempre, fa riferimento a un luogo originario, a un ambiente, in cui siamo accolti. Il piacere che proviamo davanti a una poesia che ci illumina, è come improvvisamente il non sentirci più stranieri in un luogo, non essere più estranei, ma essere accolti, accettati e amati. Una cosa che non credevamo possibile. Non siamo noi che amiamo lei, è lei che ama noi, e noi la riamiamo, curandola, la nostra casa, oikos.
La poesia dovrebbe essere però maggiormente veicolata e pubblicizzata dai media, perché oggi lei, nei media, è la cenerentola.
Per la radio ad esempio è perfetta, perché basta che sia ben scelta e ben letta, e oggi abbiamo attori bravissimi che sanno leggerla, mentre prima non li avevamo. È da Carmelo Bene in poi che gli attori hanno cominciato a concentrarsi sulla poesia, con risultati notevoli, che si riverseranno sul sociale, sulla scuola ecc. Per i media visivi è un po’ più difficile perché dovranno nascere registi capaci di accoppiare poesia e immagini, ma io penso che questo avverrà, e il riscontro della poesia sul sociale e sull’ambiente sarà maggiore.

Un’ultima domanda. La questione dell’ambiente pone, di riflesso, un dilemma esistenziale: il binomio cura-comprensione si scontra con l’idea dell’annientamento, con il dramma dell’estinzione. Può il linguaggio poetico focalizzare tutto questo?

Per me la natura è l’universo, il tutto avvolgente vivo e pensante di cui noi facciamo parte, noi esseri pensanti dentro un cosmo già pensante, a vari livelli e modi ecc., per cui non siamo solo noi i pensanti come si riteneva prima ecc. Detto ciò può darsi anche che Leopardi abbia ragione a pensare che la natura ci illuda e ci sfrutti per suoi fini reconditi, ma sta di fatto che noi lontani dalla natura (intesa non solo come mente ma come gli esseri, piante animali terra cielo) stiamo male. E questo l’ha detto molto bene Pascoli e solo adesso lo capiamo. Non è per non estinguerci che torniamo alla natura, ma è perché senza i nostri fratelli animali piante fuoco acqua ecc, stiamo male (l’aveva detto molto bene San Francesco dando il via alla letteratura italiana, e imprimendogli un marchio indelebile che ancora conserva). Se anche fosse vero (riferendomi al pensiero che da Leopardi e Schopenhauer va a Nietzsche) che la natura ci usa per fini che non sappiamo e che la tecnica, su cui si fonda il nostro mondo attuale, è la volontà di potenza non nostra, ma della natura, ebbene, anche così, noi abbiamo capito che non solo non possiamo opporci (come si è creduto) ma non possiamo nemmeno allontanarci (come si è fatto nel ‘900) dalla natura, pena una caduta verticale in un inferno di infiniti tormenti. Io credo che ciò che è successo sia stato un errore di percorso dovuto a insuperbimento, una classica hybris, che ha coinvolto anche l’arte, e infatti anche l’arte è andata giù, e in modo impressionante.
Nel mio nuovo libro che uscirà a gennaio prossimo, che si intitola Prima di nascere, affiora l’idea che la natura contenga una sorta di messaggio nella bottiglia che ci svela perché nasciamo e moriamo, e il senso di tutto, e che la scienza sia sul punto di trovarlo.

In collaborazione con Sapereambiente

 

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